Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita a Genova in occasione del 150° anniversario della Spedizione dei Mille, ha ricevuto una delegazione dei bambini e ragazzi delle 'Scuole della Pace' della Comunità di Sant’Egidio, che gli hanno consegnato una lettera con cui chiedono il suo sostegno alla campagna “Made in Italy”, per concedere la cittadinanza sia ai minori nati in Italia da genitori stranieri regolari sia a quelli qui giunti in tenera età e scolarizzati nel nostro paese.
Agenzia Misna - Ecco il testo integrale della lettera:
"Caro Presidente,
siamo bambini e ragazzi che abitano in Italia. Le nostre facce e le nostre storie sono molto diverse, come sono differenti le culture delle nostre famiglie. Insieme frequentiamo la Scuola della Pace della Comunità di Sant’Egidio, dove abbiamo imparato che davanti a un ragazzo diverso da noi possiamo anche non accontentarci di sopportarlo e di rispettarlo, ma possiamo diventare amici! Abbiamo scoperto che la legge dice che alcuni di noi non sono cittadini italiani perché i loro genitori sono nati in un altro paese. Le nostre mamme e i nostri papà - è vero - alcuni anni fa hanno fatto un lungo viaggio per arrivare in Italia, i nostri nonni abitano ancora in paesi lontani e noi li sentiamo al telefono anche se, a volte, facciamo fatica a capire la loro lingua. Ma se il nostro passato è in America Latina, in Africa, in Asia il nostro presente è qui, in Europa, ed è qui che noi pensiamo il nostro futuro. Siamo nati in Italia, è in questo paese che abbiamo i nostri amici e ci sentiamo a casa: ci piace mangiare la pizza e gli spaghetti almeno quanto il kebab e il cous-cous e quattro anni fa, ai mondiali, abbiamo esultato insieme per la vittoria della Nazionale! Veramente, non ci sentiamo diversi dagli altri.
Caro Presidente, centocinquanta anni fa, proprio da questa città partì la spedizione che avrebbe dato a persone diverse lo stesso nome di italiani: era un sogno che si realizzava. Ancora, ottant’anni più tardi, altri italiani combatterono per non rinunciare a quell’unità e per realizzare un altro sogno comune: quello della libertà e della democrazia. Noi siamo piccoli, ma di fronte a lei che rappresenta questo paese vorremmo dire che anche noi oggi abbiamo un sogno. Per noi essere italiani non è solo una questione di documenti, ma vuol dire amare questa terra e volerci impegnare per renderla migliore. È una nuova battaglia per l’unità e la libertà, una nuova battaglia che vogliamo combattere senza violenza, ma con le armi del dialogo e dell’amicizia. Noi sogniamo un’Italia che non sia più ferita dall’individualismo, divisa in fazioni, spaventata da chi sembra diverso. Un’Italia capace di accogliere chi la ama - indipendentemente dal colore della pelle - che vuole lavorare per il bene di tutti. Veramente in questo noi ci sentiamo già italiani, Presidente, ma vorremmo che noi e tanti bambini e ragazzi come noi potessero essere riconosciuti cittadini da tutti: ne saremmo felici e orgogliosi. Per questo noi, giovani e adulti della Scuola della Pace della Comunità di Sant’Egidio, in questi mesi ci stiamo impegnando a sensibilizzare l’opinione pubblica affinché, se si farà una nuova legge sulla cittadinanza, si tenga conto della nostra realtà. Non abbiamo grandi mezzi e le nostre forze sono limitate: abbiamo bisogno del suo aiuto! Per questo chiediamo la sua vicinanza, e già il fatto di incontrarla è per noi un onore grandissimo: anche se non siamo ancora cittadini italiani, per noi - ce lo permetta - lei è già il nostro Presidente!"
Agenzia Misna - Ecco il testo integrale della lettera:
"Caro Presidente,
siamo bambini e ragazzi che abitano in Italia. Le nostre facce e le nostre storie sono molto diverse, come sono differenti le culture delle nostre famiglie. Insieme frequentiamo la Scuola della Pace della Comunità di Sant’Egidio, dove abbiamo imparato che davanti a un ragazzo diverso da noi possiamo anche non accontentarci di sopportarlo e di rispettarlo, ma possiamo diventare amici! Abbiamo scoperto che la legge dice che alcuni di noi non sono cittadini italiani perché i loro genitori sono nati in un altro paese. Le nostre mamme e i nostri papà - è vero - alcuni anni fa hanno fatto un lungo viaggio per arrivare in Italia, i nostri nonni abitano ancora in paesi lontani e noi li sentiamo al telefono anche se, a volte, facciamo fatica a capire la loro lingua. Ma se il nostro passato è in America Latina, in Africa, in Asia il nostro presente è qui, in Europa, ed è qui che noi pensiamo il nostro futuro. Siamo nati in Italia, è in questo paese che abbiamo i nostri amici e ci sentiamo a casa: ci piace mangiare la pizza e gli spaghetti almeno quanto il kebab e il cous-cous e quattro anni fa, ai mondiali, abbiamo esultato insieme per la vittoria della Nazionale! Veramente, non ci sentiamo diversi dagli altri.
Caro Presidente, centocinquanta anni fa, proprio da questa città partì la spedizione che avrebbe dato a persone diverse lo stesso nome di italiani: era un sogno che si realizzava. Ancora, ottant’anni più tardi, altri italiani combatterono per non rinunciare a quell’unità e per realizzare un altro sogno comune: quello della libertà e della democrazia. Noi siamo piccoli, ma di fronte a lei che rappresenta questo paese vorremmo dire che anche noi oggi abbiamo un sogno. Per noi essere italiani non è solo una questione di documenti, ma vuol dire amare questa terra e volerci impegnare per renderla migliore. È una nuova battaglia per l’unità e la libertà, una nuova battaglia che vogliamo combattere senza violenza, ma con le armi del dialogo e dell’amicizia. Noi sogniamo un’Italia che non sia più ferita dall’individualismo, divisa in fazioni, spaventata da chi sembra diverso. Un’Italia capace di accogliere chi la ama - indipendentemente dal colore della pelle - che vuole lavorare per il bene di tutti. Veramente in questo noi ci sentiamo già italiani, Presidente, ma vorremmo che noi e tanti bambini e ragazzi come noi potessero essere riconosciuti cittadini da tutti: ne saremmo felici e orgogliosi. Per questo noi, giovani e adulti della Scuola della Pace della Comunità di Sant’Egidio, in questi mesi ci stiamo impegnando a sensibilizzare l’opinione pubblica affinché, se si farà una nuova legge sulla cittadinanza, si tenga conto della nostra realtà. Non abbiamo grandi mezzi e le nostre forze sono limitate: abbiamo bisogno del suo aiuto! Per questo chiediamo la sua vicinanza, e già il fatto di incontrarla è per noi un onore grandissimo: anche se non siamo ancora cittadini italiani, per noi - ce lo permetta - lei è già il nostro Presidente!"
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