Gratitudine in Sicilia e Sardegna dopo l’appello del Papa per gli operai degli stabilimenti di Termini Imerese e Portovesme
Ha ricevuto vasta eco l’appello di Benedetto XVI, ieri all’Angelus, in favore di chi rischia di perdere il proprio posto di lavoro. Il Papa, esortando a fare tutto il possibile per tutelare l’occupazione, ha ricordato in particolare le difficili realtà in Italia di Termini Imerese, in provincia di Palermo, e di Portovesme, frazione del comune sardo di Portoscuso, in provincia di Carbonia-Iglesias. Proprio oggi in Sicilia, dove rischiano il licenziamento oltre 1300 persone, gli operai della Fiat sono tornati al lavoro dopo la sospensione, nei giorni scorsi, della produzione.
RadioVaticana - L’appello del Papa giunge in un momento particolarmente complesso, come sottolinea al microfono di Fabio Colagrande l’arciprete del Duomo di Termini Imerese, padre Francesco Anfuso:
R. – Come comunità ecclesiale, come operai, come famiglie, come città ci si sentiva soli, terribilmente soli, abbandonati dalla politica, abbandonati un po’ da tutti. Risentire in questo momento cruciale la voce del Papa per gli operai è come ridare vigore ai muscoli stanchi. Adesso, possono continuare a sperare. Dico quello che mi ha detto un operaio che si sentiva schiacciato, oppresso. Come responsabile della sua famiglia, con tre bambini e la moglie, si è sentito proprio rafforzato, rinfrancato a rimettersi in piedi e a camminare. Adesso c’è qualcuno con lui. E questo penso che esprima al meglio quello che è l’animo dei lavoratori, delle loro famiglie e della Chiesa di Termini Imerese. Adesso la voce del Papa ci ridà fiato.
D. – Sono previsti scioperi nei prossimi giorni?
R. – Si aspetta il giorno 5 per il tavolo della concertazione, per vedere proposte, altre cordate: a quanto pare, la Fiat passa la mano a queste nuove cordate. Comunque, ciò che interessa è il posto di lavoro, a prescindere dal fatto che sia assicurato o non dalla Fiat.
D. – Don Francesco, può raccontarci una storia di un operaio di Termini Imerese, una persona che con la sua sofferenza, il suo affetto per la famiglia, il suo sacrificio in qualche modo è un modello anche per gli altri operai...
R. – Un esempio è stato offerto proprio dall’operaio che ho incontrato questa mattina. E’ venuto in Chiesa, si è messo in ginocchio davanti all’Immacolata e poi ha espresso la propria gratitudine. Vedeva i figli senza un futuro e a casa non voleva sentire certi discorsi. Poi, oggi mi ha abbracciato e mi ha detto: “Dica grazie al Papa”.
D. – Assicurare un lavoro dignitoso, adeguato sostentamento delle famiglie è un impegno che deve essere garantito proprio da tutti i cristiani...
R. – E’ ovvio che non possiamo demandarlo né al Papa né ad un sacerdote. Ognuno deve fare la sua parte e soprattutto i politici devono cercare nuovi percorsi. I politici usino bene ciò che il Signore ha affidato loro e lo mettano a servizio della comunità.
Vivono giorni di grande preoccupazione anche gli operai dello stabilimento Alcoa di Portovesme, che rischiano il posto di lavoro per la chiusura della fabbrica. Anche in Sardegna le parole del Santo Padre sono state accolte con gratitudine e commozione. Ascoltiamo il vescovo di Iglesias, mons. Giovanni Paolo Zedda, intervistato da Amedeo Lomonaco:
R. – Sono state graditissime, perché realmente la tensione di questo ultimo periodo, che resiste nel territorio ha bisogno anche di questa presenza e di questa insistenza sull’impegno di tutti. Dà sicuramente una spinta ulteriore per una ricerca seria di soluzione a questi problemi. In relazione col numero degli abitanti, è una crisi che realmente incide tantissimo su tutto il territorio: interessa più di 2500 operai e famiglie, su un numero complessivo di 125-130 mila abitanti. Venendo a mancare il sostegno per queste famiglie, indubbiamente si creano tante altre situazioni di disagio, soprattutto a livello giovanile.
