«Grandioso è il tema della vocazione iniziale, originaria, nativa. E' qualcosa che ci riguarda tutti da vicino e ci rende solidali. Dio Amore, «chiamandoci all’esistenza per amore, ci ha chiamati nello stesso tempo all’amore» (Giovanni Paolo II).
«È una forza formidabile scrisse Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1881), nel suo romanzo I fratelli Karamazov, la più grande di tutte, come non ce n’è un’altra». È una «potenzialità» che ciascuno di noi porta dentro: il bisogno di librarsi in volo, in alto, liberi e felici, superando ogni forma di mediocrità o di appiattimento, per amare ed essere amati. Il nostro cuore custodisce in sé aspirazioni infinite. (...) A tutti noi, «pescati» e conquistati da lui, Gesù chiede di farci, gli uni con gli altri e gli uni per gli altri, cercatori e portavoce e interpreti del suo amore e della sua tenerezza fra gli uomini."
«Lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,1-11). Questa frase che chiude il Vangelo della V domenica del tempo ordinario è il vero «miracolo» della pesca nel lago di Genezareth, narrata da Luca all'inizio della vita pubblica di Gesù (5,1-11). Il giovane Profeta di Nazareth, che dice a Simon Pietro: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca» (Lc 5,4), si rivela come un pescatore straordinario: sa compiere il miracolo di cambiare il cuore degli uomini, perché non vivano solo per se stessi, ma per gli altri, vicini o lontani, “nostrani” o “avversari”, “interni” o “esterni”. “Pescati” da lui, diventino a loro volta pescatori di uomini.
La scena evangelica che ci viene proposta inizia con un'immagine opposta a quella di domenica scorsa, quando Gesù viene cacciato da Nazareth. Il motivo scatenante l'opposizione dei suoi concittadini è la mancanza di miracoli. Il problema non sta in lui, ma nell'incredulità dei nazaretani. L'evangelista Matteo nota che Gesù non «poté» operare miracoli (13,58), non che «non volle». Manca la fiducia in quel loro concittadino. Gesù li sorprende tutti. Per trent'anni si è confuso con loro, senza distinguersi in nulla. Restano sbalorditi, quel sabato pomeriggio in sinagoga, al sentirlo parlare, ma non vogliono accettare che sia diverso da loro. I diversi non sono mai accolti e Gesù fu cacciato.
Ora la scena è completamente diversa. Sulla riva del lago Gesù sta in mezzo alla gente. E' quasi assediato. E' una situazione un po' confusa, ma ugualmente bella. Finalmente quegli uomini e quelle donne «stanchi e sfiniti, come pecore senza pastore», hanno trovato uno che sapeva parlare alla loro vita. In tanti accorrono, cercano di avvicinarsi, di toccarlo, al punto da spingerlo pericolosamente verso il lago. Gesù non passa via, come fece a Nazareth, né si allontana infastidito. Vede lì due barche ormeggiate e i pescatori sulla riva a sistemare le reti. Si avvicina a Simone, uno dei pescatori, gli chiede di salire sulla sua barca e lo invita a scostarsi dalla riva. Si mette quindi a parlare alla folla. Luca non ci fa sapere il contenuto della predicazione, come fece per Nazareth; gli è sufficiente sottolineare l'evento della predicazione. E' chiaro che vuol presentare l'immagine di Gesù maestro (Christós didàskalos) come l'icona cardine della vita cristiana. Nei secoli futuri questa immagine riempirà le chiese cristiane. E' solo dopo la predicazione di Gesù che la «barca di Pietro» può «prendere il largo», può addentrarsi nel mare alto della vita. In effetti, la forza di questa barca � come pure di ogni componente il suo equipaggio � nasce da quella parola: è sull'ordine di Gesù che prendono il largo. Non importa che l'ordine dato sia umanamente inconcepibile e comunque strano: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola - aggiunge Pietro - getterò le reti» (v. 5). L'obbedienza alla sua parola provoca la pesca inattesa, improbabile, straordinaria.
