lunedì, luglio 12, 2010
del nostro corrispondente da Roma Carlo Mafera

L’umorismo demenziale non è un’invenzione americana: l’Italia può vantare i suoi precedenti in questo stile lunare, bizzarro e surreale di comicità in Petrolini, Macario e Rascel; lo stesso Gigi Proietti sconfina spesso nell’umorismo demenziale. Marco Zadra s’inserisce felicemente in questo filone: quest’anno, prima con Zadrinsky quattro e ora con PatchWork, ha raggiunto dei livelli altissimi di comicità demenziale, e ritengo che in Italia ci siano ben pochi comici che si avvicinino alla sua bravura. Sì, è vero che Zelig e Colorado sono pieni di artisti demenziali, ma tenere per due ore la scena senza stancare, come fa Zadra insieme alla sua ottima compagnia di attori non professionisti, ha un non so che di magico. Evidentemente è tutto studiato a tavolino, tutto previsto grazie alla sua ventennale esperienza. Per esempio, “staccare” ogni tanto con il tormentone “Tatino o tatone?”, domanda rivolta ad una delle sue tante “spalle” (Filippo Nardi), che risponde sempre nel modo sbagliato, è un’invenzione straordinaria. È come un fil rouge che lega tutto lo spettacolo. L’altro tormentone è quello di inventare nomi e cognomi dall’effetto comico esilarante: per esempio “Lei come si chiama?” “Gina” “E di cognome?” “Micu” “Ah ah! Allora lei è Micugina!!!!”.

I tempi comici dello spettacolo sono serratissimi e non c’è tempo di annoiarsi, ma solo di piegarsi in due dalle risate. Il che è altamente terapeutico in un’epoca come la nostra, dove non ci resta che piangere, tanto per parafrasare il grande Massimo Troisi. E poi c’è il gran finale, con una serie di canzoncine anni trenta e quaranta che sono come la ciliegina sulla torta della demenzialità, quando per l’appunto la canzone italiana era ancora capace di produrre tanta leggerezza, antidoto forte in un periodo storico drammatico.

Forse la demenzialità viene reputata di serie B, e lo stesso Totò ne seppe qualcosa perché dovette aspettare la sua morte per poter essere apprezzato (e forse da lassù si sta facendo qualche risata malinconica), ma personalmente ritengo che il riso, e in particolare quello che scaturisce dalla demenzialità, abbia un valore terapeutico incommensurabile perché riesce a ridimensionare la realtà e a far prendere le distanze da essa... e soprattutto aiuta a non prendersi troppo sul serio. “Tatino o Tatone?” “Tatone” “Ah, mi dispiace era Tatino!!!”

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