La città di Taranto si muove compatta per il "suo" cittadino turco accusato ingiustamente di terrorismo. Mani tese, sguardi inquieti e voci ansiose. Guardando gli amici di Alì Orgen manifestare, si comprende il dramma e la preoccupazione vissuta per quel ragazzo curdo arrestato il 18 agosto scorso a Taranto.
di Gino Martina e Fulvio di Giuseppe
PeaceReporter - Il Caso. L'accusa è di terrorismo e arriva dal tribunale di Diyarbakir. Alì Orgen nel 1995, a vent'anni, avrebbe fatto la "staffetta" e partecipato a manifestazioni del Pkk, il Partito Curdo dei Lavoratori armato e adesso deve scontare un residuo di pena di cinquecentonove giorni. "Un orrido giuridico" per l'avvocato Vincenzo Pulito che lo difende. Alì vive in Italia da oltre sette anni e nel 2005, in sua assenza, in Turchia hanno riaperto il processo che lo vide già condannato a sei anni di reclusione nel 1999 e per cui aveva già scontato oltre tre anni di carcere preventivo, senza uno stralcio di difesa o giudizio ma sistematicamente torturato. Prima ancora era stato condannato a morte, poi all'ergastolo e infine, grazie al suo presunto "pentimento", liberato. Adesso il tribunale turco vorrebbe applicare retroattivamente l'inasprimento della pena dovuto a una modifica del codice penale. Un aberrante uso del diritto contro ogni principio civile. La richiesta è che venga estradato con mandato di cattura datato 24 giugno e il Ministero della Giustizia italiano, a riguardo, ha espresso un nulla osta automatico il 24 agosto. Negli ultimi giorni le notizie che arrivano sul fronte giudiziario lasciano, però, ben sperare: il pubblico ministero Augusto Bruschi, titolare dell'indagine, dopo l'istanza presentata dagli avvocati della difesa Vincenzo Pulito e Arturo Salerni, ha dato il proprio parere favorevole e richiede la scarcerazione di Alì Orgen. Ora si attende che la sezione interessata di Taranto della Corte d'Appello di Lecce, decida sulla data in cui discuterà della richiesta della difesa, che dovrebbe portare alla scarcerazione immediata di Alì Orgen, attualmente detenuto nel carcere di Benevento
La questione curda e l'Italia. Alì Orgen paga la silenziosa complicità del governo italiano che continua a eseguire i dettami di un tavolo politico-commerciale con lo Stato turco. Affari, armi e arresti. Quelli dei curdi, appunto. A decine nell'ultimo anno. Tutti accompagnati da richieste di estradizione. Tutte respinte. I motivi sono noti: torture fisiche e psicologiche, condizioni disumane di detenzione, diniego del diritto di difesa per gli imputati. Specialmente curdi. La giustizia turca non rispetta né convenzioni internazionali né norme elementari riguardo la dignità delle persone. Una questione umanitaria e politica. Alì Orgen paga i trent'anni di conflitto con uno degli Stati che maggiormente sfrutta il territorio del Kurdistan e ha perpetrato persecuzioni, torture, processi sommari, angherie e ucciso con armi chimiche. Alì, al contrario, non ha mai sparato un colpo e paga l'aver aderito a vent'anni come staffettista al Pkk, il partito che dall'autodeterminazione è passato alla richiesta di un mero riconoscimento del popolo curdo, il partito del Presidente Ochalan "respinto" dal Governo D'Alema, il partito delle donne, del processo di pace mai accettato dai turchi.
La sua nuova vita. Alì paga perché è un "turco di montagna", perché è curdo. Il prezzo è la libertà vera cercata per lui e la sua gente e quella piccola vita normale ritagliatasi a fatica tra i due mari di Taranto, altrove, come 5 milioni di curdi rifugiatisi lontano da casa. Senza tetto, al suo arrivo nel 2003, Alì dormiva su una panchina del lungomare cittadino. Da quell'esperienza, nacque il suo desiderio ancora non concretizzato di poter creare un'associazione per accogliere e sostenere i migranti. Alì si è dato da fare nella sua nuova terra, che spesso gli ricorda Bismil, la città di origine. Bracciante in campagna, aiuto cuoco in un noto pub della città, traduttore per la Questura e come migliaia di tarantini, operaio di una ditta appaltatrice della grande acciaieria Ilva. Anni di sacrifici e sorrisi, il suo prima di tutto, una simpatia innata che gli ha permesso di conoscere tanta gente e amici che hanno costituito con movimenti, associazioni e partiti, il "Comitato di solidarietà ad Alì Orgen". Insieme hanno prodotto un documento capace di spiegare chi sia davvero Alì, dopo che la parola terrorista è apparsa accanto al suo nome su tutti i giornali locali. "Non è un terrorista", lo scrive anche il sindaco Ippazio Stefàno in una lettera indirizzata al Ministro della Giustizia Angelino Alfano, ma semplicemente il gestore del phone center, l'unico della città. Rilevato da due anni con i risparmi del lavoro, è divenuto un microcosmo di culture e genti: migranti per chiamare i loro cari lontani nei diversi paesi di origine e tarantini, a loro volta migranti, in cerca di lavoro all'estero.
