Come ogni venerdì, il seminarista Emanuele Bossini ci racconta una tappa della sua missione in Marocco
Tangeri è stata la città che mi ha accolto. Se non fosse per le parole scritte in arabo dei cartelloni stradali non sarebbe molto differente da una città europea: stesso traffico, stessi cantieri, stesso caos urbano… anzi di più. Mi riceve il Convento dei Francescani, accanto alla Cattedrale: padre Gabriele e fra Antonio, un italiano e uno spagnolo, compongono questa piccola fraternità che si dona al servizio della variegata comunità cristiana tingitana. Fino a qualche decennio fa Tangeri era una città europea a tutti gli effetti, un importante porto internazionale; dopo l’indipendenza dalla Spagna, ha mantenuto un ruolo importante nei commerci ma la comunità stabile di europei è diminuita notevolmente. I cristiani che oggi vivono a Tangeri sono circa 2.500, prevalentemente spagnoli, su una popolazione di più di un milione di abitanti. Quinta città del Regno, essa resta la principale porta sull’Europa.
Per me, Tangeri è stata molto di più: il punto di riferimento in tutta la mia missione nel Marocco. Da qui partivo e qui tornavo, quando mi spostavo per conoscere le varie realtà sparse nel Paese. Il Convento era come una piccola isola nella grande città: mi permetteva di interiorizzare e meditare serenamente le varie esperienze che vivevo. Ed era bello “tornare a casa” sapendo che c’era qualcuno che mi aspettava, ansioso di ascoltare come avevo vissuto i giorni fuori, partecipe di un’esperienza vissuta in prima persona. Era qualcosa di straordinario!
Frate Antonio è un artista della cucina e per conoscerlo in tutta la sua simpatia bisogna farsi suo “garzone”. A me, poi, figlio di cuoco, non poteva che essere simpatico! Ogni giorno era come una festa, perché attorno alla sua tavola sedevano sempre moltissime persone: ospiti ed amici, volontari e confratelli, suore e parenti. La tavola diventava il miglior modo per raccontarci e conoscerci.
La domenica, poi, per ogni comunità cristiana è il giorno dell’epifania, in cui si può visibilmente percepire tutta la ricchezza e la varietà delle sue membra. La pluralità non si nota solo nei vari carismi e ministeri animati dallo Spirito ma qui la si coglie anche nelle nazionalità: spagnoli, italiani, francesi, polacchi, filippini, sudamericani... inoltre sub-sahariani e indiani! Sembra veramente di rivivere la pagina degli Atti degli Apostoli, quando stupiti si dicevano l’uno all’altro: “Ma come mai ognuno di noi sente qui parlare la propria lingua?!”
Padre Gabriele ha la cura pastorale della parrocchia della Cattedrale e, vista la mole di lavoro quotidiano, realmente si dona come pane da essere mangiato per tutte le necessità. Un giorno mi propose di conoscere l’attività missionaria di fra Giuseppe, un francescano che vive a Larache sulla costa, ad un’ora di macchina. “Così vedi veramente il Marocco!” mi disse. Naturalmente, lì per lì non capivo… Ma la proposta mi incuriosiva, anche solo per il fatto che era un italiano. Anzi, a dire il vero, un autentico siciliano: carattere forte, deciso, schietto ma, soprattutto, non amante delle mezze misure! Era capitato in Marocco mosso dal suo impeto missionario e da un amore veramente paterno verso i più poveri. Vive a Larache, in questo porto di mare, attento ai pochi cristiani che lavorano in città e, soprattutto, servendo i più poveri delle bidonville periferiche: in quei giorni aveva organizzato una specie di “gruppo estivo” per ragazzi, aiutato da volontari musulmani che avevano frequentato i corsi del centro culturale della parrocchia. Erano arrivati anche quattro giovani scolopi di Pamplona: con loro abbiamo portato avanti questo piccolo, sorprendente, progetto interreligioso!
Un giorno, dopo cena, mentre stavamo riflettendo sulla giornata appena trascorsa, mi è venuto da esclamare: “Qui mi sembra di essere in una nostra parrocchia italiana!” C’era infatti un parroco, il gruppo animatori, le suore, i ragazzi... ma erano tutti musulmani! Veramente ci sentivamo tutti fratelli e, allo stesso tempo, figli di Dio!