D. – A far riflettere sono anche episodi drammatici come, ad esempio, quello del ragazzo bergamasco che si è dato fuoco dopo aver perso il proprio posto di lavoro. Come arginare anche nella vostra terra il rischio di rimanere indifferenti di fronte al grido di allarme di famiglie colpite dal licenziamento, dalla cassa integrazione o dal precariato?
R. – Da noi c’è sensibilità, perché realmente è una situazione molto avvertita. Indubbiamente, i problemi di quest'ultimo anno hanno inciso ancora più profondamente su questa sensibilità e purtroppo ciò che può venirsi a creare è la sfiducia se non ci dovesse essere un risultato positivo.
D. – Facendo tesoro di questa sensibilità, quale strada indica la Chiesa ad imprenditori, lavoratori e autorità per trovare una soluzione?
R. - L’insistenza è continua, anche nella pastorale ordinaria delle nostre parrocchie, perché, intanto, ci sia l’assunzione di responsabilità. Poi, contemporaneamente, stiamo facendo di tutto per essere vicini a quelli che soffrono di più per questa crisi, anche attraverso l’aiuto concreto, per quello che ci è possibile, e soprattutto attraverso l'insistenza sul creare stili di vita diversi, dando maggiore attenzione alle persone più in difficoltà.
D. - Ripercorrere la strada della responsabilità, che poi è una delle vie guida anche nell’Enciclica Caritas in veritate del Santo Padre: evitare quindi che la crisi economica prenda il sopravvento sulla dignità della persona?
R. - Cercando di vivere la crisi assumendosene la responsabilità e cercando di trovare anche a livello personale e famigliare degli atteggiamenti nuovi per non lasciarsi vincere e anche per affrontarla con serenità e con sapienza. Già ieri, per esempio, in un paese vicino, San Giovanni Suergiu, che tradizionalmente ogni fine gennaio fa una fiaccolata per la pace si sono uniti anche molti operai e hanno marciato proprio dicendo che pace e lavoro marciano insieme: non c’è la possibilità di essere veramente in pace anche tra di noi se non c’è anche un minimo di certezza nel poter esprimere la propria attività lavorativa con serenità.
RadioVaticana - L’appello del Papa giunge in un momento particolarmente complesso, come sottolinea al microfono di Fabio Colagrande l’arciprete del Duomo di Termini Imerese, padre Francesco Anfuso:
R. – Come comunità ecclesiale, come operai, come famiglie, come città ci si sentiva soli, terribilmente soli, abbandonati dalla politica, abbandonati un po’ da tutti. Risentire in questo momento cruciale la voce del Papa per gli operai è come ridare vigore ai muscoli stanchi. Adesso, possono continuare a sperare. Dico quello che mi ha detto un operaio che si sentiva schiacciato, oppresso. Come responsabile della sua famiglia, con tre bambini e la moglie, si è sentito proprio rafforzato, rinfrancato a rimettersi in piedi e a camminare. Adesso c’è qualcuno con lui. E questo penso che esprima al meglio quello che è l’animo dei lavoratori, delle loro famiglie e della Chiesa di Termini Imerese. Adesso la voce del Papa ci ridà fiato.
D. – Sono previsti scioperi nei prossimi giorni?
R. – Si aspetta il giorno 5 per il tavolo della concertazione, per vedere proposte, altre cordate: a quanto pare, la Fiat passa la mano a queste nuove cordate. Comunque, ciò che interessa è il posto di lavoro, a prescindere dal fatto che sia assicurato o non dalla Fiat.
D. – Don Francesco, può raccontarci una storia di un operaio di Termini Imerese, una persona che con la sua sofferenza, il suo affetto per la famiglia, il suo sacrificio in qualche modo è un modello anche per gli altri operai...