Il nostro mondo, quello di oggi, segnato dalle «acque profonde», come amava dire Paolo VI (Giovanni Battista Montini, � 1978), ha bisogno di questa barca e di pescatori obbedienti al Vangelo, fiduciosi come lo era stato Pietro. Non è questione di sentirsi puri e senza macchia. Pietro non era certo immune dal peccato. Anzi, i Vangeli ce lo mostrano non poche volte debole e traditore. Quest'uomo che si prostra in ginocchio davanti a Gesù, è l'immagine più vera dell'uomo religioso, del vero cristiano, il paradigma, l'esempio per tutti noi. Pietro riconosce in Gesù il Kyrios, il vero Signore della sua vita, il Re dei re. Per questo si prostra ed esclama: «Allontanati da me che sono un peccatore» (v. 8). E' una preghiera opposta ai sentimenti di Dio. Dio non si allontana dal peccatore, gli si avvicina; non è venuto per circondarsi di giusti, ma di colpevoli; non va incontro ai sani, va in cerca dei malati. Eppure è una preghiera vera, quella di Pietro, perché esprime la verità di noi stessi di fronte a Dio: siamo piccoli e peccatori.
Già il profeta Isaia aveva indicato questo atteggiamento dell'uomo religioso: «Io vidi il Signore seduto sul trono alto ed elevato (...) e dissi: “Sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure sono io”» (Is 6,1.5). Nel nostro mondo, in cui gli uomini si sono creati tanti troni, di fronte ai quali non solo si inginocchiano, ma spesso sacrificano persino la loro vita, è necessario recuperare l'altezza, la profondità, l'unicità di Dio. Sballottati come siamo nelle «acque profonde» di questo nostro mondo, abbiamo tutti bisogno di ritrovare la fede di Pietro che ci fa mettere in ginocchio davanti a Gesù, «Uomo per gli altri», «Pro-esistente», «Esistente per gli altri» (D. Bonhoeffer). A noi, poveri uomini e donne «dalle labbra impure», ma prostrati davanti a Gesù, oggi viene detto, come a Pietro quel giorno: «Non temete, d'ora in poi sarete pescatori di uomini» (Lc 5,10), da oggi in avanti. Questo nuovo inizio di Pietro, ch'è pure di chiunque si mette vicino a lui, è il vero miracolo che il mondo attende.
Grandioso è il tema della vocazione iniziale, originaria, nativa. è qualcosa che ci riguarda tutti da vicino e ci rende solidali. Dio Amore, «chiamandoci all’esistenza per amore, ci ha chiamati nello stesso tempo all’amore» (Giovanni Paolo II). «È una forza formidabile» scrisse Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1881), nel suo romanzo I fratelli Karamazov, la più grande di tutte, come non ce n’è un’altra». È una «potenzialità» che ciascuno di noi porta dentro: il bisogno di librarsi in volo, in alto, liberi e felici, superando ogni forma di mediocrità o di appiattimento, per amare ed essere amati. Il nostro cuore custodisce in sé aspirazioni infinite. Lo espresse già s. Agostino in una celebre meditazione:
«Grande sei, o Signore, degno di somma lode; grande è la tua potenza, senza limiti la tua sapienza (�). L’uomo, particella della tua creazione, vuol cantare le tue lodi. Tu lo sproni, affinché gusti la gioia di lodarti, poiché ci hai creati per te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te».
E il Signore ci chiama a conoscerlo e ci vuole tra i suoi figli. Egli desidera incontrarci, ma noi fatichiamo, scappiamo, siamo indifferenti e indaffarati. Diverse sono le strade attraverso cui lasciarci raggiungere da Dio: per Isaia è il silenzio e la preghiera del tempio. Dimensione trascurata, il silenzio manca alle nostre giornate piene di frastuono, di rumore, di pseudo realtà formate da sogni e desideri, fantasie e musiche, ricordi e rimpianti, successi e delusioni... Al di là del silenzio esteriore, che pure ha il suo peso, ciò che conta è entrare in un “silenzio pieno ed abitato” dalla presenza del Signore. Occorre percepire la sua presenza per lasciare che agisca in noi, in un atteggiamento di accoglienza del suo amore. Ciascuno di noi, secondo la propria sensibilità, nella diverse tappe della vita, può scoprire la forma e il ritmo dei tempi di silenzio che gli sono necessari per vivere, per non rimanere degli eterni superficiali oppure diventare dei “pappagalli religiosi”, senza anima e senza cuore. «Nulla ha tanto radicalmente mutato la fisionomia umana» dice Max Picard (1965), medico, scrittore e filosofo svizzero quanto la perdita di ogni relazione col silenzio».
Paolo è chiamato attraverso la testimonianza della comunità: la stessa comunità che egli perseguita. Non è così anche per noi? Parlare di Chiesa ci disorienta, ci secca, e si è disposti a dire ogni male della Chiesa, là dove per “Chiesa” intendiamo una specie di struttura rigida e ostile fatta di privilegi e astrusità, non una comunità di fratelli che vivono e testimoniano il Vangelo. Paolo passa dalle parole ai fatti: questa “Chiesa” va eliminata, ma, sulla strada di Damasco sarà atterrato e accecato, dovrà cambiare giudizio e fidarsi, per vederci chiaro. Dopo molti anni riguarda la sua esperienza e vede che Dio l'ha raggiunto proprio attraverso la testimonianza di quei fratelli che egli voleva distruggere.
