Si fa sempre più difficile la situazione in Pakistan dopo le terribili inondazioni delle settimane scorse che hanno procurato numerosi morti.
Radio Vaticana - Nonostante stia lentamente aumentando l’impegno da parte dei Paesi donatori, diverse agenzie umanitarie ribadiscono che gli aiuti stentano ad arrivare a tutti i 20 milioni di pakistani colpiti. Intanto in queste ore è arrivato un nuovo drammatico appello dell’Unicef, mentre i missionari denunciano: i cristiani sono discriminati negli aiuti. Il servizio è di Eugenio Bonanata:
Più di 3 milioni e mezzo di bambini rischiano di perdere la vita a causa delle acque contaminate che veicolano malattie mortali ed epidemie. Per questo l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia ha ribadito che bisogna incrementare le donazioni e soprattutto portare urgentemente gli aiuti alle popolazioni colpite. Sono milioni le persone non ancora raggiunte dai soccorsi. Il Pam (Programma alimentare mondiale) ha chiesto l’invio immediato di elicotteri. Alla lentezza e alle difficoltà sul fronte umanitario si affianca anche la discriminazione subita dai cristiani nel Paese. A denunciarla è stato padre Mario Rodrigues, direttore delle Pontificie Opere Missionarie nel Paese, che, in un’intervista all’agenzia Fides, ha parlato di una “guerra tra poveri” per l’accaparramento degli scarsi aiuti gestiti soprattutto dal governo. “I profughi cristiani – ha detto - spesso ricevono ben poca assistenza, oppure ne sono esclusi del tutto”. Il religioso ha poi raccontato di sacerdoti e volontari, che, nelle province di Punjab, Sindh e Baluchistan raccolgono centinaia di sfollati appartenenti alla minoranza cristiana portandoli nei campi gestiti dalla Caritas, per garantire loro assistenza minima necessaria. Intanto la comunità internazionale cerca di intensificare gli sforzi. Proprio per coordinare l’emergenza, ieri si è riunita a New York in seduta straordinaria l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Rappresentanti dell’esecutivo pakistano hanno precisato che i danni ammontano a 43 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno garantito l’invio di altri 150 milioni di dollari, mentre oggi Islamabad ha accettato gli aiuti offerti dall’India, nonostante i complessi rapporti tra le due diplomazie. Sulla situazione in Pakistan, Federico Piana ha intervistato Daniele Donati, capo delle operazioni di emergenza della Fao in Asia:
R. – L’area colpita ha un ordine di magnitudine assolutamente mai conosciuto prima. E’ come se l’area fra Parigi e Reggio Calabria fosse completamente inondata e con un quarto della popolazione italiana colpita da un fenomeno naturale della stessa violenza che possono aver conosciuto gli abruzzesi con il terremoto dell’Aquila.
D. – L’aspetto più importante, adesso, è l’aiuto alimentare?
R. – L’aiuto alimentare immediato sì, certamente, ma va considerato anche l’aiuto alimentare per gli animali che danno, a loro volta, alimenti agli uomini. In questo momento il Pakistan ha già perso 200 mila capi di bestiame. Dovete pensare che questo rappresenta, a volte, il risparmio di una generazione di lavoro. Ci sono 700, 800 mila animali a rischio e questo significa prodotti alimentari che stanno per scomparire se non saremo rapidi a mantenere questi animali in vita. L’altro aspetto estremamente prioritario è questo, all’orizzonte, dei prossimi due mesi: c’è da seminare grano. La campagna più importante del Pakistan inizia i primi di settembre – e siamo già in ritardo – e termina a fine ottobre in altre aree del Paese. Ora, compatibilmente con la condizione dei suoli, perché l’alluvione certamente ha portato via, in larghe parti del Paese, lo strato fertile, compatibilmente con questa situazione bisogna cercare di portare ai contadini pakistani quelle sementi di grano necessarie a non perdere questa campagna, altrimenti i raccolti perduti saranno due invece che uno. Si è appena perso il raccolto di mais, cotone, riso, canna da zucchero, quei 3.2 milioni di ettari che sono stati spazzati via dall’alluvione nelle settimane scorse: quello è già perso. Se non si fa in tempo a sovvenire ai loro bisogni con sementi di grano a quest’orizzonte brevissimo – immaginate di dover comprare sui mercati internazionali le giuste varietà di sementi – ed organizzare la logistica in un Paese colpito nelle sue infrastrutture ed ancora sotto l’acqua, per molti versi, questa è una sfida titanica. Se non si arriva in tempo, si perde anche quella finestra di opportunità ed il costo, in termini di aiuto alimentare, sarà smisurato. E’ un’operazione come non se n’è mai immaginata una. Quest’anno il Pakistan ha fatto uno sforzo speciale di preparazione a questi monsoni, perché avvengono tutti gli anni. Ci si aspettavano dei danni, non è che non fossero scontati in anticipo, ma nessuno si aspettava questa dimensione.