Quando ci si dà con amore a un servizio molte barriere vengono meno. Organizzando così i vari giochi è nata una incredibile amicizia tra noi volontari, e neppure si parlava la stessa lingua: il desiderio di stare insieme vinceva ogni difficoltà. Potevo, così, sperimentare come si possa conoscere il prossimo solo facendosi suo ospite!
Era bello vedere la pazienza di Bushra mentre cercava di farci pronunciare correttamente l’alfabeto arabo. Era commovente sentire Hassan - mio collega, visto che studiava teologia islamica - cantare la sura del Corano che parlava di Miryem, la madre di Isha, cioè Gesù. Era incredibile vederci attorno allo stesso tavolo, intingere nello stesso piatto, la stessa tadjine, per mangiare la stessa cena!
Fra Giuseppe è sempre in movimento, nessuno lo ferma! Lo si vede nello stesso giorno alla Medina, al Porto, in periferia nelle baracche o dalle suore Vincenziane... ovunque porta una parola, un consiglio o solo un sorriso.
“Ma se non mi fermassi ogni giorno in silenzio davanti a Gesù Eucarestia” mi ripete spesso “tutto questo mio fare sarebbe solo fatica sprecata!”. In ogni grande missionario c’è sempre un grande contemplatore... come fare, altrimenti, a riconoscere il volto di Cristo nel povero abbandonato da tutti? O come sperare nella ripresa di Mohammed, un barbone qui accolto come un fratello? Proprio quell’Amore contemplato e ridonato al prossimo lo aveva aiutato a riconciliarsi con sé e a riprendere nuova vita.
Una sera, con Simeon e Giuseppe, ci siamo raccolti davanti all’Eucarestia. La città tutt’intorno rumoreggiava a festa, mentre noi tre soli restavamo in silenzio in preghiera. “Signore com’è bello stare qui, non andiamo più via!” ci veniva da ripetere silenziosamente, come Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte della trasfigurazione. Perché andare a “sporcarsi” le mani quando si ha la pace con il nostro Dio?
Ma Lui, invece, ci invita costantemente ad alzarci “Andate, proclamate il mio Vangelo fino ai confini della terra....”. "La nostra vocazione - diceva Carretto - è la contemplazione sulle strade!"
Tangeri è stata la città che mi ha accolto. Se non fosse per le parole scritte in arabo dei cartelloni stradali non sarebbe molto differente da una città europea: stesso traffico, stessi cantieri, stesso caos urbano… anzi di più. Mi riceve il Convento dei Francescani, accanto alla Cattedrale: padre Gabriele e fra Antonio, un italiano e uno spagnolo, compongono questa piccola fraternità che si dona al servizio della variegata comunità cristiana tingitana. Fino a qualche decennio fa Tangeri era una città europea a tutti gli effetti, un importante porto internazionale; dopo l’indipendenza dalla Spagna, ha mantenuto un ruolo importante nei commerci ma la comunità stabile di europei è diminuita notevolmente. I cristiani che oggi vivono a Tangeri sono circa 2.500, prevalentemente spagnoli, su una popolazione di più di un milione di abitanti. Quinta città del Regno, essa resta la principale porta sull’Europa.
Per me, Tangeri è stata molto di più: il punto di riferimento in tutta la mia missione nel Marocco. Da qui partivo e qui tornavo, quando mi spostavo per conoscere le varie realtà sparse nel Paese. Il Convento era come una piccola isola nella grande città: mi permetteva di interiorizzare e meditare serenamente le varie esperienze che vivevo. Ed era bello “tornare a casa” sapendo che c’era qualcuno che mi aspettava, ansioso di ascoltare come avevo vissuto i giorni fuori, partecipe di un’esperienza vissuta in prima persona. Era qualcosa di straordinario!
Frate Antonio è un artista della cucina e per conoscerlo in tutta la sua simpatia bisogna farsi suo “garzone”. A me, poi, figlio di cuoco, non poteva che essere simpatico! Ogni giorno era come una festa, perché attorno alla sua tavola sedevano sempre moltissime persone: ospiti ed amici, volontari e confratelli, suore e parenti. La tavola diventava il miglior modo per raccontarci e conoscerci.