Pietro, il pescatore, trova Dio nell'asprezza della sua vita, nel tran-tran del quotidiano, alla fine di una giornata andata storta. Dio lo cerca e lo raggiunge proprio là dove meno se lo aspetta e lo convince attraverso una pesca inattesa. Pietro reagisce un po' infastidito dall'ingerenza di questo falegname che gli vuole insegnare il suo mestiere, ma si fida. Esiste un momento nella vita in cui percepiamo che Dio bussa alla nostra porta, vediamo che ci tallona, intuiamo il rischio che comporterebbe seguirlo. Tutto ci dice che è illogico, perché nessuno pesca a mattino inoltrato. E ci resta la scelta. Pietro si fida sulla sua parola e torna al lago, e la sua vita cambia.
La presenza di Dio/luce ci rivela la nostra tenebra e ci manifesta la nostra piccolezza. Pietro, Paolo e Isaia vedono l'infinito e sentono la loro piccolezza, sono abbagliati dalla luce e vedono riflessa l'ombra. Si dicono: «Com'è possibile tanta meraviglia?» e sentono il peso della loro incredulità. A questo siamo chiamati: nel silenzio della preghiera, nel quotidiano deludente, nella testimonianza di altri cristiani, Dio ci chiama ad essere suoi figli. Isaia, Paolo, Pietro accettano e la loro vita è trasfigurata. Diventeranno testimoni, racconteranno Dio, lo porteranno in tutte le vicende della loro vita. Dio ha bisogno, oggi, di questi testimoni. A tutti noi, «pescati» e conquistati da lui, chiede di farci, gli uni con gli altri e gli uni per gli altri, cercatori e portavoce e interpreti del suo amore e della sua tenerezza fra gli uomini.
La nostra preghiera:
Cristo Gesù, trasparente Figlio del Padre, aiutaci ad avere un cuore puro, generoso, pronto a seguirti sulle strade che tu ci indichi. Donaci uno sguardo limpido per testimoniare agli altri che crediamo davvero all'Amore che tu sei. Fortifica la nostra debole volontà nel seguirti e vivere in pienezza il dono della vita, Tu che sei Vita... Amen
«È una forza formidabile scrisse Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1881), nel suo romanzo I fratelli Karamazov, la più grande di tutte, come non ce n’è un’altra». È una «potenzialità» che ciascuno di noi porta dentro: il bisogno di librarsi in volo, in alto, liberi e felici, superando ogni forma di mediocrità o di appiattimento, per amare ed essere amati. Il nostro cuore custodisce in sé aspirazioni infinite. (...) A tutti noi, «pescati» e conquistati da lui, Gesù chiede di farci, gli uni con gli altri e gli uni per gli altri, cercatori e portavoce e interpreti del suo amore e della sua tenerezza fra gli uomini."
«Lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,1-11). Questa frase che chiude il Vangelo della V domenica del tempo ordinario è il vero «miracolo» della pesca nel lago di Genezareth, narrata da Luca all'inizio della vita pubblica di Gesù (5,1-11). Il giovane Profeta di Nazareth, che dice a Simon Pietro: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca» (Lc 5,4), si rivela come un pescatore straordinario: sa compiere il miracolo di cambiare il cuore degli uomini, perché non vivano solo per se stessi, ma per gli altri, vicini o lontani, “nostrani” o “avversari”, “interni” o “esterni”. “Pescati” da lui, diventino a loro volta pescatori di uomini.
La scena evangelica che ci viene proposta inizia con un'immagine opposta a quella di domenica scorsa, quando Gesù viene cacciato da Nazareth. Il motivo scatenante l'opposizione dei suoi concittadini è la mancanza di miracoli. Il problema non sta in lui, ma nell'incredulità dei nazaretani. L'evangelista Matteo nota che Gesù non «poté» operare miracoli (13,58), non che «non volle». Manca la fiducia in quel loro concittadino. Gesù li sorprende tutti. Per trent'anni si è confuso con loro, senza distinguersi in nulla. Restano sbalorditi, quel sabato pomeriggio in sinagoga, al sentirlo parlare, ma non vogliono accettare che sia diverso da loro. I diversi non sono mai accolti e Gesù fu cacciato.
