domenica, aprile 25, 2010
Benedetto XVI, in occasione della 47a giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, celebrata il 25 aprile, si è così rivolto alla Vergine Maria:

di Padre Piotr Anzulewicz, OFM Conv.

«La Vergine Maria, Madre della Chiesa, custodisca ogni più piccolo germe di vocazione nel cuore di coloro che il Signore chiama a seguirlo più da vicino; faccia sì che diventi albero rigoglioso, carico di frutti per il bene della Chiesa e dell'intera umanità. Per questo prego, mentre imparto a tutti la benedizione apostolica».
L'augurio di una settimana serena, colmi delle consolanti parole del brano del Vangelo di Giovanni in cui Gesù si presenta come il pastore che conduce e custodisce le sue pecore. E ci assicura che niente e nessuno potrà strappargliele.

Siamo alla IV settimana di Pasqua. La Parola di Dio, dopo averci condotto, domenica scorsa, tra i pescatori, ci trasporta tra i pastori. Sono due categorie di uguale importanza nei Vangeli. Dall'una deriva il titolo di «pescatori di uomini», dall'altra quello di «pastori di anime», dato agli apostoli.

Gesù sta affrontando un crudo scontro con i giudei, con una sorta di botta-risposta. Anche se la situazione non è rosea, dice, come al solito, parole d'amore e di tenerezza. Gli altri lo sfidano, lo attaccano, lo mettono all'angolo... e lui regala parole che sanno sollevarci. Ci chiama per nome. Talvolta non ci facciamo caso... eppure dentro di noi, riconosciamo la sua voce. Amiamo quella voce che dice il nostro nome, che ci conosce, che sa quello che stiamo attraversando.

«Seguimi» (Gv 21,19), ha detto Gesù risorto a Simon Pietro, e lo dice, oggi, a ciascuno di noi: «Seguimi come sei, con la tua fragilità, con le tue paure, con i tuoi slanci, con le tue cadute e con i tuoi tradimenti. Seguimi, fidati, lasciati raggiungere ed amare».

Ascoltiamo quel inconfondibile timbro della sua voce, giriamoci e riconosciamolo, in mezzo alla folla, al mercato, sul lungomare e per strada, nell'ambiente di lavoro e di studio, nelle fatiche e nei dubbi, e là dove ci sembra di non sentirlo più... Siamo chiamati, come l’ex-pescatore di Cafarnao, a ricentrare la vita su di lui, il risorto, il pastore. Questa è la nostra vocazione: essere come lui! La sua voce ci sprona ad essere, nel nostro piccolo, portatori e testimoni della vita, con coerenza e linearità, correttezza e schiettezza, l'umiltà e la generosità.

«Io vi do la vita eterna» (cfr. Gv 10,28), che non è semplicemente la vita dell'al di là. Lui ci dona la vita qui. Vivere la Pasqua è ricevere quest’onda di vita! Ne abbiamo bisogno. Ne ha bisogno la nostra comunità parrocchiale, la Chiesa universale, l’umanità intera! Gesù è vivo ed è qui in mezzo a noi per comunicarci la sua vita. Egli non ci toglie dalle nostre difficoltà, ma ci regala la vita in pienezza. Questa è presente dentro di noi sotto forma di un granello di senapa, ma è sufficiente, perché il nostro cuore possa fin da subito riconoscere la voce del pastore e identificare qualche tratto del suo volto. Essa inizia a muoversi dentro di noi ogni volta che un po’ più da vicino sfioriamo Gesù. Paolo e Barnaba, che abbiamo incontrato nella prima lettura (At 13,14.43-52), hanno accolto la forza dirompente di questa vita. Problemi ne avevano ancora, eccome! I giudei erano gelosi, li contrastavano in ogni modo, gliene dicevano di tutti i colori! Quei due però non mollavano, perché ascoltavano quella voce...

«Nessuno vi rapirà dalla mia mano» (Gv 10,28). Che tenerezza, speranza e bellezza in queste parole! Nessuno potrà strapparci dalla sua mano. Lì c'è un posto sicuro, un’accoglienza gratuita, una custodia affidabile per noi. Il nostro nome sta su quella mano, come un tatuaggio indelebile o un ricordo eterno. Siamo radicati in lui, piantati e disegnati nella sua mano, custoditi dalla sua tenerezza (cfr. 49,15-16). «Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire con mano potente» (Es 6,21). Questa mano, quella che liberò dalla schiavitù i figli di Abramo, è la mano che si prende cura di noi. Di che cosa possiamo aver paura e che cosa può farci stare in ansia? Anche noi abbiamo le nostre schiavitù: una relazione che non funziona, un lato del nostro carattere che rischia di essere troppo ingombrante nella relazione di coppia, una passione che può diventare un vizio, un passo che non riusciamo a compiere… Quella mano può salvarci e ridarci quella libertà che ci permette di essere autentici e felici. Nemmeno l'angoscia, direbbe Paolo, le tribolazioni, le persecuzioni, la malattia, il fallimento, il litigio, l’odio... nulla ci separerà dal suo amore.

