È una costante nella storia della lotta alla mafia: l’estate trascina sempre con sé polemiche e depistaggi, veleni e rivelazioni. E anche il 2010 non fa purtroppo eccezione.
Liberainformazione - Un tempo – sembrano davvero secoli fa – quando i corleonesi stavano scalando la “cupola”, l’estate era la stagione preferita per regolare i conti con i nemici interni ed esterni. Giuliano, Montana, Cassarà e ancora Chinnici, Costa, Ambrosoli, dalla Chiesa, per citare solo alcune delle tante vittime eccellenti che finivano nella conta mortale, insieme ai tanti uomini di mafia, uccisi perché appartenenti allo schieramento perdente.
La svolta avviene nel 1989 con le lettere del famigerato “corvo” che screditava Falcone per il ritorno in Sicilia di Totuccio Contorno (si paventò che fosse un killer di Stato, la cui mano era stata armata da magistrati e poliziotti) e l’attentato fallito, ai danni dello stesso Falcone, sulle scogliere dell’Addaura. Fatti davvero allarmanti, “menti raffinatissime” come le definì allora il magistrato palermitano, polemiche furibonde, divisioni epocali e contrasti insanabili all’interno dei partiti, delle istituzioni, della società stessa. Nel nome della lotta alla mafia si litigava e ci si divideva. Un regalo a Cosa Nostra, alla fine.
Da quel momento, ogni estate, ciclicamente – fatto salvo il biennio ‘92/’93 quando il sangue è tornato a bagnare la Sicilia e il continente– sotto la canicola estiva si scatenano le letture più inquietanti, si rilanciano le piste investigative e si alimentano gli scontri verbali.
Come dicevamo anche questa estate 2010 non confuta il cliché ormai logoro, ma sempre ricco di scoop e di insidie. Siamo arrivati a questo passaggio estivo, con il fiato corto.
Prima le rivelazioni sulla trattativa fornite da Massimo Ciancimino, che con una sorta di interpretazione autentica delle parole del padre, dominus della politica palermitana e simbolo della collusione con le cosche, ha ridato fiato a quanti sospettavano che Cosa Nostra e istituzioni avessero chiuso un patto per porre fine alle stragi.
Poi è stata la volta delle polemiche per la mancata ammissione al programma di protezione di Gaspare Spatuzza. L’ex killer di Brancaccio aveva rivelato l’accordo tra i fratelli Graviano e Dell’Utri e Berlusconi, per uscire dalla stagione delle stragi e avviare la nuova fase di coabitazione tra mafia e politica.
Poi c’è stata la “strana” sentenza d’appello per il senatore Dell’Utri, condannato a sette anni per i rapporti intrattenuti con i boss fino al 1992 e per il periodo successivo, invece, graziato. Attendiamo le motivazioni ma suonano incomprensibili i termini in cui è maturato il controverso verdetto.
E ora, mentre le città si svuotano, la temperatura sale velocemente verso l’alto per le dichiarazioni e le smentite che in queste ultime ore si susseguono a cadenza ravvicinata.
Oggetto del contendere la verità relativa alle stragi del 1992, in particolare quella di via D’Amelio, il cui esito più probabile potrebbe essere la clamorosa revisione del processo e l’azzeramento della verità raggiunta in sede giudiziaria.
Nei giorni dell’anniversario della strage, la Commissione parlamentare antimafia ha scelto di andare a Palermo per raccogliere la testimonianza degli uomini impegnati in prima fila contro la mafia.
Per Pisanu, non c’è che dire, una bella operazione d’immagine: essere a Palermo nei giorni del ricordo di Borsellino e della sua scorta, è servito a rilanciare la presenza di una Commissione che fino ad oggi, invece, era brillata per la sua assenza cronica. Mettersi sotto i riflettori, in occasione dell’anniversario, è servito soprattutto a coprire le ombre che fino ad oggi avevano accompagnato l’azione incerta, o meglio, lo stallo assoluto dimostrato dall’organo parlamentare e, in particolare, dal suo presidente.
I flash e le telecamere hanno ripreso l’audizione dei magistrati di Palermo Messineo, Ingroia, De Francisci e De Lucia e, dopo di loro, dei colleghi della procura di Caltanissetta.
E qui l’operazione d’immagine però è sembrata sfuggire di mano, perché dai rigori del protocollo è fuoriuscita la verità indicibile.
Proprio sulla strage di via D’Amelio, ai procuratori nisseni Sergio Lari e Domenico Gozzo – capo della procura e aggiunto, quindi non peones – viene ascritta in un primo momento una dichiarazione davvero deflagrante: “Speriamo di essere a un passo dalla verità sulla strage di via d'Amelio. Lo Stato è in grado di raccogliere questa verità, il problema è se c'è una politica in grado di raccogliere questa verità”.
Appena questa dichiarazione esce dai lavori della Commissione, si scatena l’inferno tra agenzie di stampa e altri media, tanto che il pacato Pisanu è costretto a smentire rapidamente, ribadendo che “non si può riferire alcunché dello svolgimento dei lavori della Commissione in seduta segreta”.
