mercoledì, agosto 11, 2010
Si pensa non ci possa essere niente di peggio che morire inceneriti da un soffio di inferno, a 8.000 gradi di calore, mentre ci si trova intrappolati su un sottomarino a 108 metri di profondità. Invece di peggio c'é, ed è morire lentamente sullo stesso sottomarino per mancanza di ossigeno, per le ustioni riportate, per le ferite, per annegamento.

Ansa.it - Morire al buio, nella disperazione propria e dei propri compagni di sventura. In attesa di un soccorso che non arriverà mai. In mezzo a questa catastrofe, alcuni fecero in tempo a scrivere drammatici e commoventi biglietti di addio. E' in questi particolari raccapriccianti che si riassume la tragica vicenda del sottomarino russo Kursk, un lanciamissili con armamenti nucleari, orgoglio della Flotta del nord, affondato nelle acque del mare di Barents il 12 agosto 2000. Ci furono 118 morti in quegli abissi gelidi. L'agonia di 23 di quegli uomini (gli altri erano morti subito) fu vissuta in diretta da tutto il mondo e in particolare dalla Russia per sette lunghissimi giorni (9 dall'affondamento).

La storia del Kursk fin da subito fu avvolta nei misteri e nelle bugie che portarono a ritardi nei soccorsi, probabilmente fatali per i poveri marinai intrappolati in fondo al mare. Dapprima l'incidente non fu nemmeno comunicato al mondo, anche se i servizi di intelligence dei paesi occidentali avevano registrato qualcosa di anomalo accaduto nel mare di Barents e che aveva a che fare con il nucleare. Il Kursk si inabissò per sempre la mattina del 12 agosto, mentre le autorità di Mosca lo fecero sapere solo il 14, dicendo peraltro che l'affondamento risaliva al giorno prima. L'ufficializzazione della notizia in quei termini creò apprensione per le possibili conseguenze di un'esplosione radioattiva e soprattutto per il non detto. I russi si affrettarono a smentire pericoli di qualunque genere, e quasi subito finirono per incartarsi con i soccorsi che non seppero o non poterono portare all'equipaggio.

Da una parte per la scarsa organizzazione, da un'altra per la carenza di mezzi adeguati. Eppure Mosca sulle prime rifiutò ogni aiuto straniero, minimizzando la portata dell'intervento di salvataggio, salvo fare marcia indietro dopo aver compreso che i russi da soli non ce l'avrebbero mai fatta. E grande fu la sorpresa, soprattutto del popolo russo nel quale ormai montava l'indignazione, quando dopo giorni di inutile e roboante mobilitazione militare e di parole dei vertici militari russi, si seppe che ai sommozzatori norvegesi erano servite solo un paio d'ore per arrivare al Kursk e armeggiare sul portellone. Se si fosse fatto prima ? è l'angosciosa domanda cui nessuno darà mai risposta.

L'affondamento del Kursk è stato l'emblema dell'incapacità dei vertici militari e politici di quel Paese a gestire un'emergenza che, prima ancora che militare, era semplicemente umana. Nessuno aveva la garanzia che ci fossero ancora uomini vivi dentro il sottomarino, ma di sicuro l'intervento degli esperti norvegesi e poi britannici fu tardivo, quando ormai non c'erano più riserve di ossigeno nel disastrato ex orgoglio della marina militare russa. Anche la gestione politica dell'affondamento fu un disastro: dapprima e a lungo ci fu l'insistenza ad accreditare la collisione con un altro sottomarino occidentale che si trovava nelle stesse acque, poi pian piano fu accreditata -anche dalla commissione di inchiesta nel 2002- l'idea delle due esplosioni a bordo, dovute a una fuoruscita di materiale combustibile in armamenti obsoleti e sottoposti a scarsa manutenzione. Ma non è detto che sia tutta la verità.

Tempo fa un ex ammiraglio russo ha ipotizzato che in realtà il Kursk potrebbe essere stato colpito dal fuoco amico per errore. Misteri destinati a non essere chiariti. Resta il ricordo di tutti quegli uomini morti lentamente in fondo al mare nel più disgraziato incidente della storia navale russa.


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