La solidarietà. Il phone center non ha smesso di funzionare in questi giorni, grazie al lavoro volontario di amici e di Marcela, la sua compagna polacca conosciuta nella sua nuova vita. Da giorni si susseguono appelli, raccolte fondi, messaggi di solidarietà, gruppi su internet, un blog e manifestazioni a Taranto e a Benevento. Nella città campana, il comitato di solidarietà, il 4 settembre, ha "urlato" per la libertà di Alì Orgen sotto il padiglione dov' è detenuto nel carcere speciale per "prigionieri politici", tra presunti "terroristi islamici" e due uomini provenienti da Guantanamo, la prigione in terra cubana degli Stati Uniti.
In carcere lo hanno visitato un parlamentare, un amico e un esponente dell'osservatorio sulla repressione. L'impressione è che venga trattato bene dalla direzione e le guardie, che sembrano averne colto la sua indole.
Il destino del ragazzo è ora nelle mani della Corte d'Appello pugliese che leggerà le memorie difensive del collegio degli avvocati , tra cui Vincenzo Salerni e Mino Cavallo, depositate il 30 agosto. Per Alì Orgen è pronta anche una richiesta d'asilo politico. Verrà ripresa una pratica inevasa alla quale il ragazzo non aveva dato importanza, perché in possesso di permesso di soggiorno per lavoro e felice nel suo limbo di cittadino modello. Se avesse portato avanti la pratica, probabilmente oggi avrebbe una "certificazione" che avrebbe sedato ogni dubbio: Alì Orgen non è un terrorista e l'estradizione sarebbe un'ingiustizia.
di Gino Martina e Fulvio di Giuseppe
PeaceReporter - Il Caso. L'accusa è di terrorismo e arriva dal tribunale di Diyarbakir. Alì Orgen nel 1995, a vent'anni, avrebbe fatto la "staffetta" e partecipato a manifestazioni del Pkk, il Partito Curdo dei Lavoratori armato e adesso deve scontare un residuo di pena di cinquecentonove giorni. "Un orrido giuridico" per l'avvocato Vincenzo Pulito che lo difende. Alì vive in Italia da oltre sette anni e nel 2005, in sua assenza, in Turchia hanno riaperto il processo che lo vide già condannato a sei anni di reclusione nel 1999 e per cui aveva già scontato oltre tre anni di carcere preventivo, senza uno stralcio di difesa o giudizio ma sistematicamente torturato. Prima ancora era stato condannato a morte, poi all'ergastolo e infine, grazie al suo presunto "pentimento", liberato. Adesso il tribunale turco vorrebbe applicare retroattivamente l'inasprimento della pena dovuto a una modifica del codice penale. Un aberrante uso del diritto contro ogni principio civile. La richiesta è che venga estradato con mandato di cattura datato 24 giugno e il Ministero della Giustizia italiano, a riguardo, ha espresso un nulla osta automatico il 24 agosto. Negli ultimi giorni le notizie che arrivano sul fronte giudiziario lasciano, però, ben sperare: il pubblico ministero Augusto Bruschi, titolare dell'indagine, dopo l'istanza presentata dagli avvocati della difesa Vincenzo Pulito e Arturo Salerni, ha dato il proprio parere favorevole e richiede la scarcerazione di Alì Orgen. Ora si attende che la sezione interessata di Taranto della Corte d'Appello di Lecce, decida sulla data in cui discuterà della richiesta della difesa, che dovrebbe portare alla scarcerazione immediata di Alì Orgen, attualmente detenuto nel carcere di Benevento
La questione curda e l'Italia. Alì Orgen paga la silenziosa complicità del governo italiano che continua a eseguire i dettami di un tavolo politico-commerciale con lo Stato turco. Affari, armi e arresti. Quelli dei curdi, appunto. A decine nell'ultimo anno. Tutti accompagnati da richieste di estradizione. Tutte respinte. I motivi sono noti: torture fisiche e psicologiche, condizioni disumane di detenzione, diniego del diritto di difesa per gli imputati. Specialmente curdi. La giustizia turca non rispetta né convenzioni internazionali né norme elementari riguardo la dignità delle persone. Una questione umanitaria e politica. Alì Orgen paga i trent'anni di conflitto con uno degli Stati che maggiormente sfrutta il territorio del Kurdistan e ha perpetrato persecuzioni, torture, processi sommari, angherie e ucciso con armi chimiche. Alì, al contrario, non ha mai sparato un colpo e paga l'aver aderito a vent'anni come staffettista al Pkk, il partito che dall'autodeterminazione è passato alla richiesta di un mero riconoscimento del popolo curdo, il partito del Presidente Ochalan "respinto" dal Governo D'Alema, il partito delle donne, del processo di pace mai accettato dai turchi.
