XXVI domenica del tempo ordinario. «Questa è la realtà incontrovertibile: Dio si è chinato sulla sofferenza degli uomini. Prima del ragionamento sociale o politico, prima dell'arrendersi o del rimboccarsi le maniche, prima di tutto, siamo chiamati ad avere anche noi compassione e a sentire dentro il dolore come Dio lo sente.
di Padre Piotr Anzulewicz, OFM Conv
Questo sì, tutti possiamo viverlo. Un cuore capace di vera compassione non di quella pietistica, ostentata e rassegnata cambierà il nostro fragile e incattivito mondo. (...) È finito il tempo delle elemosine una tantum, per far tacere la coscienza e il fastidio dell'insistenza di chi chiede. La nostra comunità, sempre più, deve lasciare che lo Spirito di Dio susciti in mezzo a noi nuove forme di solidarietà che rispondano alle nuove forme di povertà».
Anche in questa settimana lasciamoci plasmare il cuore dalla misericordia a cui ci invita Gesù, soprattutto verso chi è nel bisogno e nella sofferenza.
Ancora l'augurio di giorni quieti e colmi di «compassione».
Settembre è il «tempo di migrare», come lo definì Gabriele D’Annunzio (+1938), scrittore e poeta, simbolo del decadentismo ed eroe di guerra, soprannominato il Vate, “il profeta”, o meglio, il mese di riavvio dell’attività sociale, scolastica, catechistica, parrocchiale è ormai in dirittura d’arrivo. E la Parola di Dio ci accompagna ancora con una riflessione da brividi.
Domenica scorsa Gesù ci ha spronato ad operare una scelta di campo: ritrovare la forza della generosità e della gratuità e la «morale della frugalità» (J. A. Merino) e del distacco. «Non potete servire a Dio e a mammona» (Lc 16,13). Dio e la ricchezza «ingiusta» sono come due realtà incompatibili, esclusive ed alternative: da un lato la logica dell'amore, della donazione, della bontà-gratuità e della condivisione che è la religione autentica, umanizzante e divinizzante, e dall'altro lato, invece, la logica dell'avere e del potere, del profitto e del calcolo che è la schiavizzazione dell’uomo e la distruzione della fraternità.
Oggi, a degna conclusione, la Parola di Dio offre una parabola che ci scuote nel profondo: la tragica storia del povero Lazzaro e del ricco epulone, distratto e chino soltanto sui suoi piaceri e sulle sue abbuffate (Lc 16,19-31). Una storia che potrebbe ben descrivere la stridente contraddizione del nostro mondo che costringe alla morte per fame milioni di persone.
Dio conosce per nome il povero mendicante Lazzaro, mentre non ha nome il ricco epulone che peraltro non è descritto come una persona particolarmente malvagia, ma solo troppo assorbita dalle sue cose per riuscire ad accorgersi del povero che muore davanti a casa sua. Quel ricco non conosce Dio, non ha bisogno di lui, non si pone almeno all'apparenza alcun problema religioso, si tiene lontano dalla sua interiorità, è indifferente e bastante a se stesso. E Dio rispetta questa distanza. Il cuore della parabola non è però la vendetta di Dio che ribalta la situazione tra il ricco e il povero, come a noi farebbe comodo pensare, in una sorta di pena del contrappasso, ma un abisso, un abisso immenso, un burrone incolmabile, una voragine profondissima fra il ricco e Lazzaro. La vita del ricco, non condannato perché ricco, ma perché indifferente, è tutta sintetizzata in questa terribile immagine: è un abisso la sua vita. Probabilmente è buon praticante, come causticamente dice il profeta Amos, condannando i potenti del Regno del Sud indifferenti al crollo del Regno del Nord, avvenuto ad opera degli Assiri nel 722 a. C. (Am 6, 1-2). L'abisso insormontabile è nel suo cuore e nella sua supponenza, nelle sue false certezze e nelle sue piccole preoccupazioni. In altri tempi, quest'atteggiamento veniva chiamato “omissione”: atteggiamento che descrive un cuore che si accontenta di stagnare, senza valicare l'abisso e andare incontro al fratello. Abisso di chi pensa di essere sufficientemente buono, devoto e normale, rispetto al mondo esterno. Abisso di chi si ritiene migliore dei tanti delinquenti che si vedono in giro, ma in realtà si avvicina a loro con certi comportamenti. Abisso di chi, di fronte alle ingiustizie dei nostri giorni, tacita la propria coscienza e intorpidisce il cuore con qualche offerta caritativa e qualche buona devozione. E quell'abisso diventa invalicabile. Neppure Dio riesce a colmarlo.
Se la nostra fede non valica la nostra devozione personale e non diventa servizio, resta sterile. Come dicevamo domenica scorsa, il Signore loda la scaltrezza e l'arguzia di chi cerca soluzioni. Là dove viviamo, siamo chiamati ad amare nella concretezza. Se abbiamo già compiuto le nostre scelte, lavorative ed affettive, siamo spronati a vivere una cittadinanza consapevole che si fa carico del proprio vicino, come il Samaritano. In una parola, siamo chiamati a riconoscere la presenza di Lazzaro in mezzo a noi.