La domenica, poi, per ogni comunità cristiana è il giorno dell’epifania, in cui si può visibilmente percepire tutta la ricchezza e la varietà delle sue membra. La pluralità non si nota solo nei vari carismi e ministeri animati dallo Spirito ma qui la si coglie anche nelle nazionalità: spagnoli, italiani, francesi, polacchi, filippini, sudamericani... inoltre sub-sahariani e indiani! Sembra veramente di rivivere la pagina degli Atti degli Apostoli, quando stupiti si dicevano l’uno all’altro: “Ma come mai ognuno di noi sente qui parlare la propria lingua?!”
Padre Gabriele ha la cura pastorale della parrocchia della Cattedrale e, vista la mole di lavoro quotidiano, realmente si dona come pane da essere mangiato per tutte le necessità. Un giorno mi propose di conoscere l’attività missionaria di fra Giuseppe, un francescano che vive a Larache sulla costa, ad un’ora di macchina. “Così vedi veramente il Marocco!” mi disse. Naturalmente, lì per lì non capivo… Ma la proposta mi incuriosiva, anche solo per il fatto che era un italiano. Anzi, a dire il vero, un autentico siciliano: carattere forte, deciso, schietto ma, soprattutto, non amante delle mezze misure! Era capitato in Marocco mosso dal suo impeto missionario e da un amore veramente paterno verso i più poveri. Vive a Larache, in questo porto di mare, attento ai pochi cristiani che lavorano in città e, soprattutto, servendo i più poveri delle bidonville periferiche: in quei giorni aveva organizzato una specie di “gruppo estivo” per ragazzi, aiutato da volontari musulmani che avevano frequentato i corsi del centro culturale della parrocchia. Erano arrivati anche quattro giovani scolopi di Pamplona: con loro abbiamo portato avanti questo piccolo, sorprendente, progetto interreligioso!
Un giorno, dopo cena, mentre stavamo riflettendo sulla giornata appena trascorsa, mi è venuto da esclamare: “Qui mi sembra di essere in una nostra parrocchia italiana!” C’era infatti un parroco, il gruppo animatori, le suore, i ragazzi... ma erano tutti musulmani! Veramente ci sentivamo tutti fratelli e, allo stesso tempo, figli di Dio!
Quando ci si dà con amore a un servizio molte barriere vengono meno. Organizzando così i vari giochi è nata una incredibile amicizia tra noi volontari, e neppure si parlava la stessa lingua: il desiderio di stare insieme vinceva ogni difficoltà. Potevo, così, sperimentare come si possa conoscere il prossimo solo facendosi suo ospite!
Era bello vedere la pazienza di Bushra mentre cercava di farci pronunciare correttamente l’alfabeto arabo. Era commovente sentire Hassan - mio collega, visto che studiava teologia islamica - cantare la sura del Corano che parlava di Miryem, la madre di Isha, cioè Gesù. Era incredibile vederci attorno allo stesso tavolo, intingere nello stesso piatto, la stessa tadjine, per mangiare la stessa cena!
Fra Giuseppe è sempre in movimento, nessuno lo ferma! Lo si vede nello stesso giorno alla Medina, al Porto, in periferia nelle baracche o dalle suore Vincenziane... ovunque porta una parola, un consiglio o solo un sorriso.
“Ma se non mi fermassi ogni giorno in silenzio davanti a Gesù Eucarestia” mi ripete spesso “tutto questo mio fare sarebbe solo fatica sprecata!”. In ogni grande missionario c’è sempre un grande contemplatore... come fare, altrimenti, a riconoscere il volto di Cristo nel povero abbandonato da tutti? O come sperare nella ripresa di Mohammed, un barbone qui accolto come un fratello? Proprio quell’Amore contemplato e ridonato al prossimo lo aveva aiutato a riconciliarsi con sé e a riprendere nuova vita.
Una sera, con Simeon e Giuseppe, ci siamo raccolti davanti all’Eucarestia. La città tutt’intorno rumoreggiava a festa, mentre noi tre soli restavamo in silenzio in preghiera. “Signore com’è bello stare qui, non andiamo più via!” ci veniva da ripetere silenziosamente, come Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte della trasfigurazione. Perché andare a “sporcarsi” le mani quando si ha la pace con il nostro Dio?
Ma Lui, invece, ci invita costantemente ad alzarci “Andate, proclamate il mio Vangelo fino ai confini della terra....”. "La nostra vocazione - diceva Carretto - è la contemplazione sulle strade!"
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