lunedì, luglio 12, 2010
Il racconto di uno dei 250 rifugiati eritrei imprigionati nel carcere di Al Braq nel sud della Libia. Picchiati, torturati e poi spostati in una prigione nel deserto senza cibo, acqua né cure mediche.

PeaceReporter - Questo il racconto di uno 250 dei rifugiati eritrei - di cui non riveliamo il nome per motivi di sicurezza - imprigiornati nel carcere Al Braq nel sud della Libia. "Abbiamo bisogno di ottenere lo status di rifugiati, perchè stiamo morendo nel deserto".

Dove vi trovate adesso? Vi hanno picchiato o maltrattato?

Siamo ad Al Braq, a 75 chilometri a sud di Sebah, nel sud della Libia, vicino al confine con il Niger. Siamo in una prigione sotterranea. Ci torturano a tutte le ore. Ci insultano, ci picchiano, ci torturano. La tortura è frequente, tutto è frequente.

E prima dove vi trovavate?

Prima ci trovavamo in un centro di detenzione, a Misratah. Alcuni di noi erano stati arrestati perchè già abitavano in Libia, altri sono stati presi nelle città, altri ancora sono stati respinti dall'Italia lo scorso anno. Anche se avrebbero auto il diritto di essere accolti come rifugiati sono stati respinti. Altri erano semplicemente trasferiti di prigione in prigione e alla fine erano approdati al carcere di Misratah.

Com'è cominciato tutto?

Le torture sono cominciate per la prima volta all'interno del centro di detenzione di Al Brak perchè ci avevano chiesto di essere fotografati e di firmare dei fogli, per poi essere rimpatriati. Noi non volevamo, perchè temevamo di essere deportati. Poi alcuni di noi, per paura di essere ritortati in Eritrea, sono scappati dalla prigione e poi sono iniziati gli scontri con la polizia. Poi immediatamente più di 600 soldati dei corpi speciali sono arrivati e ci hanno circondato. C'erano anche 2 brigate di tiratori scelti. Tutto è iniziato la sera del 30 giugno e il 1 luglio, di prima mattina ci hanno fatto spogliare e ci volevano portare via. Noi abbiamo cercato di resistere per dimostrare loro che non volevamo essere deportati, ma a loro non fregava nulla di noi. Poi ci hanno fatti salire a forza, uno per uno, dentro a dei container caricati su dei camion. E dopo 13-14 ore ci hanno portato al carcere di Al Braq.

Com'è la vostra situazione nel carcere?

Nessuno è morto nel trasporto, ma in molti hanno gravi problemi di salute. Ci sono anche 18 donne e bambini. Ad alcuni di noi hanno soaccato gambe, braccia, teste. Le torture sono stati molto pesanti. Tre persone, appena arrivate qui, hanno bevuto del detersivo e sono state portate in ospedale: si è trattato di tentativi di suicidio.

Avete ricevuto cure mediche?

Al nostro arrivo non abbiamo avuto alcuna assistenza medica, la nostra situazione qui è estremamente difficile. Siamo stati semplicemente ammassati in una stanza, che ci serve per dormire, mangiare , andare in bagno. Non abbiamo materassi, non abbiamo niente. Non c'è acqua da bere, non c'è abbastanza cibo. E il centro di detenzione è molto caldo, perchè siamo rinchiusi praticamente sottoterra: sono edifici molto bassi e molto molto caldi.

Avete contatti con l'esterno? Qualcuno vi sta aiutato?

Si parla molto di noi su internet, ma ora non c'è nessuno che possa proteggerci. Siamo qui senza speranza e senza alcun tipo di aiuto. Nessuno può visitarci in carcere, nessuno viene a proteggerci. Attorno a noi ci sono solo l'Ambasciata eritrea e le autorità libiche. Anche se tutto questo é successo perché ci rifiutavamo di compilare i moduli per il rimpatrio, l'Ambasciata si sta organizzando per venire qui e farci firmare quei fogli. Ma il problema non è tanto compilare quei moduli, ma ottenere dei visti. Abbiamo di essere riconosciuti come rifugiati, abbiamo bisogno di aiuto da parte della comunità internazionale proprio qui e ora. Perchè stiamo morendo nel deserto. Questo è il nostro appello: fate qualcosa perchè qui non si tratta solo di essere deportati, ma stiamo davvero morendo nel deserto.


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