Prima dell'impegno però esiste un atteggiamento che tutti possiamo avere, anche se non possiamo fare nulla di diverso da quello che stiamo già facendo. «Stai serena, sorella che lavori e ti occupi di tuo marito e dei tuoi bambini: quella è la tua Guinea-Bissau. Stai sereno, fratello che studi economia: in quel mondo di squali sei chiamato a disegnare nuovi percorsi di umanizzazione».
Questa è la realtà incontrovertibile: Dio si è chinato sulla sofferenza degli uomini. Prima del ragionamento sociale o politico, prima dell'arrendersi o del rimboccarsi le maniche, prima di tutto, siamo chiamati ad avere anche noi compassione e a sentire dentro il dolore come Dio lo sente. Questo sì, tutti possiamo viverlo. Un cuore capace di vera compassione � non di quella pietistica, ostentata e rassegnata � cambierà il nostro fragile e incattivito mondo.
Il Vangelo di oggi, concludendo la riflessione di domenica scorsa, ci dice che l'anticonsumismo è la gratuità, la solidarietà, la condivisione. Una condivisione però intelligente. È finito il tempo delle elemosine una tantum, per far tacere la coscienza e il fastidio dell'insistenza di chi chiede. La nostra comunità, sempre più, deve lasciare che lo Spirito di Dio susciti in mezzo a noi nuove forme di solidarietà che rispondano alle nuove forme di povertà. L'ammonimento di Amos che condanna gli «spensierati di Sion» (Am 6,1), cioè i superficiali di tutti i tempi, ci aiuti a spalancare gli occhi e vedere i nuovi Lazzaro alla porta.
Infine ci giunge un forte invito alla conversione: epulone rimpiange il fatto di avere vissuto con superficialità i tanti richiami che gli venivano fatti, ed invoca un miracolo per ammonire i suoi fratelli. Purtroppo, non gli sarà dato alcun miracolo o segno ulteriore. Durante la sua vita spensierata, ricca ed egoista ha avuto sufficienti occasioni per capire.
I profeti, duemila anni fa e ai nostri tempi, dimorano abbondanti in mezzo a noi. Uno di loro è il Poverello d’Assisi. A noi di accoglierli!
Sia questa la nostra umile preghiera al Signore:
«O Dio, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone; riequilibra con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all'orgia degli spensierati, e fa' che aderiamo in tempo alla tua Parola, per credere che il tuo Cristo è risorto dai morti e ci accoglierà nel tuo regno». Amen.
di Padre Piotr Anzulewicz, OFM Conv
Questo sì, tutti possiamo viverlo. Un cuore capace di vera compassione non di quella pietistica, ostentata e rassegnata cambierà il nostro fragile e incattivito mondo. (...) È finito il tempo delle elemosine una tantum, per far tacere la coscienza e il fastidio dell'insistenza di chi chiede. La nostra comunità, sempre più, deve lasciare che lo Spirito di Dio susciti in mezzo a noi nuove forme di solidarietà che rispondano alle nuove forme di povertà».
Anche in questa settimana lasciamoci plasmare il cuore dalla misericordia a cui ci invita Gesù, soprattutto verso chi è nel bisogno e nella sofferenza.
Ancora l'augurio di giorni quieti e colmi di «compassione».
Settembre è il «tempo di migrare», come lo definì Gabriele D’Annunzio (+1938), scrittore e poeta, simbolo del decadentismo ed eroe di guerra, soprannominato il Vate, “il profeta”, o meglio, il mese di riavvio dell’attività sociale, scolastica, catechistica, parrocchiale è ormai in dirittura d’arrivo. E la Parola di Dio ci accompagna ancora con una riflessione da brividi.
Domenica scorsa Gesù ci ha spronato ad operare una scelta di campo: ritrovare la forza della generosità e della gratuità e la «morale della frugalità» (J. A. Merino) e del distacco. «Non potete servire a Dio e a mammona» (Lc 16,13). Dio e la ricchezza «ingiusta» sono come due realtà incompatibili, esclusive ed alternative: da un lato la logica dell'amore, della donazione, della bontà-gratuità e della condivisione che è la religione autentica, umanizzante e divinizzante, e dall'altro lato, invece, la logica dell'avere e del potere, del profitto e del calcolo che è la schiavizzazione dell’uomo e la distruzione della fraternità.
Oggi, a degna conclusione, la Parola di Dio offre una parabola che ci scuote nel profondo: la tragica storia del povero Lazzaro e del ricco epulone, distratto e chino soltanto sui suoi piaceri e sulle sue abbuffate (Lc 16,19-31). Una storia che potrebbe ben descrivere la stridente contraddizione del nostro mondo che costringe alla morte per fame milioni di persone.