Lo stesso Lari ha dovuto a ruota rilasciare una dichiarazione analoga: “Smentisco categoricamente che la politica non potrà reggere il peso di queste indagini. Siamo ancora in alto mare. Non capisco come siano uscite queste notizie. Avranno male interpretato parole attribuite e smentite dal mio vice, Domenico Gozzo, e poi attribuite a me. Non vorrei che venisse fuori un grande inutile polverone, dopo il grande proficuo rapporto istituzionale di oggi”.
Il polverone comunque si è alzato, perché una smentita è più ghiotta di una notizia e lo stesso Lari è sembrato indicare nelle parole di Gozzo la possibile spiegazione di quanto successo. Dalle parole di quest’ultimo, infatti, si è potuto cogliere il retroterra, quantomeno psicologico, della possibile soluzione all’affaire via D’Amelio, dove un ruolo non da poco lo ebbero pezzi deviati dello Stato: “Dopo due anni mi sento di dire che siamo in un momento di svolta delle indagini. Certo seppure le inchieste si trovano in una fase felice, io non posso dire di essere felice delle cose che mano a mano si vanno scoprendo”.
Il giorno dopo l’audizione, di fronte ai tg e a giornali come Libero e Il Giornale, che titolano “I giudici minacciano Silvio” e “Una bomba sulla testa di Berlusconi”, Pisanu, visibilmente controvoglia e senza troppa convinzione, ha provato a spegnere l’incendio.
Il presidente dell’antimafia ha annunciato una nuova audizione di Lari, sottolineando che “nessuno di noi ha avuto la sensazione che la magistratura fosse ad un passo dalla verità, e nessuno di noi ha manifestato la preoccupazione per gli effetti politici che una simile scoperta potrebbe produrre. Ci auguriamo che la verità venga scoperta al più presto”.
Anche Lari, pur ribadendo che nelle indagini su via D’Amelio “ci furono errori clamorosi oppure un vero e proprio depistaggio da parte di organismi investigativi della polizia di Stato”, ha voluto escludere la presenza di uomini politici ancora oggi in attività nella trattativa tra Stato e mafia.
Estate, un tempo, stagione di stragi e di cadaveri eccellenti; estate, oggi, stagione di sole e di polveroni e di chiacchiere.
Aspettiamo che si posi la polvere, lasciamo che i magistrati lavorino in silenzio e, alla fine, vedremo chi sarà chiamato alle sue responsabilità e chi sarà in grado di reggere il peso della verità.
Liberainformazione - Un tempo – sembrano davvero secoli fa – quando i corleonesi stavano scalando la “cupola”, l’estate era la stagione preferita per regolare i conti con i nemici interni ed esterni. Giuliano, Montana, Cassarà e ancora Chinnici, Costa, Ambrosoli, dalla Chiesa, per citare solo alcune delle tante vittime eccellenti che finivano nella conta mortale, insieme ai tanti uomini di mafia, uccisi perché appartenenti allo schieramento perdente.
La svolta avviene nel 1989 con le lettere del famigerato “corvo” che screditava Falcone per il ritorno in Sicilia di Totuccio Contorno (si paventò che fosse un killer di Stato, la cui mano era stata armata da magistrati e poliziotti) e l’attentato fallito, ai danni dello stesso Falcone, sulle scogliere dell’Addaura. Fatti davvero allarmanti, “menti raffinatissime” come le definì allora il magistrato palermitano, polemiche furibonde, divisioni epocali e contrasti insanabili all’interno dei partiti, delle istituzioni, della società stessa. Nel nome della lotta alla mafia si litigava e ci si divideva. Un regalo a Cosa Nostra, alla fine.
Da quel momento, ogni estate, ciclicamente – fatto salvo il biennio ‘92/’93 quando il sangue è tornato a bagnare la Sicilia e il continente– sotto la canicola estiva si scatenano le letture più inquietanti, si rilanciano le piste investigative e si alimentano gli scontri verbali.
Come dicevamo anche questa estate 2010 non confuta il cliché ormai logoro, ma sempre ricco di scoop e di insidie. Siamo arrivati a questo passaggio estivo, con il fiato corto.
Prima le rivelazioni sulla trattativa fornite da Massimo Ciancimino, che con una sorta di interpretazione autentica delle parole del padre, dominus della politica palermitana e simbolo della collusione con le cosche, ha ridato fiato a quanti sospettavano che Cosa Nostra e istituzioni avessero chiuso un patto per porre fine alle stragi.
Poi è stata la volta delle polemiche per la mancata ammissione al programma di protezione di Gaspare Spatuzza. L’ex killer di Brancaccio aveva rivelato l’accordo tra i fratelli Graviano e Dell’Utri e Berlusconi, per uscire dalla stagione delle stragi e avviare la nuova fase di coabitazione tra mafia e politica.