Lui, bevendo fino in fondo il calice dello sconforto umano, nella sua morte, ha creato un legame indistruttibile con ogni essere umano. La sua morte è stata in primo luogo la nostra e non la sua, talmente nostra che lui, da giusto qual era, avrebbe potuto essere dispensato da una simile fine se non avesse scelto liberamente che così fosse per sostenere fino a tal punto il legame che lo teneva unito alla nostra umanità. Egli si è fatto carico dei nostri errori e con l’amore ha guarito le nostre ferite (Is 53,11). Di questa intimità tra lui e noi restano per sempre alcune tracce. Innanzitutto egli si accerta che lo sappiano riconoscere, non con il cervello, a forza di argomentazioni e di prove, ma, più semplicemente, con un presentimento del cuore. Ogni battezzato ha ricevuto questo presentimento, che è più di un sentimento, come un senso nuovo, un istinto divino, un fiuto spirituale che gli permetterà, ogni volta che sarà necessario, di identificare Gesù pastore ovunque egli si mostra, si nasconde, parla. Non ascolta la voce dei pastori malvagi o dei profeti falsi, né i mille rumori esterni che rischiano di distrarlo. Ascolta esclusivamente la sua voce.

Il nostro destino è inseparabile dal suo. La vita perenne è un posto fra le sue mani, mani di pastore contro i lupi, mani impigliate nel folto della vita, mani che proteggono la nostra fiamma fiocca, mani che scrivono nella polvere e non lanciano sassi a nessuno, mani che sollevano la donna adultera, mani inchiodate in un abbraccio che non può terminare, e poi offerte, perché ci riposiamo e riprendiamo il fiato del coraggio. Ne dà testimonianza Lucia che ci racconta la sua esperienza:

«A sedici anni sono scappata. Volevo la mia libertà e la intravedevo fuori di casa. Subito tutti erano carinissimi, simpatici, estroversi, extralarge. Una sera, mi hanno mollata in Stazione Centrale. Qui è finito il mio sogno. In pochi mesi, la mia libertà è diventata prostituzione, droga, anoressia, depressione. Buttata sulle panchine, sulle scale del metrò, controllata dagli sbirri, sporca. Una mattina mi sono vista allo specchio. Mio Dio, che rottame! Gli uomini mi sfruttavano. A loro interessava un corpo da usare! Sono passati trent'anni, da quando io pecorella smarrita, mi sono vista il pastore, trafelato, chinarsi su di me, per riportarmi all'ovile. Subito ho temuto la sgridata, il ceffone. .. Il Pastore mi ha detto una sola parola, mi ha chiamata per nome, mi ha tenuta stretta sulle spalle... non sono più fuggita. Ora, ho quasi cinquant'anni, un marito meraviglioso e due figli, un maschietto e una femmina. I miei ragazzi mi hanno cambiata molto. Quando mi assale il pessimismo, penso a te, Signore, mio salvatore e pastore. Signore, io non ho ascoltato la tua voce, sono andata in rovina, ho voluto calcare pascoli proibiti. Signore, anche se ho fatto questo, tu sei venuto a cercarmi e ora nessuno mi strapperà al tuo amore, perché io e te siamo una cosa sola. Signore, però, non permettere ai miei figli... di perdersi. Arriva prima, Signore!».



Oggi Gesù esorta anche i suoi ministri ad essere loro stessi come le pecorelle del suo gregge, bisognose di orientamento e di cura, e pronte ad essere a loro volta guida e protezione per i fratelli loro affidati. E' comprensibile che atteggiamenti di cui parla la cronaca di questi giorni, disorientino e aprano le porte alla sfiducia. Come credenti nel Risorto, non abbiamo paura della verità! Vogliamo convertirci alla verità che è amore. Il dramma dei alcuni preti pedofili è un dolore immane. Ci fosse anche un solo caso! Non ci nascondiamo dietro le percentuali. Preghiamo per i sacerdoti, affinché non vengano infangati anche coloro che invece dedicano la loro vita a Gesù e ai fratelli. E' l'ora di girarci e di vivere da risorti.



«Tu sei il nostro pastore, Signore Gesù, perché solo tu ci conosci fino in fondo, uno per uno, con i nostri slanci e le nostre fatiche, le nostre fragilità e le nostre risorse. Per questo ti mostri esigente quando ci lasciamo afferrare dalla pigrizia, e dolce e compassionevole quando ci troviamo in difficoltà. Tu sei il nostro pastore, Signore Gesù, perché ti metti davanti a tutti e ci guidi alle sorgenti della vita, ci fai conoscere il volto del Padre e dissipi i timori e le paure che ci impediscono di andare avanti. Tu sei il nostro pastore, Signore Gesù, perché sei pronto a dare la vita, a far di tutto per difenderci, ad ingaggiare con il male una lotta terribile e decisiva, a costo di esporti a pericoli mortali e di affrontare sofferenze terribili. Tu sei il nostro pastore, Signore Gesù, perché ci ami di un amore smisurato e non puoi sopportare che neppure uno si perda e rovini la sua vita. È bello, Signore, lasciarsi guidare da te, è bello darti fiducia e assecondare le tue indicazioni, è bello sentire su di noi il tuo sguardo attento e benevolo. È bello, Signore, affidarti la nostra vita e vivere per te e assieme a te un’avventura entusiasmante che approda all’eternità.

Ti chiediamo, Signore, di manifestarti a ciascuno di noi come il buon pastore, che nella forza della Pasqua ricostituisci e rianimi i tuoi, con tutta la delicatezza della tua presenza e con tutta la forza del tuo Spirito. Ti chiediamo di aprire i nostri occhi, perché possiamo conoscere come tu ci guidi e sostieni la nostra volontà di seguirti ovunque tu ci condurrai. Concedi a noi la grazia di non essere strappati dalle tue mani di buon pastore ed di non essere in balia del male che ci minaccia e delle divisioni che si annidano all'interno del nostro cuore. Tu, o Cristo, sei il pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello».


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