A tutti, giovani e anziani, auguro di cuore un buon proseguimento della settimana appena iniziata. Condivido, soprattutto con i non più giovani, questi pensieri nel giorno in cui ricordiamo l'incontro, intenso e tenero, degli anziani Simeone e Anna con il Messia atteso da secoli, il Re dei Re, il Verbo divino fatto carne, uno di noi. E' una riflessione per sentire come la vecchiaia non sia in sé un periodo triste della vita:
«Sì, la vecchiaia si può vivere con pienezza e con gioia, ma occorre avere il minimo necessario per mangiare, per vivere dignitosamente. Ed anche a condizione che si possa essere accompagnati, che si possa accogliere tra le proprie braccia un po' d'amore, un po' di compagnia, un po' d'affetto. (...) E' bellissima la preghiera intensa di Simeone che finalmente vede l'Atteso: ora è sazio, soddisfatto, ora ha capito, ora può andare, ora tutto torna. La vita è così, bastano pochi secondi per dare senso e luce a tutta una vita di sofferenze, ad una vita di attesa. L'importante è avere un cuore spalancato, capace, non rinchiuso dal dolore e dalla sofferenza, non superficiale...».
Come Simeone ed Anna, come Maria e Giuseppe…
Faccio tre riflessioni concise. La prima.
Simeone ed Anna sono l'esempio di bella anzianità. E' sempre più facile nella nostra società scorgere anziani, uomini e donne, che ormai pensano con tristezza e rassegnazione al loro futuro; e l'unica loro consolazione, quando è possibile, è il rìmpianto della passata giovinezza. Il Vangelo di oggi sembra dire a voce alta - ed è giusto gridarlo in questa nostra società fattasi particolarmente crudele verso gli anziani - che il tempo della vecchiaia non è un naufragio, una disgrazia, un tempo più da subire tristemente che da vivere con speranza. Simeone ed Anna sembrano uscire da questo affollato coro di gente triste e angosciata e dire a tutti: è bello essere anziani! Sì, la vecchiaia si può vivere con pienezza e con gioia, ma occorre avere il minimo necessario per mangiare, per vivere dignitosamente. Ed anche a condizione che si possa essere accompagnati, che si possa accogliere tra le proprie braccia un po' d'amore, un po' di compagnia, un po' d'affetto. Il loro canto è inconcepibile ed incomprensibile in una società ove quel che solo conta è la forza e la ricchezza, ove quel che solo vale è la soddisfazione individuale a qualsiasi costo, ove il solo ideale è vivere per se stessi.
Oggi, vediamo venirci incontro Simeone ed Anna, sono essi che ci annunciano il Vangelo, la buona notizia all'intera nostra società: un bambino, non forte né ricco, anzi debole e povero, può consolare, rallegrare e rendere persino operosa la vecchiaia. Così fu per loro. Non chiusero gli occhi sulla loro debolezza, sull'affievolirsi delle forze; in quel bambino trovarono una nuova compagnia, una nuova energia, un senso in più per la loro stessa vecchiaia. Simeone, dopo aver preso tra le sue braccia il Bambino, poté cantare il «Nunc dimittis» non con la tristezza di chi aveva sprecato la vita e non sapeva cosa sarebbe accaduto di lui; ed Anna, l'anziana, da quell'incontro ricevette nuova energia e nuova forza per lodare Dio e parlare del bambino" a chiunque incontrava. Ambedue, assieme al gruppo dei pastori e dei magi, furono i primi missionari del Vangelo. Questa pagina evangelica del "solenne incontro" tra un Bambino e due anziani rivela quanto sia piena e gioiosa la vita: il Bambino, il piccolo libro dei Vangeli, posto nelle mani e nel cuore degli anziani, opera ancora oggi miracoli incredibili. La fragilità della vita, anche quella che giunge con il passare degli anni, non è una condanna quando si incontra con l'amore e la forza di Dio. Il Vangelo sa trarre energie nuove anche da chi il mondo sembra mettere da parte. L'età anziana può essere motivo di una nuova chiamata: basti pensare al tempo che si ha per pregare per la Chiesa, per la propria comunità, per il mondo intero, per invocare la pace o anche per visitare chi ha bisogno, e comunque per testimoniare la speranza nel Signore. Nessuno è escluso dalla gioia del Vangelo. E il miracolo che Gesù compie in chi lo accoglie tra le sue braccia.