Ora la scena è completamente diversa. Sulla riva del lago Gesù sta in mezzo alla gente. E' quasi assediato. E' una situazione un po' confusa, ma ugualmente bella. Finalmente quegli uomini e quelle donne «stanchi e sfiniti, come pecore senza pastore», hanno trovato uno che sapeva parlare alla loro vita. In tanti accorrono, cercano di avvicinarsi, di toccarlo, al punto da spingerlo pericolosamente verso il lago. Gesù non passa via, come fece a Nazareth, né si allontana infastidito. Vede lì due barche ormeggiate e i pescatori sulla riva a sistemare le reti. Si avvicina a Simone, uno dei pescatori, gli chiede di salire sulla sua barca e lo invita a scostarsi dalla riva. Si mette quindi a parlare alla folla. Luca non ci fa sapere il contenuto della predicazione, come fece per Nazareth; gli è sufficiente sottolineare l'evento della predicazione. E' chiaro che vuol presentare l'immagine di Gesù maestro (Christós didàskalos) come l'icona cardine della vita cristiana. Nei secoli futuri questa immagine riempirà le chiese cristiane. E' solo dopo la predicazione di Gesù che la «barca di Pietro» può «prendere il largo», può addentrarsi nel mare alto della vita. In effetti, la forza di questa barca � come pure di ogni componente il suo equipaggio � nasce da quella parola: è sull'ordine di Gesù che prendono il largo. Non importa che l'ordine dato sia umanamente inconcepibile e comunque strano: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola - aggiunge Pietro - getterò le reti» (v. 5). L'obbedienza alla sua parola provoca la pesca inattesa, improbabile, straordinaria.
Il nostro mondo, quello di oggi, segnato dalle «acque profonde», come amava dire Paolo VI (Giovanni Battista Montini, � 1978), ha bisogno di questa barca e di pescatori obbedienti al Vangelo, fiduciosi come lo era stato Pietro. Non è questione di sentirsi puri e senza macchia. Pietro non era certo immune dal peccato. Anzi, i Vangeli ce lo mostrano non poche volte debole e traditore. Quest'uomo che si prostra in ginocchio davanti a Gesù, è l'immagine più vera dell'uomo religioso, del vero cristiano, il paradigma, l'esempio per tutti noi. Pietro riconosce in Gesù il Kyrios, il vero Signore della sua vita, il Re dei re. Per questo si prostra ed esclama: «Allontanati da me che sono un peccatore» (v. 8). E' una preghiera opposta ai sentimenti di Dio. Dio non si allontana dal peccatore, gli si avvicina; non è venuto per circondarsi di giusti, ma di colpevoli; non va incontro ai sani, va in cerca dei malati. Eppure è una preghiera vera, quella di Pietro, perché esprime la verità di noi stessi di fronte a Dio: siamo piccoli e peccatori.
Già il profeta Isaia aveva indicato questo atteggiamento dell'uomo religioso: «Io vidi il Signore seduto sul trono alto ed elevato (...) e dissi: “Sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure sono io”» (Is 6,1.5). Nel nostro mondo, in cui gli uomini si sono creati tanti troni, di fronte ai quali non solo si inginocchiano, ma spesso sacrificano persino la loro vita, è necessario recuperare l'altezza, la profondità, l'unicità di Dio. Sballottati come siamo nelle «acque profonde» di questo nostro mondo, abbiamo tutti bisogno di ritrovare la fede di Pietro che ci fa mettere in ginocchio davanti a Gesù, «Uomo per gli altri», «Pro-esistente», «Esistente per gli altri» (D. Bonhoeffer). A noi, poveri uomini e donne «dalle labbra impure», ma prostrati davanti a Gesù, oggi viene detto, come a Pietro quel giorno: «Non temete, d'ora in poi sarete pescatori di uomini» (Lc 5,10), da oggi in avanti. Questo nuovo inizio di Pietro, ch'è pure di chiunque si mette vicino a lui, è il vero miracolo che il mondo attende.
Grandioso è il tema della vocazione iniziale, originaria, nativa. è qualcosa che ci riguarda tutti da vicino e ci rende solidali. Dio Amore, «chiamandoci all’esistenza per amore, ci ha chiamati nello stesso tempo all’amore» (Giovanni Paolo II). «È una forza formidabile» scrisse Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1881), nel suo romanzo I fratelli Karamazov, la più grande di tutte, come non ce n’è un’altra». È una «potenzialità» che ciascuno di noi porta dentro: il bisogno di librarsi in volo, in alto, liberi e felici, superando ogni forma di mediocrità o di appiattimento, per amare ed essere amati. Il nostro cuore custodisce in sé aspirazioni infinite. Lo espresse già s. Agostino in una celebre meditazione:
«Grande sei, o Signore, degno di somma lode; grande è la tua potenza, senza limiti la tua sapienza (�). L’uomo, particella della tua creazione, vuol cantare le tue lodi. Tu lo sproni, affinché gusti la gioia di lodarti, poiché ci hai creati per te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te».
