Cosa significa oggi la visita ai cimiteri?
Agenzia Sir - Una delle visite d'obbligo quando si viaggia in un paese straniero è il cimitero, monumentale o moderno che sia. Personaggi illustri e persone comuni, ignote, scompaiono alla vista e rimangono sotto terra. Quanto emerge, troppo spesso, è ancora una volta la pompa con cui si vuole ricordare chi non c'è più, con monumenti, statue, decorazioni. Sembra l'ultimo dono possibile per chi ci è stato vicino ed ora è irreparabilmente lontano, irraggiungibile. Sulle tombe ebraiche si notano i sassi, deposti da chi viene in vista, arcaico costume del popolo del deserto che, migrando e abbandonando il tumulo del defunto, vi poneva un sasso per farlo riconoscere e per impedire lo scempio delle belve feroci. E, sasso dopo sasso, il cumulo si ergeva.
Fiori, lumini, fotografie, sono segni e richiami. Una sorta di pedaggio culturale che rende riconoscibile un luogo e lo identifica, che suscita nel nostro immaginario ricordi, rimpianti, note dolenti.
Alcuni fra di noi però hanno optato per scelte diverse. La poetessa Antonia Pozzi aveva chiaramente espresso il suo desiderio di non essere consegnata al grembo della terra al Monumentale di Milano, come la sua condizione sociale avrebbe previsto. Dopo il doloroso gesto volontario di abbandono della vita, almeno questa sua volontà fu rispettata. Ora chi salga in Valsassina, al di là delle Grigne, e si avvicini a Pasturo (proprio il borgo dell'Agnese dei Promessi Sposi), sa che a occidente, appena discosto, dal grumo delle case, si apre un piccolo cimitero e qui Antonia rimane, sta, sotto un grande masso fatto scendere a valle dalla quota, con fiori e cespugli semplici di montagna, dominato da una grande statua bronzea di un Cristo, che sembra accogliere e dilatarsi.
Antonia è là, ma come comunicare con lei? Indubbiamente rimane la sua opera poetica e letteraria. Non può esserci però un'altra strada, un'altra modalità? Quella che Antonia ha cercato gridando per tutta la vita?
L'immobilità, la stasi, che caratterizza il giardino cimiteriale incute in tutti uno stato d'animo diverso che, magari, ci si scrolla di dosso una volta guadagnato il cancello d'uscita. Il tarlo interrogativo però lavora e, per vie segrete e cunicoli invisibili, scrive un trama che costringe a rispondersi.
Finiremo proprio così? Rigidi, immobili, senza vita? Anche il tanto conclamato riposo, a lungo andare, non risulterà piuttosto noioso e fastidioso?
Gustav Mahler, che di dolori e sofferenze nella vita ne aveva passate tante da intendersene, nella sua opera musicale ci ha lasciato un affresco del Paradiso che funge da ponte dalla bruna terra a... dove? Con Chi? L'innocenza primigenia esplode, l'incanto travolge, la vita dei beati ammalia: ballano, cantano, saltellano. San Pietro guarda, il buon vino non costa un quattrino, gli angeli cuociono il pane... e poi asparagi, pere, mele, uva buona... Santa Marta sarà la cuoca... ogni cosa si desta alla gioia. Tutto è toccante, poetico. Forse consente di superare l'angoscia che attanaglia quando si tocca con mano che i nostri, quelli che abbiamo amato, non ci sono più.
Quale però il grido sotteso alla vita di Antonia Pozzi, quale il dramma di Mahler? Il nostro, quello di ogni giorno che ci vede avvicinare ad una meta che non possiamo eludere e segna la sconfitta per lo spirito e l'intelligenza della persona umana.
Una giovane ragazza francese l'aveva intuito e sofferto ma aveva anche letteralmente buttato all'aria la dotta teologia dei grandi del suo tempo, consegnandoci una testimonianza vissuta: Teresa di Gesù Bambino aveva assaporato l'Infinito, aveva sperimentato dentro di sé il Volto di Dio e si era interrogata. La risposta fu la sua stessa vita.
Ogni desiderio umano si colma soltanto nel Padre, ricco di misericordia, che ci attende. Allora il riposo eterno non significa il sonno demenziale di chi si astrae da tutto per sfuggire a se stesso, perché lo scacco ormai è evidente e implacabile, ma l'armonia silente che guarda alla storia, alle vicende che ci scuotono ogni giorno, con lo sguardo di chi ha messo la sua mano in quella del Padre e vive il proprio percorso, per tutto il tempo che gli sarà dato, in una donazione che è restituzione gioiosa.
Una volta giunta alla meta, al Volto di Dio, Teresa non si esime dalla fatica, dal lavoro, ma lo svolge tutto nella direzione più sicura, interviene costantemente nella storia, passa il suo Cielo, come aveva detto, a far del bene sulla terra. Allora i piaceri di Mahler e il grido di Antonia, possono rimanere e fare da cornice, perché la bruna terra che ricopre i nostri cari non significa desolazione e cenere, ma gioia piena e vita.
Il nesso, indubbiamente di fede, fra tutti coloro che non vediamo più ma che sono i viventi, mentre noi siamo solo i vivi, diventa un anello rovente di amore che ci insegue e ci marchia perché viviamo trasformando questa nostra storia in un grande gesto di amore, qui, non in Paradiso. Qui, la storia infatti è storia nostra.
Perché se la tomba è tramonto di vita, grida anche quell'alba che non conoscerà fine.
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