Radio Vaticana - Nonostante stia lentamente aumentando l’impegno da parte dei Paesi donatori, diverse agenzie umanitarie ribadiscono che gli aiuti stentano ad arrivare a tutti i 20 milioni di pakistani colpiti. Intanto in queste ore è arrivato un nuovo drammatico appello dell’Unicef, mentre i missionari denunciano: i cristiani sono discriminati negli aiuti. Il servizio è di Eugenio Bonanata:
Più di 3 milioni e mezzo di bambini rischiano di perdere la vita a causa delle acque contaminate che veicolano malattie mortali ed epidemie. Per questo l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia ha ribadito che bisogna incrementare le donazioni e soprattutto portare urgentemente gli aiuti alle popolazioni colpite. Sono milioni le persone non ancora raggiunte dai soccorsi. Il Pam (Programma alimentare mondiale) ha chiesto l’invio immediato di elicotteri. Alla lentezza e alle difficoltà sul fronte umanitario si affianca anche la discriminazione subita dai cristiani nel Paese. A denunciarla è stato padre Mario Rodrigues, direttore delle Pontificie Opere Missionarie nel Paese, che, in un’intervista all’agenzia Fides, ha parlato di una “guerra tra poveri” per l’accaparramento degli scarsi aiuti gestiti soprattutto dal governo. “I profughi cristiani – ha detto - spesso ricevono ben poca assistenza, oppure ne sono esclusi del tutto”. Il religioso ha poi raccontato di sacerdoti e volontari, che, nelle province di Punjab, Sindh e Baluchistan raccolgono centinaia di sfollati appartenenti alla minoranza cristiana portandoli nei campi gestiti dalla Caritas, per garantire loro assistenza minima necessaria. Intanto la comunità internazionale cerca di intensificare gli sforzi. Proprio per coordinare l’emergenza, ieri si è riunita a New York in seduta straordinaria l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Rappresentanti dell’esecutivo pakistano hanno precisato che i danni ammontano a 43 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno garantito l’invio di altri 150 milioni di dollari, mentre oggi Islamabad ha accettato gli aiuti offerti dall’India, nonostante i complessi rapporti tra le due diplomazie. Sulla situazione in Pakistan, Federico Piana ha intervistato Daniele Donati, capo delle operazioni di emergenza della Fao in Asia:
R. – L’area colpita ha un ordine di magnitudine assolutamente mai conosciuto prima. E’ come se l’area fra Parigi e Reggio Calabria fosse completamente inondata e con un quarto della popolazione italiana colpita da un fenomeno naturale della stessa violenza che possono aver conosciuto gli abruzzesi con il terremoto dell’Aquila.
D. – L’aspetto più importante, adesso, è l’aiuto alimentare?
R. – L’aiuto alimentare immediato sì, certamente, ma va considerato anche l’aiuto alimentare per gli animali che danno, a loro volta, alimenti agli uomini. In questo momento il Pakistan ha già perso 200 mila capi di bestiame. Dovete pensare che questo rappresenta, a volte, il risparmio di una generazione di lavoro. Ci sono 700, 800 mila animali a rischio e questo significa prodotti alimentari che stanno per scomparire se non saremo rapidi a mantenere questi animali in vita. L’altro aspetto estremamente prioritario è questo, all’orizzonte, dei prossimi due mesi: c’è da seminare grano. La campagna più importante del Pakistan inizia i primi di settembre – e siamo già in ritardo – e termina a fine ottobre in altre aree del Paese. Ora, compatibilmente con la condizione dei suoli, perché l’alluvione certamente ha portato via, in larghe parti del Paese, lo strato fertile, compatibilmente con questa situazione bisogna cercare di portare ai contadini pakistani quelle sementi di grano necessarie a non perdere questa campagna, altrimenti i raccolti perduti saranno due invece che uno. Si è appena perso il raccolto di mais, cotone, riso, canna da zucchero, quei 3.2 milioni di ettari che sono stati spazzati via dall’alluvione nelle settimane scorse: quello è già perso. Se non si fa in tempo a sovvenire ai loro bisogni con sementi di grano a quest’orizzonte brevissimo – immaginate di dover comprare sui mercati internazionali le giuste varietà di sementi – ed organizzare la logistica in un Paese colpito nelle sue infrastrutture ed ancora sotto l’acqua, per molti versi, questa è una sfida titanica. Se non si arriva in tempo, si perde anche quella finestra di opportunità ed il costo, in termini di aiuto alimentare, sarà smisurato. E’ un’operazione come non se n’è mai immaginata una. Quest’anno il Pakistan ha fatto uno sforzo speciale di preparazione a questi monsoni, perché avvengono tutti gli anni. Ci si aspettavano dei danni, non è che non fossero scontati in anticipo, ma nessuno si aspettava questa dimensione.
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