La seconda riflessione. Ci commuove la costanza e la perseveranza di molte persone anziane che nella loro semplice fede ancora frequentano le nostre comunità, investite dai radicali cambiamenti della nostra contemporaneità. Quante volte incontro persone che si lamentano per non aver potuto tenere in mano il loro destino, per aver dovuto rincorrere una vita non scelta, per avere fatto dei progetti che gli si sono sbriciolati in mano. A loro, a me, Simeone insegna a perseverare, ad affidarsi, a capire che la vita vera è oltre, altrove, non si limita alle nostre esistenze sofferte, deludenti. E' diversa dai risultati che riusciamo a conseguire, dai sogni che riusciamo a realizzare.
E' bellissima la preghiera intensa di Simeone che finalmente vede l'Atteso: ora è sazio, soddisfatto, ora ha capito, ora può andare, ora tutto torna. La vita è così, bastano pochi secondi per dare senso e luce a tutta una vita di sofferenze, ad una vita di attesa. L'importante è avere un cuore spalancato, capace, non rinchiuso dal dolore e dalla sofferenza, non superficiale... Incontrare il Signore o intuirne la presenza, avere insomma fede, credere e sperare significa proprio mettersi in ascolto e attendere, anche tutta la vita se necessario. Certo: duro è perseverare nell'attesa, eppure è una scommessa ardita che tutti siamo invitati a compiere perché la nostra intera vita diventi attesa di una risposta che - infine - colmi i cuori. Chiediamo al Signore di alleggerire il nostro cuore, di non permettere che la sofferenza o la superbia ci chiudano gli occhi al vero e al bene che risplende nelle pieghe del nostro martoriato e fragile tempo. A Maria Simeone profetizza sofferenza. Questa acerba adolescente che ha creduto nella follia di Dio si trova ora, per la prima volta, davanti alla misura della sua scelta: la misura dell'amore. Maria sa che accogliere Dio le costerà fatica, e tanta. Sa che ormai la sua vita è e resterà diversa. Eppure crede, vi aderisce, vi acconsente. Perché amare può voler dire, in certe occasioni, patire. Sia lei, oggi, a insegnarci a vivere l'amore fino alla fine, a imparare a donare tutto di noi, per tramutare il dono in concretezza, in sentimento, in gesto, l'amore in dono.
Per vedere la luce, accoglierla e condividerla, è necessario essere poveri, come Simeone, come Anna, come Maria e Giuseppe. Se ci lasciamo purificare dallo Spirito, svuotare, rendere, umili, poveri, allora avremo occhi sufficienti per vedere la Luce vera: in realtà essa viene verso di noi, si fa uno di noi. Il Signore Gesù, luce del mondo, illumini i nostri pensieri, purifichi i nostri desideri e guidi le nostre azioni. E così, intenso, dal nostro cuore scaturirà il ringraziamento al Padre per averci donato Gesù, da duemila anni. Ma Lui - che ogni giorno, sugli altari di tutto il mondo, rinnova per noi la sua presenza, la sua vita, la sua morte e resurrezione - ci trova spesso tiepidi e assuefatti a una realtà così unica e irripetibile: il Figlio divino incarnato è tra noi, vivo, presente, momento per momento. Amen
La terza riflessione. Questa giornata è dedicata ai consacrati e alle consacrate, coloro che rinunciano ad una propria vita e si dedicano esclusivamente a Dio e agli altri. Proviamo a pensarli nella loro realtà, colma di fatiche, di affanni, di solitudine interiore pur nel frastuono di vite immerse nel servizio quotidiano per consolare, far sorridere, sorreggere...
Ricordiamo anche le donne e gli uomini che invece scelgono una vita di preghiera e di silenzio nel nascondimento della clausura: fiamme accese nel buio del dolore del mondo, nel frastuono di vite sprecate o vendute, nell'abiezione di comportamenti delinquenziali e assassini... Loro sono come tante mani alzate verso il Cielo, a implorare che il dolore dell'umanità venga sopìto, che l'abiezione si incontri con il pentimento, che l'abbandono trovi braccia che accolgano e rifugino i derelitti in un luogo caldo e protettivo.
