martedì, novembre 03, 2009
"Ci troviamo di fronte a crimini contro l'umanità, perché si tratta di atti illegali, di vere e proprio persecusioni sistematiche e su larga scala"

PeaceReporter - La giornalista inviata di Radio Nizkor in Colombia, Claudia Julieta Duque, è vittima dal 2001 di una persecuzione da parte dei servizi di segreti colombiani, che la pedinano, la controllano, la minacciano e la studiano in ogni suo movimento. A denunciarlo è Gregorio Dionis, presidente dell'Equipo Nizkor, organizzazione in difesa dei diritti umani, che lavora in tutta l'America Latina e non solo: "Prove giudiziarie ci permettono di affermare che il Governo ha messo in atto quello che i manuali militari sia della Nato che degli Stati Uniti definiscono operazioni di informazione e controspionaggio [...] contro organizzazioni in difesa dei diritti umani, giornalisti investigativi, e giudici delle Alte Corti, alcuni dei quali sono poi diventati, come è successo a Claudia, dei veri e propri obiettivi da eliminare. Si tratta di operazioni che rientrano in quella che viene definito controspionaggio offensivo e che ha il fine di eliminare gli obiettivi usando ogni mezzo umano, tecnico e militare e arrivando a colpire l'intera rete di relazioni affettive e familiari". Il tutto sarebbe coordinato dalla Marina da guerra e finanziato da un paese straniero, al cui identità non è stata ancora rivelata.

Poco importa se a difesa della corrispondente spagnola sia intervenuta la Corte costituzione, imponendo al Das (il servizio di intelligence) di consegnare tutti i documenti del caso e di smantellare il controspionaggio, perché niente è stato consegnato, e niente è cambiato. Tanto che lo scorso 16 ottobre, l'edificio dove vive abitualmente Claudia Julieta Duque è stato assaltato da un'unità perfettamente organizzata di almeno dieci persone, le quali disponevano di almeno quattro automezzi. Gli uomini sono penetrati all'interno dell'abitazione, preoccupandosi anche di circondare la casa. "Si è trattato di un'operazione chiaramente militare - spiega Dionis - che non ha avuto gli esiti sperati perché Claudia non era in casa ma impegnata in un processo di accompagnamento internazinale con Peace Brigades". È evidente, dunque, che la donna, che lavora regolarmente in Colombia come giornalista e che in più fa parte della Ong Equipo Nizkor, non ha mai smesso di essere perseguita e dunque "possiamo affermare con certezza che il Governo non ha smantellato il sistema di controspionaggio del quale esistono prove giudiziarie schiaccianti".

Il fatto che queste operazioni siano indirizzate contro la popolazione civile e, in particolare, contro precisi settori sociali rende la questione ancora più grave: "Ci troviamo di fronte a crimini contro l'umanità - precisa Dionis - perché si tratta di atti illegali, di vere e proprio persecusioni sistematiche e su larga scala. Il solo fatto di esistere e le prove che abbiamo raccolto ci permettono di dire che ai responsabili di tali crimini devono essere applicati i parametri usati dal Tribunale penale internazionale per la Ex Jugoslavia al fine di determinare le responsabilità penali individuali".


Nel caso della corrispondente di Nizkor, "questa organizzazione criminale ha agito almeno contro 400 persone e contro l'entourage professionale, familiare e contro qualsiasi tipo di relazione personale - continua nella sua denuncia il presidente -. Come organizzazione specializzata nell'applicazione del diritto penale internazionale, faremo di tutto perché i responsabili siano assicurati davanti alla giustizia. Queste tecniche sono incompatibili con lo sviluppo delle libertà civili in qualsiasi società e portano al controllo politico e sociale di una società, lasciando i cittadini totalmente indifesi davanti a un uso massiccio di tecniche sociologiche, antropolgiche, psicologiche avanzatissime, di raggiro e coercizione".
Il fatto, poi, che l'atto di intimidazione più violento subito da Claudia Julieta il 16 ottobre arriva guarda caso proprio quando la giornalista deve presentarsi in tribunale per testimoniare contro il Das, nell'unico procedimento diretto contro il Dipartimento amministrativo di sicurezza arrivato nelle aule del massimi tribunali.

"Questi i fatti. Da ora in poi considereremo diretto responsabile della protezione di Claudia il presidente Álvaro Uribe Vélez, - conclude Dionis - . Non solo perché presidente della Repubblica colombiana, ma perché rappresenta la massima autorità del Das. Per questo lo avvertiamo che, secondo la dottrina penale applicabile, la sua responsabilità è racchiusa nel principio che converte i superiori in penalmente responsabili degli atti illegali dei subordinati, dato che, come minimo, deve saper, o aver saputo, quanto accade in tutte le operazioni illegali del suddetto organo di intelligence". E dato che si tratta di un delitto che non cade in prescrizione, "non si prescriveranno nemmeno le responsabilità di Uribe - precisa - e noi continueremo a muoverci legalmente per ottenere indagini su tutti gli atti illegali e criminali che, sotto il suo comando, ha commesso il Das. Uno a uno".

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