lunedì, agosto 30, 2010
del nostro collaboratore redazionale Stefano Buso

Daniele Franceschi, 31 anni, carpentiere di Viareggio, è morto in un carcere francese. Da ciò che si legge dalle agenzie era un ragazzo forte e pieno di salute. “Era”, perché è morto in circostanze misteriose nel carcere di Nizza. Nizza, in Francia, a pochi chilometri dall’Italia. Non stiamo parlando di un carcere nella lontana Thailandia o in Turchia. Discutiamo di una struttura di detenzione in un Paese confinante, e soprattutto comunitario.
Sembrerebbe che da oltre cinque mesi il ragazzo attendesse il processo, lamentandosi con la famiglia di non essere trattato particolarmente bene... cosa che avviene spesso in gattabuia! Il reato a lui ascritto era legato all’uso di una carta di credito clonata, secondo la versione fornita delle autorità francesi. Durante questi mesi la famiglia ha avuto pochissime possibilità di visitare il proprio congiunto e, quando ciò è avvenuto, le limitazioni da parte della dirigenza carceraria non sono mancate.

In questa sede non si discute sulla colpevolezza o l’innocenza della vittima. Ci sono i tribunali preposti a fugare eventuali dubbi, a emettere le sentenze di assoluzione o condanna. Viene però da chiedersi come mai un nostro connazionale sia rimasto dietro le sbarre per 150 giorni, parcheggiato come se si trattasse di un pacco giacente in un magazzino. Tutto ciò è vergognoso, fuori dalla concezione del diritto. Il caso specifico rasenta dinamiche in contrasto con le convenzioni di detenzione internazionali, e offende la dignità umana. In sé, è un provvedimento restrittivo, pesante e ingiustificato.

Riflettendo, molti episodi analoghi scivolano dinnanzi a noi ogni giorno, leggendo i giornali o guardando la televisione, tuttavia sono più frequenti in nazioni lontane, non comunitarie, dove è dura per chiunque far prevalere diritto e verità. È pur vero che non è la prima volta che i francesi in situazioni simili, seppur isolate, hanno palesato una sorta di “ durezza” verso gli italiani. Vecchi dissapori o… antica ruggine? Assurdo comunque generalizzare, colpevolizzando un popolo che in passato ha dato prova d’esser garantista e tollerante.

Resta il fatto che Daniele Franceschi è morto nelle patrie galere francesi in attesa di condanna e in circostanze poco chiare. La causa della sua fine dovrà essere appurata, e soprattutto resa pubblica alla stampa. È palese che non occorre oltrepassare il globo per marcire in qualche fetida galera. In passato, nel mondo, ci sono stati problemi con qualche nostro connazionale trovato “in possesso” di farmaci prescritti legalmente, ansiolitici piuttosto che betabloccanti e persino l’insulina per i diabetici, e per questo messi al gabbio. In effetti, è dura da accettare, ma in più di qualche realtà una volta incarcerati ogni speranza di sopravvivere o quantomeno di subire un processo in tempi ragionevoli si volatilizza. E sul fronte della diplomazia il nostro governo come si è mosso in questo caso? Soprattutto, era stato informato nei dettagli?

Tante, troppe domande allo stato attuale senza risposta. La cronaca dei prossimi giorni forse offrirà qualche spiegazione ufficiale, o una cruda verità, una delle tante. Per il momento il bollettino è questo, e non è dei migliori…

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