R. – Un esempio è stato offerto proprio dall’operaio che ho incontrato questa mattina. E’ venuto in Chiesa, si è messo in ginocchio davanti all’Immacolata e poi ha espresso la propria gratitudine. Vedeva i figli senza un futuro e a casa non voleva sentire certi discorsi. Poi, oggi mi ha abbracciato e mi ha detto: “Dica grazie al Papa”.
D. – Assicurare un lavoro dignitoso, adeguato sostentamento delle famiglie è un impegno che deve essere garantito proprio da tutti i cristiani...
R. – E’ ovvio che non possiamo demandarlo né al Papa né ad un sacerdote. Ognuno deve fare la sua parte e soprattutto i politici devono cercare nuovi percorsi. I politici usino bene ciò che il Signore ha affidato loro e lo mettano a servizio della comunità.
Vivono giorni di grande preoccupazione anche gli operai dello stabilimento Alcoa di Portovesme, che rischiano il posto di lavoro per la chiusura della fabbrica. Anche in Sardegna le parole del Santo Padre sono state accolte con gratitudine e commozione. Ascoltiamo il vescovo di Iglesias, mons. Giovanni Paolo Zedda, intervistato da Amedeo Lomonaco:
R. – Sono state graditissime, perché realmente la tensione di questo ultimo periodo, che resiste nel territorio ha bisogno anche di questa presenza e di questa insistenza sull’impegno di tutti. Dà sicuramente una spinta ulteriore per una ricerca seria di soluzione a questi problemi. In relazione col numero degli abitanti, è una crisi che realmente incide tantissimo su tutto il territorio: interessa più di 2500 operai e famiglie, su un numero complessivo di 125-130 mila abitanti. Venendo a mancare il sostegno per queste famiglie, indubbiamente si creano tante altre situazioni di disagio, soprattutto a livello giovanile.
D. – A far riflettere sono anche episodi drammatici come, ad esempio, quello del ragazzo bergamasco che si è dato fuoco dopo aver perso il proprio posto di lavoro. Come arginare anche nella vostra terra il rischio di rimanere indifferenti di fronte al grido di allarme di famiglie colpite dal licenziamento, dalla cassa integrazione o dal precariato?
R. – Da noi c’è sensibilità, perché realmente è una situazione molto avvertita. Indubbiamente, i problemi di quest'ultimo anno hanno inciso ancora più profondamente su questa sensibilità e purtroppo ciò che può venirsi a creare è la sfiducia se non ci dovesse essere un risultato positivo.
D. – Facendo tesoro di questa sensibilità, quale strada indica la Chiesa ad imprenditori, lavoratori e autorità per trovare una soluzione?
R. - L’insistenza è continua, anche nella pastorale ordinaria delle nostre parrocchie, perché, intanto, ci sia l’assunzione di responsabilità. Poi, contemporaneamente, stiamo facendo di tutto per essere vicini a quelli che soffrono di più per questa crisi, anche attraverso l’aiuto concreto, per quello che ci è possibile, e soprattutto attraverso l'insistenza sul creare stili di vita diversi, dando maggiore attenzione alle persone più in difficoltà.
D. - Ripercorrere la strada della responsabilità, che poi è una delle vie guida anche nell’Enciclica Caritas in veritate del Santo Padre: evitare quindi che la crisi economica prenda il sopravvento sulla dignità della persona?
R. - Cercando di vivere la crisi assumendosene la responsabilità e cercando di trovare anche a livello personale e famigliare degli atteggiamenti nuovi per non lasciarsi vincere e anche per affrontarla con serenità e con sapienza. Già ieri, per esempio, in un paese vicino, San Giovanni Suergiu, che tradizionalmente ogni fine gennaio fa una fiaccolata per la pace si sono uniti anche molti operai e hanno marciato proprio dicendo che pace e lavoro marciano insieme: non c’è la possibilità di essere veramente in pace anche tra di noi se non c’è anche un minimo di certezza nel poter esprimere la propria attività lavorativa con serenità.
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