sabato, settembre 25, 2010
di Paolo Pegoraro

ZENIT.org - Ormai è evidente: in Italia è in corso un vero e proprio “Rinascimento chestertoniano”. Un revival in piena espansione. L’oculatezza di alcuni editori e la passione dei tanti lettori è riuscita a riportare nelle nostre librerie molti titoli del geniale scrittore che mancavano da decenni. Solo negli ultimi mesi, Morganti ha dato alle stampe la nuova traduzione del romanzo La sfera e la croce, Fede&Cultura ha pubblicato una raccolta di preghiere commentate da brani di G.K. Chesterton – Le preghiere dell’Uomo Vivo –, Raffaelli ha presentato l’inedito La fine della strada romana, mentre Lindau ha sfornato ben quattro titoli in nuova traduzione: alcuni tra i migliori saggi di Chesterton – Eretici, Ortodossia, Autobiografia – e il suo primo romanzo, Il Napoleone di Notting Hill (Lindau 2010, pp. 232). Proprio quest’ultimo titolo merita una parola di spiegazione. Perché è un racconto allo stesso tempo visionario, profetico e intimamente autobiografico.

Scritto nel 1904 e ambientato nella Londra di cento anni dopo, Il Napoleone di Notting Hill immagina che la democrazia, morta per l’indifferenza dei cittadini, sia stata soppiantata da una “tirannia morbida”: di volta in volta, il sovrano è una persona qualunque sorteggiata a caso tra gli abitanti. Il nuovo re è Auberon Quin, un impiegato così afflitto dalla monotonia della propria esistenza da ripristinare – per puro divertimento personale – l’indipendenza degli antichi sobborghi di Londra. Come in un nuovo Medioevo delle gilde o in un Rinascimento dei comuni, Kensigton, Hyde Park, West Hampstead, Wimbledon e via dicendo si dotano di uno stemma araldico e di un sindaco, di un corpo di guardia con tanto di divise proprie, nonché di tradizioni e rituali originali. Ma quella che era cominciata come la stramberia di un Re buontempone finisce per tramutarsi in una contagiosa ondata di patriottismo locale. La scintilla scocca quando due sindaci presentano il progetto di una moderna via commerciale che unirà i loro municipi, anche se per farlo bisognerà abbattere un gruppetto di case nel quartiere di Notting Hill. Peccato che il suo sindaco, Adam Wayne, non esiti un solo istante a impugnare la spada e a guidare i suoi cittadini alla guerra civile per la salvezza di quel quartiere che consiste… in un viottolo, un pub e quattro botteghe. Nulla di più. Pump Street è la strada qualunque, dove si è giocato da bambini, dove si sono vissuti i primi amori, la strada percorsa da padri, madri, nonni e trisavoli. Una strada impregnata dalla vita e dai sentimenti della gente comune, pertanto una strada sacra ed eroica. E allora perfino un rigattiere o un giocattolaio diventano qualcosa da difendere con la propria vita, qualcosa che non può essere ceduto in cambio di vantaggi economici. Chesterton scriveva questa favola nel 1904, quando l’Impero britannico comincia a manifestare i primi sintomi del declino, e viene da sorridere pensando a quanti film – nei decenni successivi – cominceranno con una casa o una scuola minacciata dal sopravanzare di grattacieli o di centri commerciali più mastodontici delle antiche cattedrali. Chissà come cambierebbe il volto delle nostre metropoli se ogni cittadino fosse divorato dal desiderio di difendere il proprio quartiere... per quanto piccolo, marginale o circondato da una cattiva fama. In fondo, anche di un altro minuscolo villaggio non si era detto: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?».

Provocatorio e divertito, Il Napoleone di Notting Hill non va comunque preso per un manifesto no global ante litteram né per un anacronistico elogio del campanilismo. Quello che Chesterton vuole dire, ben più semplicemente, è che non si possono avere a cuore le sorti del mondo se non si avverte il dovere di difendere quelle quattro mura che ci hanno visti crescere, proprio come non si può amare il Terzo Mondo se si snobba il vicino di casa. La battaglia che Adam Wayne ingaggia in nome di una strada qualsiasi è la battaglia di chi ha compreso che la sola felicità – e la sola universalità – consiste nel trovare qualcosa di ben preciso da amare, e quindi da difendere. Per trovare il Cielo bisogna abbarbicarsi a qualcosa di terreno, concreto e limitato: «Quando un bambino esce in giardino e si aggrappa a un albero dicendo: “Quest’albero è tutto ciò che possiedo”, in quel momento le sue radici affondano nell’inferno e i suoi rami si aggrappano alle stelle». Il minuscolo albero è divenuto grande come l’universo stesso. Il minuscolo albero è l’universo stesso: “il tutto nel frammento”, secondo la fortunata formula.

C’è un’ultima considerazione da fare a proposito del Napoleone di Notting Hill e riguarda il particolare senso dell’umorismo di re Auberon Quin. Auberon ritiene che l’umorismo sia la sola cosa sacra rimasta all’umanità, la sua ultima religione, poiché l’uomo moderno non possiede più altro piacere se non quello dell’insensatezza. Parole difficili da capire, ma che vengono illuminate da un articolo che Chesterton dedicò,tre anni prima, proprio al nonsense. Questo genere di umorismo – egli ritiene – è «destinato ad essere la letteratura del futuro», poiché verrà «in soccorso della concezione spirituale delle cose. Sono secoli che la religione cerca di far gioire gli uomini delle meraviglie del creato, ma s’è scordata che non c’è niente che possa davvero apparire meraviglioso finché continuerà ad essere sensato. […] il nonsense e la fede, per quanto strano possa apparire il connubio, sono le due supreme affermazioni simboliche di questa verità: non è possibile estrarre l’anima delle cose con un sillogismo» (Difesa del nonsense, 1901). Il nonsense fa esplodere le soffocanti categorie della logica. Scombussola le carte del visibile e del convenzionale. E’ la strada di chi non si accontenta della routine. L’umorismo metafisico è fatto per chi cerca un modo sempre nuovo di vedere le cose. Proprio come insegna a fare la fede. La letteratura dell’assurdo sarebbe nata solo dopo il dramma delle due Guerre mondiali, eppure, ancora a inizio secolo, Gilbert K. Chesterton era già andato molto più in là.

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