La sua nuova vita. Alì paga perché è un "turco di montagna", perché è curdo. Il prezzo è la libertà vera cercata per lui e la sua gente e quella piccola vita normale ritagliatasi a fatica tra i due mari di Taranto, altrove, come 5 milioni di curdi rifugiatisi lontano da casa. Senza tetto, al suo arrivo nel 2003, Alì dormiva su una panchina del lungomare cittadino. Da quell'esperienza, nacque il suo desiderio ancora non concretizzato di poter creare un'associazione per accogliere e sostenere i migranti. Alì si è dato da fare nella sua nuova terra, che spesso gli ricorda Bismil, la città di origine. Bracciante in campagna, aiuto cuoco in un noto pub della città, traduttore per la Questura e come migliaia di tarantini, operaio di una ditta appaltatrice della grande acciaieria Ilva. Anni di sacrifici e sorrisi, il suo prima di tutto, una simpatia innata che gli ha permesso di conoscere tanta gente e amici che hanno costituito con movimenti, associazioni e partiti, il "Comitato di solidarietà ad Alì Orgen". Insieme hanno prodotto un documento capace di spiegare chi sia davvero Alì, dopo che la parola terrorista è apparsa accanto al suo nome su tutti i giornali locali. "Non è un terrorista", lo scrive anche il sindaco Ippazio Stefàno in una lettera indirizzata al Ministro della Giustizia Angelino Alfano, ma semplicemente il gestore del phone center, l'unico della città. Rilevato da due anni con i risparmi del lavoro, è divenuto un microcosmo di culture e genti: migranti per chiamare i loro cari lontani nei diversi paesi di origine e tarantini, a loro volta migranti, in cerca di lavoro all'estero.
La solidarietà. Il phone center non ha smesso di funzionare in questi giorni, grazie al lavoro volontario di amici e di Marcela, la sua compagna polacca conosciuta nella sua nuova vita. Da giorni si susseguono appelli, raccolte fondi, messaggi di solidarietà, gruppi su internet, un blog e manifestazioni a Taranto e a Benevento. Nella città campana, il comitato di solidarietà, il 4 settembre, ha "urlato" per la libertà di Alì Orgen sotto il padiglione dov' è detenuto nel carcere speciale per "prigionieri politici", tra presunti "terroristi islamici" e due uomini provenienti da Guantanamo, la prigione in terra cubana degli Stati Uniti.
In carcere lo hanno visitato un parlamentare, un amico e un esponente dell'osservatorio sulla repressione. L'impressione è che venga trattato bene dalla direzione e le guardie, che sembrano averne colto la sua indole.
Il destino del ragazzo è ora nelle mani della Corte d'Appello pugliese che leggerà le memorie difensive del collegio degli avvocati , tra cui Vincenzo Salerni e Mino Cavallo, depositate il 30 agosto. Per Alì Orgen è pronta anche una richiesta d'asilo politico. Verrà ripresa una pratica inevasa alla quale il ragazzo non aveva dato importanza, perché in possesso di permesso di soggiorno per lavoro e felice nel suo limbo di cittadino modello. Se avesse portato avanti la pratica, probabilmente oggi avrebbe una "certificazione" che avrebbe sedato ogni dubbio: Alì Orgen non è un terrorista e l'estradizione sarebbe un'ingiustizia.
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