E il Signore ci chiama a conoscerlo e ci vuole tra i suoi figli. Egli desidera incontrarci, ma noi fatichiamo, scappiamo, siamo indifferenti e indaffarati. Diverse sono le strade attraverso cui lasciarci raggiungere da Dio: per Isaia è il silenzio e la preghiera del tempio. Dimensione trascurata, il silenzio manca alle nostre giornate piene di frastuono, di rumore, di pseudo realtà formate da sogni e desideri, fantasie e musiche, ricordi e rimpianti, successi e delusioni... Al di là del silenzio esteriore, che pure ha il suo peso, ciò che conta è entrare in un “silenzio pieno ed abitato” dalla presenza del Signore. Occorre percepire la sua presenza per lasciare che agisca in noi, in un atteggiamento di accoglienza del suo amore. Ciascuno di noi, secondo la propria sensibilità, nella diverse tappe della vita, può scoprire la forma e il ritmo dei tempi di silenzio che gli sono necessari per vivere, per non rimanere degli eterni superficiali oppure diventare dei “pappagalli religiosi”, senza anima e senza cuore. «Nulla ha tanto radicalmente mutato la fisionomia umana» dice Max Picard (1965), medico, scrittore e filosofo svizzero quanto la perdita di ogni relazione col silenzio».
Paolo è chiamato attraverso la testimonianza della comunità: la stessa comunità che egli perseguita. Non è così anche per noi? Parlare di Chiesa ci disorienta, ci secca, e si è disposti a dire ogni male della Chiesa, là dove per “Chiesa” intendiamo una specie di struttura rigida e ostile fatta di privilegi e astrusità, non una comunità di fratelli che vivono e testimoniano il Vangelo. Paolo passa dalle parole ai fatti: questa “Chiesa” va eliminata, ma, sulla strada di Damasco sarà atterrato e accecato, dovrà cambiare giudizio e fidarsi, per vederci chiaro. Dopo molti anni riguarda la sua esperienza e vede che Dio l'ha raggiunto proprio attraverso la testimonianza di quei fratelli che egli voleva distruggere.
Pietro, il pescatore, trova Dio nell'asprezza della sua vita, nel tran-tran del quotidiano, alla fine di una giornata andata storta. Dio lo cerca e lo raggiunge proprio là dove meno se lo aspetta e lo convince attraverso una pesca inattesa. Pietro reagisce un po' infastidito dall'ingerenza di questo falegname che gli vuole insegnare il suo mestiere, ma si fida. Esiste un momento nella vita in cui percepiamo che Dio bussa alla nostra porta, vediamo che ci tallona, intuiamo il rischio che comporterebbe seguirlo. Tutto ci dice che è illogico, perché nessuno pesca a mattino inoltrato. E ci resta la scelta. Pietro si fida sulla sua parola e torna al lago, e la sua vita cambia.
La presenza di Dio/luce ci rivela la nostra tenebra e ci manifesta la nostra piccolezza. Pietro, Paolo e Isaia vedono l'infinito e sentono la loro piccolezza, sono abbagliati dalla luce e vedono riflessa l'ombra. Si dicono: «Com'è possibile tanta meraviglia?» e sentono il peso della loro incredulità. A questo siamo chiamati: nel silenzio della preghiera, nel quotidiano deludente, nella testimonianza di altri cristiani, Dio ci chiama ad essere suoi figli. Isaia, Paolo, Pietro accettano e la loro vita è trasfigurata. Diventeranno testimoni, racconteranno Dio, lo porteranno in tutte le vicende della loro vita. Dio ha bisogno, oggi, di questi testimoni. A tutti noi, «pescati» e conquistati da lui, chiede di farci, gli uni con gli altri e gli uni per gli altri, cercatori e portavoce e interpreti del suo amore e della sua tenerezza fra gli uomini.
La nostra preghiera:
Cristo Gesù, trasparente Figlio del Padre, aiutaci ad avere un cuore puro, generoso, pronto a seguirti sulle strade che tu ci indichi. Donaci uno sguardo limpido per testimoniare agli altri che crediamo davvero all'Amore che tu sei. Fortifica la nostra debole volontà nel seguirti e vivere in pienezza il dono della vita, Tu che sei Vita... Amen
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