Nuova scoperta dall’incredibile mondo di Wolbachia, batteri che vivono all’interno di numerosi insetti: nel caso delle larve della minatrice delle foglie, i batteri simbionti danno una mano a mantenere verdi le foglie di cui si nutrono.
di Valentina Murelli
OggiScienza - Sopravvivere è spesso una questione di collaborazione. Come quella che si instaura tra le larve della farfalla Phyllonorycter blancardella, anche detta minatrice delle foglie, e un batterio simbionte appartenente al genere Wolbachia, che vive proprio nel suo organismo. E bisogna dirlo: qui la mano che dà Wolbachia alla farfalla, o meglio alle sue larve, è davvero grossa. Ecco che succede: le larve della minatrice fogliare si nutrono scavando gallerie nelle foglie e il meccanismo funziona finché queste ultime sono vive e vegete, cioè verdi. In autunno, però, tendono a ingiallire e a cadere: a meno che le larve non accolga al suo interno una colonia di Wolbachia: in questo caso i batteri contribuiscono a mantenere verdi e attive alcune zone delle foglie poste tutte attorno alle larve, garantendo così ricchi pasti ancora per diverse settimane.
Lo ha scoperto l’équipe dell’entomologo David Giron, dell’Università di Tours, in Francia. Il punto è che Wolbachia, come del resto altri microbi, contiene un gene molto simile a quello che, nelle piante, induce le cellule vegetali a produrre citochine, ormoni della crescita che le mantengono giovani. Guarda caso, le citochine sono particolarmente abbondanti proprio nelle isole verdi che si trovano nelle foglie infestate dalle larve di P. blancardella: da qui l’idea di capire se esista una relazione tra i batteri e lo strano fenomeno delle foglie” resuscitate”.
I ricercatori hanno preso due gruppi di farfalle femmine: a uno hanno somministrato un antibiotico in grado di uccidere i Wolbachia simbionti, mentre hanno tenuto l’altro come controllo. Poi, hanno fatto deporre le uova a tutte le femmine su foglie di melo. Ebbene; attorno alle larve prodotte dalle madri non trattate sono comparse le isole verdi, che non si sono invece fatte vedere attorno alle larve prodotte dalle farfalle trattate. Le quali, poverette, sono poi morte: niente batteri, niente isole, niente cibo. Lo studio è stato pubblicato sui Proceedings of the Royal Society B.
Resta ancora da scoprire se il fenomeno dipenda da citochine prodotte direttamente da Wolbachia o se il batterio stimoli in altro modo la produzione dell’ormone da parte delle cellule vegetali. In ogni caso, rimane uno splendido esempio di come una stretta relazione con un altro organismo possa aiutare a superare una difficoltà non da poco.
di Valentina Murelli
OggiScienza - Sopravvivere è spesso una questione di collaborazione. Come quella che si instaura tra le larve della farfalla Phyllonorycter blancardella, anche detta minatrice delle foglie, e un batterio simbionte appartenente al genere Wolbachia, che vive proprio nel suo organismo. E bisogna dirlo: qui la mano che dà Wolbachia alla farfalla, o meglio alle sue larve, è davvero grossa. Ecco che succede: le larve della minatrice fogliare si nutrono scavando gallerie nelle foglie e il meccanismo funziona finché queste ultime sono vive e vegete, cioè verdi. In autunno, però, tendono a ingiallire e a cadere: a meno che le larve non accolga al suo interno una colonia di Wolbachia: in questo caso i batteri contribuiscono a mantenere verdi e attive alcune zone delle foglie poste tutte attorno alle larve, garantendo così ricchi pasti ancora per diverse settimane.
Lo ha scoperto l’équipe dell’entomologo David Giron, dell’Università di Tours, in Francia. Il punto è che Wolbachia, come del resto altri microbi, contiene un gene molto simile a quello che, nelle piante, induce le cellule vegetali a produrre citochine, ormoni della crescita che le mantengono giovani. Guarda caso, le citochine sono particolarmente abbondanti proprio nelle isole verdi che si trovano nelle foglie infestate dalle larve di P. blancardella: da qui l’idea di capire se esista una relazione tra i batteri e lo strano fenomeno delle foglie” resuscitate”.
I ricercatori hanno preso due gruppi di farfalle femmine: a uno hanno somministrato un antibiotico in grado di uccidere i Wolbachia simbionti, mentre hanno tenuto l’altro come controllo. Poi, hanno fatto deporre le uova a tutte le femmine su foglie di melo. Ebbene; attorno alle larve prodotte dalle madri non trattate sono comparse le isole verdi, che non si sono invece fatte vedere attorno alle larve prodotte dalle farfalle trattate. Le quali, poverette, sono poi morte: niente batteri, niente isole, niente cibo. Lo studio è stato pubblicato sui Proceedings of the Royal Society B.
Resta ancora da scoprire se il fenomeno dipenda da citochine prodotte direttamente da Wolbachia o se il batterio stimoli in altro modo la produzione dell’ormone da parte delle cellule vegetali. In ogni caso, rimane uno splendido esempio di come una stretta relazione con un altro organismo possa aiutare a superare una difficoltà non da poco.
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