giovedì, ottobre 29, 2009
La legge sulla blasfemia – prigione e condanna a morte per chi offende il Corano o Maometto – è uno strumento per eliminare le minoranze religiose. AsiaNews lancia una campagna di sensibilizzazione perché sia abrogata. A causa di essa, dal 2001 sono stati uccisi almeno 50 cristiani, distrutte famiglie e interi villaggi. Anche nel Paese emergono voci cristiane e islamiche che chiedono la cancellazione della norma.

di Dario Salvi

Roma (AsiaNews) – Robert Fanish Masih è solo l’ultima vittima cristiana, in ordine di tempo, della legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan dal 1986. Questa legge punisce con ergastolo o pena di morte chi profana il Corano o dissacra il profeta Maometto e basta essere accusati da una sola persona per essere arrestati ed eliminati. Una norma aberrante, foriera di discriminazioni, che “legalizza” violenze contro le minoranze religiose e i cui autori rimangono il più delle volte impuniti, grazie alla connivenza delle forze di polizia e dei funzionari di governo.
Robert, 20enne originario del villaggio di Jaithikey, poco distante dalla città di Samberial, nel distretto di Sialkot (Punjab), era stato arrestato il 12 settembre scorso con l’accusa di blasfemia. Il giorno precedente una folla di musulmani si era riunita attorno alla chiesa locale danneggiando prima l’edificio, poi gli hanno dato fuoco. Gli estremisti hanno anche saccheggiato due abitazioni adiacenti la chiesa.

Il giovane era stato accusato di aver “provocato” una ragazza, prendendo una copia del Corano che aveva fra le mani e “gettandola via”. In realtà, a scatenare l’ira dei fondamentalisti islamici vi era la relazione fra il ventenne cristiano e la ragazza musulmana; uno dei testimoni che ha incriminato Fanish, infatti, è la madre della giovane. Padre Emmanuel Yousaf Mani, direttore della Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Chiesa cattolica (Ncjp), aveva chiarito che i fondamentalisti “non sopportano che una ragazza musulmana si innamori di un cristiano”.

La notte fra il 12 e il 13 settembre Robert Fanish Masih è morto, in carcere, per le violenze subite. Il corpo del giovane, infatti, presentava segni evidenti di ferite profonde alla testa, provocate da un’arma da taglio. Poco dopo il ritrovamento del cadavere, Waqar Ahmad Chohan, ufficiale del distretto di polizia di Sialkot, ha riferito che Fanish si sarebbe “suicidato in cella”. Una tesi smentita con fermezza da numerosi leader cristiani, alcuni dei quali hanno potuto vedere il corpo del giovane prima dei funerali. Nadeem Anthony – membro della Commissione nazionale per i diritti umani (Hrcp) – ha subito denunciato un caso di “omicidio legalizzato”, smentendo la versione degli agenti che parlavano di “impiccagione in carcere”.

L’attivista ha quindi aggiunto che il giovane “ha subito torture, in seguito alle quali è deceduto. Sono visibili i segni delle percosse e delle ferite sul corpo, come emerge dalle fotografie”. Nei giorni seguenti alla morte, AsiaNews ha ricevuto gli scatti del cadavere, che confermano le torture inferte, le quali nulla hanno a che vedere con i segni di strangolamento da impiccagione.

Ai funerali di Fanish Masih, celebrati il 16 settembre, vi sono stati lanci di gas lacrimogeni, numerosi feriti e una serie di arresti; la polizia ha caricato la folla di cristiani radunata per le esequie, giustificando il duro attacco dicendo che “volevano prevenire ulteriori disordini”. Il corpo è stato sepolto in un cimitero cattolico di Sialkot, il distretto d’origine del giovane, dove per diversi giorni ha regnato un’atmosfera carica di tensione.

Le accuse di blasfemia montano spesso fino a decretare la distruzione di case e villaggi cristiani. Lo scorso 30 luglio una folla di 3 mila musulmani ha attaccato e incendiato i villaggi di Koriyan per punire un presunto caso di blasfemia. Il 1° agosto i fanatici hanno attaccato il villaggio di Gojra, uccidendo 7 persone, fra cui donne e bambini, incendiati vivi. La storia degli ultimi decenni in Pakistan è piena di assalti a chiese e villaggi cristiani motivati da scandali sulla blasfemia montati ad arte: Kasur (giugno 2009); Tiasar (Karachi, aprile 2009); Sangla Hill (2005); Shantinagar (1997).

Il Joint Action Committee for People’s Rights (Jac), organizzazione non governativa pakistana che si batte per i diritti umani nel Paese, manifesta “grande preoccupazione” per le violenze in continua crescita, mentre la comunità cristiana lancia appelli – finora caduti nel vuoto – perché venga fatta giustizia; le promesse di risarcimento sono, al momento, rimaste disattese. Le violenze di gruppi musulmani contro cristiani, giustificate con la blasfemia, costituiscono una lunga lista. Esse non riguardano solo cristiani, ma anche altre minoranze e non solo individui, ma villaggi e interi paesi.

Di fronte al crescere di tale violenza gratuita e meschina, coperta dal manto della religione, cominciano ad emergere voci sempre più forti. Il 6 ottobre scorso, alla Camera bassa del Parlamento Sherry Rehman, ex Ministro dell’informazione, e Jameela Gilani, entrambe di fede musulmana, hanno chiesto l’abrogazione della legge sulla blasfemia.

Lo stesso giorno, il parlamentare cristiano Akram Masih Gill lancia una provocazione: “Se esiste l’ergastolo – afferma – per blasfemia contro il Profeta Maometto e il Corano, perché non introduciamo una simile punizione per chi infanga il nome di Cristo e la Bibbia?!”. Fiduciosi di questo appoggio interconfessionale, il 25 ottobre scorso i leader del Pakistan Christian Congress (Pcc), che raduna tutte le organizzazioni cristiane del Paese, hanno indetto una conferenza, a Rawalpindi sotto la minaccia dei fondamentalisti islamici. L’obiettivo era “l’abolizione totale delle leggi sulla blasfemia”. (continua a leggere)


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