Dio conosce per nome il povero mendicante Lazzaro, mentre non ha nome il ricco epulone che peraltro non è descritto come una persona particolarmente malvagia, ma solo troppo assorbita dalle sue cose per riuscire ad accorgersi del povero che muore davanti a casa sua. Quel ricco non conosce Dio, non ha bisogno di lui, non si pone almeno all'apparenza alcun problema religioso, si tiene lontano dalla sua interiorità, è indifferente e bastante a se stesso. E Dio rispetta questa distanza. Il cuore della parabola non è però la vendetta di Dio che ribalta la situazione tra il ricco e il povero, come a noi farebbe comodo pensare, in una sorta di pena del contrappasso, ma un abisso, un abisso immenso, un burrone incolmabile, una voragine profondissima fra il ricco e Lazzaro. La vita del ricco, non condannato perché ricco, ma perché indifferente, è tutta sintetizzata in questa terribile immagine: è un abisso la sua vita. Probabilmente è buon praticante, come causticamente dice il profeta Amos, condannando i potenti del Regno del Sud indifferenti al crollo del Regno del Nord, avvenuto ad opera degli Assiri nel 722 a. C. (Am 6, 1-2). L'abisso insormontabile è nel suo cuore e nella sua supponenza, nelle sue false certezze e nelle sue piccole preoccupazioni. In altri tempi, quest'atteggiamento veniva chiamato “omissione”: atteggiamento che descrive un cuore che si accontenta di stagnare, senza valicare l'abisso e andare incontro al fratello. Abisso di chi pensa di essere sufficientemente buono, devoto e normale, rispetto al mondo esterno. Abisso di chi si ritiene migliore dei tanti delinquenti che si vedono in giro, ma in realtà si avvicina a loro con certi comportamenti. Abisso di chi, di fronte alle ingiustizie dei nostri giorni, tacita la propria coscienza e intorpidisce il cuore con qualche offerta caritativa e qualche buona devozione. E quell'abisso diventa invalicabile. Neppure Dio riesce a colmarlo.
Se la nostra fede non valica la nostra devozione personale e non diventa servizio, resta sterile. Come dicevamo domenica scorsa, il Signore loda la scaltrezza e l'arguzia di chi cerca soluzioni. Là dove viviamo, siamo chiamati ad amare nella concretezza. Se abbiamo già compiuto le nostre scelte, lavorative ed affettive, siamo spronati a vivere una cittadinanza consapevole che si fa carico del proprio vicino, come il Samaritano. In una parola, siamo chiamati a riconoscere la presenza di Lazzaro in mezzo a noi.
Prima dell'impegno però esiste un atteggiamento che tutti possiamo avere, anche se non possiamo fare nulla di diverso da quello che stiamo già facendo. «Stai serena, sorella che lavori e ti occupi di tuo marito e dei tuoi bambini: quella è la tua Guinea-Bissau. Stai sereno, fratello che studi economia: in quel mondo di squali sei chiamato a disegnare nuovi percorsi di umanizzazione».
Questa è la realtà incontrovertibile: Dio si è chinato sulla sofferenza degli uomini. Prima del ragionamento sociale o politico, prima dell'arrendersi o del rimboccarsi le maniche, prima di tutto, siamo chiamati ad avere anche noi compassione e a sentire dentro il dolore come Dio lo sente. Questo sì, tutti possiamo viverlo. Un cuore capace di vera compassione � non di quella pietistica, ostentata e rassegnata � cambierà il nostro fragile e incattivito mondo.
Il Vangelo di oggi, concludendo la riflessione di domenica scorsa, ci dice che l'anticonsumismo è la gratuità, la solidarietà, la condivisione. Una condivisione però intelligente. È finito il tempo delle elemosine una tantum, per far tacere la coscienza e il fastidio dell'insistenza di chi chiede. La nostra comunità, sempre più, deve lasciare che lo Spirito di Dio susciti in mezzo a noi nuove forme di solidarietà che rispondano alle nuove forme di povertà. L'ammonimento di Amos che condanna gli «spensierati di Sion» (Am 6,1), cioè i superficiali di tutti i tempi, ci aiuti a spalancare gli occhi e vedere i nuovi Lazzaro alla porta.
Infine ci giunge un forte invito alla conversione: epulone rimpiange il fatto di avere vissuto con superficialità i tanti richiami che gli venivano fatti, ed invoca un miracolo per ammonire i suoi fratelli. Purtroppo, non gli sarà dato alcun miracolo o segno ulteriore. Durante la sua vita spensierata, ricca ed egoista ha avuto sufficienti occasioni per capire.
I profeti, duemila anni fa e ai nostri tempi, dimorano abbondanti in mezzo a noi. Uno di loro è il Poverello d’Assisi. A noi di accoglierli!
Sia questa la nostra umile preghiera al Signore:
«O Dio, tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone; riequilibra con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all'orgia degli spensierati, e fa' che aderiamo in tempo alla tua Parola, per credere che il tuo Cristo è risorto dai morti e ci accoglierà nel tuo regno». Amen.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.