Sosteniamoli tutti anche con la nostra personale preghiera, perché non si stanchino di mischiarsi con coloro a cui donano il loro tempo e il loro amore; perché non si stanchino mai di alzare le loro mani al Cielo per sostenere i confratelli che generosamente si tuffano nel mondo...
«Sì, la vecchiaia si può vivere con pienezza e con gioia, ma occorre avere il minimo necessario per mangiare, per vivere dignitosamente. Ed anche a condizione che si possa essere accompagnati, che si possa accogliere tra le proprie braccia un po' d'amore, un po' di compagnia, un po' d'affetto. (...) E' bellissima la preghiera intensa di Simeone che finalmente vede l'Atteso: ora è sazio, soddisfatto, ora ha capito, ora può andare, ora tutto torna. La vita è così, bastano pochi secondi per dare senso e luce a tutta una vita di sofferenze, ad una vita di attesa. L'importante è avere un cuore spalancato, capace, non rinchiuso dal dolore e dalla sofferenza, non superficiale...».
Come Simeone ed Anna, come Maria e Giuseppe…
Faccio tre riflessioni concise. La prima.
Simeone ed Anna sono l'esempio di bella anzianità. E' sempre più facile nella nostra società scorgere anziani, uomini e donne, che ormai pensano con tristezza e rassegnazione al loro futuro; e l'unica loro consolazione, quando è possibile, è il rìmpianto della passata giovinezza. Il Vangelo di oggi sembra dire a voce alta - ed è giusto gridarlo in questa nostra società fattasi particolarmente crudele verso gli anziani - che il tempo della vecchiaia non è un naufragio, una disgrazia, un tempo più da subire tristemente che da vivere con speranza. Simeone ed Anna sembrano uscire da questo affollato coro di gente triste e angosciata e dire a tutti: è bello essere anziani! Sì, la vecchiaia si può vivere con pienezza e con gioia, ma occorre avere il minimo necessario per mangiare, per vivere dignitosamente. Ed anche a condizione che si possa essere accompagnati, che si possa accogliere tra le proprie braccia un po' d'amore, un po' di compagnia, un po' d'affetto. Il loro canto è inconcepibile ed incomprensibile in una società ove quel che solo conta è la forza e la ricchezza, ove quel che solo vale è la soddisfazione individuale a qualsiasi costo, ove il solo ideale è vivere per se stessi.
Oggi, vediamo venirci incontro Simeone ed Anna, sono essi che ci annunciano il Vangelo, la buona notizia all'intera nostra società: un bambino, non forte né ricco, anzi debole e povero, può consolare, rallegrare e rendere persino operosa la vecchiaia. Così fu per loro. Non chiusero gli occhi sulla loro debolezza, sull'affievolirsi delle forze; in quel bambino trovarono una nuova compagnia, una nuova energia, un senso in più per la loro stessa vecchiaia. Simeone, dopo aver preso tra le sue braccia il Bambino, poté cantare il «Nunc dimittis» non con la tristezza di chi aveva sprecato la vita e non sapeva cosa sarebbe accaduto di lui; ed Anna, l'anziana, da quell'incontro ricevette nuova energia e nuova forza per lodare Dio e parlare del bambino" a chiunque incontrava. Ambedue, assieme al gruppo dei pastori e dei magi, furono i primi missionari del Vangelo. Questa pagina evangelica del "solenne incontro" tra un Bambino e due anziani rivela quanto sia piena e gioiosa la vita: il Bambino, il piccolo libro dei Vangeli, posto nelle mani e nel cuore degli anziani, opera ancora oggi miracoli incredibili. La fragilità della vita, anche quella che giunge con il passare degli anni, non è una condanna quando si incontra con l'amore e la forza di Dio. Il Vangelo sa trarre energie nuove anche da chi il mondo sembra mettere da parte. L'età anziana può essere motivo di una nuova chiamata: basti pensare al tempo che si ha per pregare per la Chiesa, per la propria comunità, per il mondo intero, per invocare la pace o anche per visitare chi ha bisogno, e comunque per testimoniare la speranza nel Signore. Nessuno è escluso dalla gioia del Vangelo. E il miracolo che Gesù compie in chi lo accoglie tra le sue braccia.
