giovedì, agosto 12, 2010
Ricorre oggi il 66.mo anniversario dell’eccidio nazista di Sant’Anna di Stazzema, un piccolo centro in provincia di Lucca dove nel 1944 i soldati delle SS uccisero 560 persone, in maggior parte anziani, donne e bambini

RadioVaticana - Non si trattò di una rappresaglia ma di un “atto terroristico premeditato”, accertò il processo della procura militare della Spezia che si concluse nel 2007 con la condanna all’ergastolo per 10 SS. Il presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, in un messaggio, inviato al sindaco del Paese toscano, ha affermato che la memoria dell’eccidio deve “impegnarci tutti in un'opera di costante consolidamento delle riconquistate libertà democratiche". Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha paragonato l’accaduto ad una ferita “incancellabile”. Ma cosa successe quel 12 agosto di 66 anni fa? Eugenio Bonanata lo ha chiesto ad un sopravvissuto alla strage, Enrico Pieri, che allora aveva 11 anni e che oggi è presidente dell’Associazione Martiri di Sant’Anna:

R. - La mattina del 12 agosto passa un signore vicino di casa e ci dice che dall’altra parte del monte stanno salendo dei gruppi di nazisti. In genere gli uomini si salvarono tutti perché ebbero il tempo di scappare nei boschi, mentre mio nonno, mio padre e gli zii rimasero in casa perché pensavano che si trattasse solo di un rastrellamento. Dopo 10 minuti arrivarono in casa gridando “Raus! Schnell!”; ci fecero uscire e ci condussero sulla piazza della Chiesa insieme alla famiglia Pierotti, una famiglia di Pietrasanta sfollata in casa di mia nonna. Facemmo cento metri, poi venne un contrordine e ci spinsero tutti dentro la cucina della famiglia Pierotti. Appena le due famiglie furono dentro la cucina, iniziarono a sparare con le pistole, uccidendo 10 persone in 5 minuti.

D. - Come riuscì a salvarsi?

R. - Una delle bambine della famiglia Pierotti, che si chiamava Grazia, si era imbucata in un sottoscala che si trovava in fondo alla cucina. Allora mi ha chiamato e mi sono trovato al riparo assieme a lei.

D. - E poi che cosa successe?

R. - Non contenti di aver ammazzato tutte e due le famiglie, i soldati presero della paglia che era lì nell’aia e la buttarono dentro la casa e gli diedero fuoco. La casa, fatta di pavimenti in legno, iniziò subito a bruciare e la cucina si riempì di fumo. Appena si sentì che fuori non c’era tutta quella confusione, si uscì dalla cucina e ci buttammo dentro una piana di fagioli - fatti a capanna come si usava qui a Sant’Anna - e lì siamo rimasti diverse ore. Si sentiva sparare da tutte le parti ad un certo punto non si sentiva più sparare e si sentivano i crolli delle case, dei fienili...

D. - Come è cambiata la sua vita dopo il 12 agosto del ’44?

R. - Devo dire che lì per lì non mi resi conto di essere rimasto solo. Però, poi, vivere da orfano di guerra ... la mia vita è stata dura.

D. - E’ riuscito a perdonare?

R. - Il perdono è una cosa personale, però mi sono reso conto che non si può portare né rancore né odio se si vuole costruire veramente. Io per la prima volta l’anno scorso sono stato in Germania, non c’ero mai voluto andare, però mi ha fatto piacere.

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