Poi c’è stata la “strana” sentenza d’appello per il senatore Dell’Utri, condannato a sette anni per i rapporti intrattenuti con i boss fino al 1992 e per il periodo successivo, invece, graziato. Attendiamo le motivazioni ma suonano incomprensibili i termini in cui è maturato il controverso verdetto.
E ora, mentre le città si svuotano, la temperatura sale velocemente verso l’alto per le dichiarazioni e le smentite che in queste ultime ore si susseguono a cadenza ravvicinata.
Oggetto del contendere la verità relativa alle stragi del 1992, in particolare quella di via D’Amelio, il cui esito più probabile potrebbe essere la clamorosa revisione del processo e l’azzeramento della verità raggiunta in sede giudiziaria.
Nei giorni dell’anniversario della strage, la Commissione parlamentare antimafia ha scelto di andare a Palermo per raccogliere la testimonianza degli uomini impegnati in prima fila contro la mafia.
Per Pisanu, non c’è che dire, una bella operazione d’immagine: essere a Palermo nei giorni del ricordo di Borsellino e della sua scorta, è servito a rilanciare la presenza di una Commissione che fino ad oggi, invece, era brillata per la sua assenza cronica. Mettersi sotto i riflettori, in occasione dell’anniversario, è servito soprattutto a coprire le ombre che fino ad oggi avevano accompagnato l’azione incerta, o meglio, lo stallo assoluto dimostrato dall’organo parlamentare e, in particolare, dal suo presidente.
I flash e le telecamere hanno ripreso l’audizione dei magistrati di Palermo Messineo, Ingroia, De Francisci e De Lucia e, dopo di loro, dei colleghi della procura di Caltanissetta.
E qui l’operazione d’immagine però è sembrata sfuggire di mano, perché dai rigori del protocollo è fuoriuscita la verità indicibile.
Proprio sulla strage di via D’Amelio, ai procuratori nisseni Sergio Lari e Domenico Gozzo – capo della procura e aggiunto, quindi non peones – viene ascritta in un primo momento una dichiarazione davvero deflagrante: “Speriamo di essere a un passo dalla verità sulla strage di via d'Amelio. Lo Stato è in grado di raccogliere questa verità, il problema è se c'è una politica in grado di raccogliere questa verità”.
Appena questa dichiarazione esce dai lavori della Commissione, si scatena l’inferno tra agenzie di stampa e altri media, tanto che il pacato Pisanu è costretto a smentire rapidamente, ribadendo che “non si può riferire alcunché dello svolgimento dei lavori della Commissione in seduta segreta”.
Lo stesso Lari ha dovuto a ruota rilasciare una dichiarazione analoga: “Smentisco categoricamente che la politica non potrà reggere il peso di queste indagini. Siamo ancora in alto mare. Non capisco come siano uscite queste notizie. Avranno male interpretato parole attribuite e smentite dal mio vice, Domenico Gozzo, e poi attribuite a me. Non vorrei che venisse fuori un grande inutile polverone, dopo il grande proficuo rapporto istituzionale di oggi”.
Il polverone comunque si è alzato, perché una smentita è più ghiotta di una notizia e lo stesso Lari è sembrato indicare nelle parole di Gozzo la possibile spiegazione di quanto successo. Dalle parole di quest’ultimo, infatti, si è potuto cogliere il retroterra, quantomeno psicologico, della possibile soluzione all’affaire via D’Amelio, dove un ruolo non da poco lo ebbero pezzi deviati dello Stato: “Dopo due anni mi sento di dire che siamo in un momento di svolta delle indagini. Certo seppure le inchieste si trovano in una fase felice, io non posso dire di essere felice delle cose che mano a mano si vanno scoprendo”.
Il giorno dopo l’audizione, di fronte ai tg e a giornali come Libero e Il Giornale, che titolano “I giudici minacciano Silvio” e “Una bomba sulla testa di Berlusconi”, Pisanu, visibilmente controvoglia e senza troppa convinzione, ha provato a spegnere l’incendio.
Il presidente dell’antimafia ha annunciato una nuova audizione di Lari, sottolineando che “nessuno di noi ha avuto la sensazione che la magistratura fosse ad un passo dalla verità, e nessuno di noi ha manifestato la preoccupazione per gli effetti politici che una simile scoperta potrebbe produrre. Ci auguriamo che la verità venga scoperta al più presto”.
Anche Lari, pur ribadendo che nelle indagini su via D’Amelio “ci furono errori clamorosi oppure un vero e proprio depistaggio da parte di organismi investigativi della polizia di Stato”, ha voluto escludere la presenza di uomini politici ancora oggi in attività nella trattativa tra Stato e mafia.
Estate, un tempo, stagione di stragi e di cadaveri eccellenti; estate, oggi, stagione di sole e di polveroni e di chiacchiere.
Aspettiamo che si posi la polvere, lasciamo che i magistrati lavorino in silenzio e, alla fine, vedremo chi sarà chiamato alle sue responsabilità e chi sarà in grado di reggere il peso della verità.
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