La seconda riflessione. Ci commuove la costanza e la perseveranza di molte persone anziane che nella loro semplice fede ancora frequentano le nostre comunità, investite dai radicali cambiamenti della nostra contemporaneità. Quante volte incontro persone che si lamentano per non aver potuto tenere in mano il loro destino, per aver dovuto rincorrere una vita non scelta, per avere fatto dei progetti che gli si sono sbriciolati in mano. A loro, a me, Simeone insegna a perseverare, ad affidarsi, a capire che la vita vera è oltre, altrove, non si limita alle nostre esistenze sofferte, deludenti. E' diversa dai risultati che riusciamo a conseguire, dai sogni che riusciamo a realizzare.
E' bellissima la preghiera intensa di Simeone che finalmente vede l'Atteso: ora è sazio, soddisfatto, ora ha capito, ora può andare, ora tutto torna. La vita è così, bastano pochi secondi per dare senso e luce a tutta una vita di sofferenze, ad una vita di attesa. L'importante è avere un cuore spalancato, capace, non rinchiuso dal dolore e dalla sofferenza, non superficiale... Incontrare il Signore o intuirne la presenza, avere insomma fede, credere e sperare significa proprio mettersi in ascolto e attendere, anche tutta la vita se necessario. Certo: duro è perseverare nell'attesa, eppure è una scommessa ardita che tutti siamo invitati a compiere perché la nostra intera vita diventi attesa di una risposta che - infine - colmi i cuori. Chiediamo al Signore di alleggerire il nostro cuore, di non permettere che la sofferenza o la superbia ci chiudano gli occhi al vero e al bene che risplende nelle pieghe del nostro martoriato e fragile tempo. A Maria Simeone profetizza sofferenza. Questa acerba adolescente che ha creduto nella follia di Dio si trova ora, per la prima volta, davanti alla misura della sua scelta: la misura dell'amore. Maria sa che accogliere Dio le costerà fatica, e tanta. Sa che ormai la sua vita è e resterà diversa. Eppure crede, vi aderisce, vi acconsente. Perché amare può voler dire, in certe occasioni, patire. Sia lei, oggi, a insegnarci a vivere l'amore fino alla fine, a imparare a donare tutto di noi, per tramutare il dono in concretezza, in sentimento, in gesto, l'amore in dono.
Per vedere la luce, accoglierla e condividerla, è necessario essere poveri, come Simeone, come Anna, come Maria e Giuseppe. Se ci lasciamo purificare dallo Spirito, svuotare, rendere, umili, poveri, allora avremo occhi sufficienti per vedere la Luce vera: in realtà essa viene verso di noi, si fa uno di noi. Il Signore Gesù, luce del mondo, illumini i nostri pensieri, purifichi i nostri desideri e guidi le nostre azioni. E così, intenso, dal nostro cuore scaturirà il ringraziamento al Padre per averci donato Gesù, da duemila anni. Ma Lui - che ogni giorno, sugli altari di tutto il mondo, rinnova per noi la sua presenza, la sua vita, la sua morte e resurrezione - ci trova spesso tiepidi e assuefatti a una realtà così unica e irripetibile: il Figlio divino incarnato è tra noi, vivo, presente, momento per momento. Amen
La terza riflessione. Questa giornata è dedicata ai consacrati e alle consacrate, coloro che rinunciano ad una propria vita e si dedicano esclusivamente a Dio e agli altri. Proviamo a pensarli nella loro realtà, colma di fatiche, di affanni, di solitudine interiore pur nel frastuono di vite immerse nel servizio quotidiano per consolare, far sorridere, sorreggere...
Ricordiamo anche le donne e gli uomini che invece scelgono una vita di preghiera e di silenzio nel nascondimento della clausura: fiamme accese nel buio del dolore del mondo, nel frastuono di vite sprecate o vendute, nell'abiezione di comportamenti delinquenziali e assassini... Loro sono come tante mani alzate verso il Cielo, a implorare che il dolore dell'umanità venga sopìto, che l'abiezione si incontri con il pentimento, che l'abbandono trovi braccia che accolgano e rifugino i derelitti in un luogo caldo e protettivo.
Sosteniamoli tutti anche con la nostra personale preghiera, perché non si stanchino di mischiarsi con coloro a cui donano il loro tempo e il loro amore; perché non si stanchino mai di alzare le loro mani al Cielo per sostenere i confratelli che generosamente si tuffano nel mondo...
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