Troppa lentezza nell’invio degli aiuti ai terremotati di Haiti: la denuncia è del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha lanciato un accorato appello ai Paesi donatori a mantenere le promesse fatte sull’onda dell’emozione di fronte al devastante sisma che sei mesi fa causò oltre 200 mila morti e centinaia di migliaia di sfollati.
Radio Vaticana - Promesse che sono ancora lontane dall’essere realizzate. E la situazione appare in continuo peggioramento, come ci riferisce da Port-au-Prince Alessandra D’Asaro, portavoce del Vis, il Volontariato internazionale per lo sviluppo, organismo legato al mondo salesiano. L’intervista è di Fabio Colagrande (ascolta):
R. - La situazione è drammatica, esattamente come nei primi giorni. Non ci sono più i cadaveri per terra, che era la cosa che a me personalmente aveva più scioccato; le macerie sono state spostate e dico soltanto spostate ai lati della strada e negli spartitraffico. Ancora non si è intervenuti in alcun modo sulla ricostruzione e mi dicono che addirittura non c’è nemmeno un progetto di ricostruzione. Qui le Ong fanno quello che possono e ce ne sono mille. Devo dire che il lavoro che stanno facendo i salesiani, insieme con il Vis, è un po’ particolare.
D. - Come prosegue l’intervento del Vis a fianco della popolazione in questa fase?
R. - Considerate che qui ci sono ancora le tendopoli e gli spazi dove erano le scuole dei salesiani sono state tutte offerte agli sfollati, con delle tende. Viene distribuito il cibo, ma tenete conto che il governo - il 31 marzo scorso - ha vietato la distribuzione quotidiana di cibo per non - e qui il termine è bruttissimo, ma è quello che usa il governo - "viziare" la popolazione. La cosa che vorrei dire è che qui oltre all’emergenza, bisogna pensare ad una situazione preesistente al terremoto e cioè alla povertà. Tutti i progetti sono sì di emergenza, ma vanno anche inseriti in un lavoro a lungo termine, malgrado non si sappia quantificare il tempo che ci vorrà.
D. - Quindi centinaia di migliaia di persone vivono ancora nelle baracche a Port-au-Prince?
R. - Quasi tutta la popolazione vive ancora nelle baracche, perché le case sono crollate praticamente tutte e non c’è l’idea di ricostruire! La cosa che fa più impressione è che la normalità della vita degli abitanti di Port-au-Prince è all’interno delle macerie. Voglio dire soltanto questo: qui gli haitiani tifavano Brasile o Argentina e all’interno delle macerie si vedevano persone con una piccola televisione che seguivano la loro squadra del cuore. Venerdì sera sono stata a Pétionville, una delle zone residenziali, dove quelli che un tempo erano i tetti sono ora diventati delle piste da ballo per i Mondiali di calcio.
D. - In questa situazione quali sono le emergenze umanitarie più gravi?
R. - Sicuramente l’acqua, cosa per la quale molte Ong si stanno preoccupando di aiutare la popolazione sia con delle cisterne, sia anche con delle latrine: il problema è riuscire a costruire delle condizioni igieniche, che non è che non ci sono ora, ma che in realtà non ci sono mai state!
D. - La domanda che sorge spontanea è che fine hanno fatto tutti i fondi arrivati con la solidarietà internazionale? Perché non vengono investiti nella ricostruzione questi fondi? Tu sei riuscita a capire qualcosa?
R. - Da quello che ho capito io, la situazione è complicata. I fondi sono arrivati, ma ora chiunque voglia fare qualunque cosa deve aspettare un permesso particolare da parte del governo, che non c’è. Allora le carte che dovrebbero essere firmate per la ricostruzione vengono rimandate di settimana in settimane. I soldi ci sono, ma non si sa come investirli, anche perché il governo non firma e non dà delle direttive. Ricordiamo che gran parte del governo è andato perduto proprio a causa del terremoto. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Radio Vaticana - Promesse che sono ancora lontane dall’essere realizzate. E la situazione appare in continuo peggioramento, come ci riferisce da Port-au-Prince Alessandra D’Asaro, portavoce del Vis, il Volontariato internazionale per lo sviluppo, organismo legato al mondo salesiano. L’intervista è di Fabio Colagrande (ascolta):
R. - La situazione è drammatica, esattamente come nei primi giorni. Non ci sono più i cadaveri per terra, che era la cosa che a me personalmente aveva più scioccato; le macerie sono state spostate e dico soltanto spostate ai lati della strada e negli spartitraffico. Ancora non si è intervenuti in alcun modo sulla ricostruzione e mi dicono che addirittura non c’è nemmeno un progetto di ricostruzione. Qui le Ong fanno quello che possono e ce ne sono mille. Devo dire che il lavoro che stanno facendo i salesiani, insieme con il Vis, è un po’ particolare.
D. - Come prosegue l’intervento del Vis a fianco della popolazione in questa fase?
R. - Considerate che qui ci sono ancora le tendopoli e gli spazi dove erano le scuole dei salesiani sono state tutte offerte agli sfollati, con delle tende. Viene distribuito il cibo, ma tenete conto che il governo - il 31 marzo scorso - ha vietato la distribuzione quotidiana di cibo per non - e qui il termine è bruttissimo, ma è quello che usa il governo - "viziare" la popolazione. La cosa che vorrei dire è che qui oltre all’emergenza, bisogna pensare ad una situazione preesistente al terremoto e cioè alla povertà. Tutti i progetti sono sì di emergenza, ma vanno anche inseriti in un lavoro a lungo termine, malgrado non si sappia quantificare il tempo che ci vorrà.
D. - Quindi centinaia di migliaia di persone vivono ancora nelle baracche a Port-au-Prince?
R. - Quasi tutta la popolazione vive ancora nelle baracche, perché le case sono crollate praticamente tutte e non c’è l’idea di ricostruire! La cosa che fa più impressione è che la normalità della vita degli abitanti di Port-au-Prince è all’interno delle macerie. Voglio dire soltanto questo: qui gli haitiani tifavano Brasile o Argentina e all’interno delle macerie si vedevano persone con una piccola televisione che seguivano la loro squadra del cuore. Venerdì sera sono stata a Pétionville, una delle zone residenziali, dove quelli che un tempo erano i tetti sono ora diventati delle piste da ballo per i Mondiali di calcio.
D. - In questa situazione quali sono le emergenze umanitarie più gravi?
R. - Sicuramente l’acqua, cosa per la quale molte Ong si stanno preoccupando di aiutare la popolazione sia con delle cisterne, sia anche con delle latrine: il problema è riuscire a costruire delle condizioni igieniche, che non è che non ci sono ora, ma che in realtà non ci sono mai state!
D. - La domanda che sorge spontanea è che fine hanno fatto tutti i fondi arrivati con la solidarietà internazionale? Perché non vengono investiti nella ricostruzione questi fondi? Tu sei riuscita a capire qualcosa?
R. - Da quello che ho capito io, la situazione è complicata. I fondi sono arrivati, ma ora chiunque voglia fare qualunque cosa deve aspettare un permesso particolare da parte del governo, che non c’è. Allora le carte che dovrebbero essere firmate per la ricostruzione vengono rimandate di settimana in settimane. I soldi ci sono, ma non si sa come investirli, anche perché il governo non firma e non dà delle direttive. Ricordiamo che gran parte del governo è andato perduto proprio a causa del terremoto. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
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