giovedì, febbraio 11, 2010
Intervista a Claudio Tesauro, Presidente di "Save the Children" Italia

di Fabio Gioffrè

La tragedia di Haiti ha portato alla ribalta dei media e del Governo il problema delle enormi, e spesso esagerate, lungaggini burocratiche che le coppie italiane devono affrontare per realizzare un’adozione internazionale. Solo chi si è trovato ad intraprendere questo percorso può capire quali siano gli ostacoli per poter adottare un bambino da un paese estero: spesso servono anche tre anni di attesa.
Inoltre c’è un aspetto di cui pubblicamente si parla poco, ossia quello economico: affrontare un’adozione internazionale comporta infatti una spesa compresa tra i 15 e i 20.000 euro. Queste sono le cifre richieste dagli enti autorizzati che si occupano di far giungere in Italia i bambini adottati e comprendono il soggiorno della coppia nel paese di origine del bambino, le spese burocratiche ed il guadagno degli stessi enti.Quasi sempre le coppie sono obbligate a compiere soggiorni di 30-40 giorni nel paese estero per familiarizzare con il bambino o solo per essere sottoposte ad altre vessazione burocratiche.

Sembra assurdo ma adottare un bambino comporta dei grandi sacrifici psicologici ed economici che si vanno ad aggiungere a quelli precedenti che la coppia ha probabilmente affrontato per tentare di avere un bambino naturalmente. Molte di queste coppie infatti provengono da lunghi e sacrificanti cicli di procreazioni assistite fallite.

Abbiamo chiesto un parere sul problema delle adozioni in Italia a Claudio Tesauro, Presidente di “Save the Children”.


D. - Dott. Tesauro, il quadro che abbiamo dipinto in merito alle adozioni internazionali ed al percorso che le coppie devono compiere corrisponde alla realtà?


R. - Le posso rispondere non come Presidente di Save the Children, che non si occupa di adozioni internazionali, ma nella mia qualità di padre adottivo. Che il percorso adottivo sia lungo e difficoltoso è sicuramente vero. E’ anche vero però che la coppia che decide di adottare deve essere accompagnata con attenzione nel cammino che ha deciso di intraprendere.
Occorre quindi distinguere tra la fase “nazionale” che porta al decreto di idoneità all’adozione e quella “internazionale” nella quale l’ente prescelto propone l’abbinamento con il bambino. Nella fase “nazionale” ci sono sicuramente alcuni passaggi burocratici che potrebbero essere snelliti ma il confronto con i servizi sociali resta di fondamentale importanza e non deve essere sottovalutato: la coppia deve confermare la propria scelta quando le è chiaro il futuro percorso che dovrà intraprendere. Una volta avuto il decreto di idoneità, la coppia deve affidarsi ad un ente per l’abbinamento; e la capacità (rapidità) dell’ente di poter proporre un abbinamento dipende in massima parte dalla burocrazia del paese nel quale si adotta. E su questo c’è davvero poco da fare.


D. - Il terremoto di Haiti ha sollevato molti interrogativi su quali siano le soluzioni migliori per aiutare i bambini rimasti orfani. Molti, tra politici ed operatori umanitari, sostengono che facilitare le adozioni a distanza sia il modo migliore per non creare altri traumi a questi bambini, soprattutto se si parla di affidamenti temporanei. C’è invece chi sostiene che bisognerebbe snellire e velocizzare le adozioni definitive. Quale è il suo parere in merito a questo dibattito?


R. - Su questo le rispondo invece come Presidente di Save the Children.
Noi siamo convinti che l’unico modo di aiutare i bambini di Haiti sia di farlo in loco. Bambini che già hanno subito un trauma violento come il terremoto non devono essere esposti anche al trauma di un trasferimento in terre lontane. Occorre organizzare rapidamente, cosa che Save the Children sta facendo, dei luoghi sicuri dove assistere questi bambini, dar loro acqua, cibo, medicine. Bisogna cercare di riportarli il più presto possibile ad una situazione di normalità. E’ provato che l’educazione, intesa come il “ritorno a scuola” e quindi alla normalità, gioca un ruolo fondamentale nell’aiutare i piccoli a superare il trauma subito. Poi si tenta il ricongiungimento con i familiari e, solo ove risultasse che non vi è più nessun membro della famiglia “allargata” in grado di prendersi cura di loro, il bambino potrà essere dato in adozione internazionale.

D. – Quali progetti di aiuto ha in corso ad Haiti l’organizzazione di cui lei fa parte, Save the Children?


R. - Dall’inizio dell’emergenza, Save the Children ha già raggiunto oltre 170.000 fra adulti e bambini, assicurando loro cibo, medicine e generi di prima necessità. In particolare, 8600 persone hanno ricevuto aiuti non alimentari (kit igienici, coperte, taniche per l'acqua, etc.), e altre 16.500 hanno ricevuto acqua pulita. Prima di iniziare la distribuzione in collaborazione con il WFP, l’Organizzazione aveva già distribuito aiuti alimentari a circa 30.000 persone, e formato circa 140 operatori a Léogane per la promozione dell’allattamento al seno. Save the Children sta inoltre fornendo assistenza sanitaria in 32 campi sfollati e nella scorsa settimana il personale medico che opera nelle cliniche mobili dell’organizzazione ha visitato quasi 2.900 persone. Attraverso le 17 “aree a misura di bambino” allestite in altrettanti campi sfollati sia a Port-au-Prince che a Jacmel, oltre 10.000 bambini vengono assistiti da personale specializzato che li aiuta ad affrontare ed elaborare il trauma subito, mentre al contempo sono state avviate le attività di identificazione e ricongiungimento dei minori con i genitori e i familiari.
Save the Children è presente ad Haiti dal 1978 con un ampio programma di prevenzione dei disastri, educazione, salute, protezione, uno staff di circa 220 persone, un ufficio centrale a Port-au-Prince e altri uffici a Jacmel, Massaide e Gonaives.


Ringraziamo il Dott. Tesauro e ricordiamo ai nostri lettori che “La Perfetta Letizia” aiuta le organizzazioni umanitarie come “Save the Children” pubblicando notizie sulle varie attività di aiuti che esse svolgono nei luoghi poveri del mondo.


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