Il nostro Fabio Vitucci intervista oggi don Marcello Cozzi, prete lucano famoso per le sue lotte contro le Mafie e responsabile regionale di Libera, una delle maggiori associazioni italiane antimafia. Autore di diversi libri, tra cui “Quando la mafia non esiste - Malaffare e affari della mala in Basilicata”, don Marcello è impegnato da anni nelle piazze e tra la gente, soprattutto tra i più giovani, per denunciare le organizzazioni malavitose e creare una nuova cultura, perché, come dice spesso, “la lotta alla mafia non è più militare, ma sociale e culturale”.
D - Buongiorno don Marcello, e grazie per averci concesso quest’intervista. Innanzitutto, come è nata in lei questa spinta e questo impegno nella lotta alle Mafie? C’è stata qualche figura che l’ha ispirata o qualche modello al quale si è rifatto? Quale il ruolo della fede in questo suo percorso?
R – E’ tutto iniziato da un incontro, o meglio da più incontri. Dal colloquio con un ragazzo tossico, dall’ascolto di una storia di usura, dall’incontro con un commerciante che pagava il pizzo; si è trattato di scendere nelle profondità delle loro confidenze, di capire cosa c’era dietro, di rendersi conto, cioè, che spesso c’è gente che specula sul dolore degli altri facendolo diventare funzionale ai propri interessi. Spesso tutto questo si chiama malaffare o peggio ancora criminalità. Quando poi accade, come in queste tre storie, che quell’affare è affare di mafia, allora ti rendi conto che accogliere il dolore di chi è sfruttato significa inevitabilmente combattere e denunciare i mafiosi che lo sfruttano.
D - Lei parla spesso di deriva della legalità in Italia, alla quale ci stiamo tutti assuefacendo. Qual è il modo concreto di combatterla e di denunciare la mancanza di democrazia che si sperimenta in varie situazioni?
R – Non adeguandoci ad una cultura che sempre più vuol far passare come lecito tutto ciò che invece fino a poco tempo fa veniva considerato illegale. Ci sono reati in Italia che anni fa non potevano essere perseguiti perché non prescritti dal codice penale, oggi invece non possono essere perseguiti perché sistematicamente cancellati come reati da provvedimenti legislativi fatti ad hoc. Si tratta di alimentare invece la cultura della partecipazione democratica, della responsabilità e della consapevolezza. Il non esserci, il rinchiuderci rassegnati ognuno nel proprio mondo, non fa altro che aumentare la logica della delega, e oggi questo non è più possibile: dobbiamo sentirci tutti responsabili del percorso che facciamo senza fare sconti a nessuno. Quando si tratta della difesa della legalità e della promozione della giustizia non si può guardare in faccia a nessuno, neanche se sono tuoi compagni di strada.
D - Come possono i giovani essere “sentinelle di legalità” e vigilare contro le Mafie, contro i poteri forti, contro i poteri segreti? Non è un compito troppo difficile per loro?
R – E’ sufficiente essere quel che sono dentro, cioè persone libere. Hanno un potenziale da questo punto di vista che il mondo degli adulti spesso ha perso per strada; hanno una specie di purezza originaria che permette loro quella radicalità e quella passione che sono lo spauracchio di tutti i poteri criminali.
D - Ci racconta le prossime iniziative di Libera a favore della lotta antimafia e soprattutto riguardo alla formazione giovanile?
R – A Potenza e in Basilicata si svolgerà il 21 marzo del prossimo anno la XVI Edizione della giornata nazionale della memoria e dell’impegno. Un’iniziativa che porterà in Basilicata gente da tutta Italia, il meglio della lotta alle mafie e ai poteri forti, per dire che se in Basilicata c’è qualcosa che non va, c’è però anche un positivo che è molto più esteso e che bisogna far venir fuori. Ovviamente da oggi in poi ci saranno in questi mesi tanti incontri di preparazione sul territorio nei quali sarà coinvolto anche il nostro mondo giovanile.
D - Don Peppe Diana (ucciso dalla camorra) e Don Pino Puglisi (ucciso dalla mafia) con il loro sacrificio hanno strappato dalle braccia della criminalità molti giovani, e per questo hanno pagato con la vita. Cosa resta oggi del loro esempio?
R – Resta la loro normalità e il fatto che sono due esempi concreti di come la quotidianità può sconfiggere le mafie. Se la normalità la si vive come hanno fatto loro senza mai abbassare la testa e stando sempre dalla parte degli ultimi e degli sfruttati allora quella normalità diventa straordinarietà e santità. Ma è sempre normalità.
D - In Basilicata 200 condannati per mafia su una popolazione di 580mila abitanti, e casi sconcertanti come quello di Elisa Claps o dei fidanzatini di Policoro: quali sono le cause maggiori? La mancanza di una cultura di legalità? La paura verso il potere criminale? L’assenza dello Stato?
R – E’ difficile rispondere con poche parole, si potrebbe però solo accennare ad una sorta di sottovalutazione di certi fenomeni che da sempre caratterizza la nostra regione; una specie di distrazione di massa che non sempre ha aiutato e aiuta le persone a capire che cosa accade intorno. Per carità, in questa regione non c’è assolutamente quell’allarme sociale che invece si respira in Calabria o in Campania, ma mi chiedo, per quale motivo dovremmo pensare che questa terra sia immune da quei problemi che purtroppo affliggono le regioni a noi confinanti? Ripeto, fortunatamente qui non c’è quella situazione difficile che si respira in quei territori, ma perché far finta che qualche problema, e anche serio, non esiste anche nella nostra regione?
D – Quali sono i risultati più importanti che ha ottenuto nella sua lotta alla criminalità, in particolar modo in Basilicata? Ci può raccontare qualche caso “virtuoso”?
R – Anche qui non basterebbero poche parole, ma ogni persona che strappiamo all’abbraccio mortale degli strozzini, quei ragazzi che talvolta riusciamo a togliere alla seduzione delle sostanze stupefacenti, quelle donne che aiutiamo a fuggire dal mercato del sesso, ed infine i familiari di quanti hanno subito ingiustizie e a distanza di tanti anni ancora non hanno avuto giustizia, è tutta gente che strappiamo agli affari criminali ed è gente che restituiamo alla speranza. E questa è già una vittoria.
D - Quando ha ricevuto delle minacce, come per esempio nel caso dei due proiettili in Prefettura indirizzati a lei, come ha reagito? Paura, incredulità, rassegnazione?
R – Incoraggiamento ad andare avanti. Quando fanno così vuol dire che sei sulla strada giusta, che hanno paura di te, che sono deboli. Altro che rassegnazione, sono loro che devono rassegnarsi: finché portano avanti i loro affari sporchi noi saremo lì a contrastarli. Senza mai un passo indietro.
D - Lei dice sempre che quando ci sono iniziative pubbliche contro la mafia, quando si fanno nomi e cognomi, quando la gente scende in piazza per manifestare, il potere criminale ha paura. Questo può aiutare a sconfiggere le organizzazioni malavitose?
R – In mente porto sempre con me una frase di Roberto Saviano, l’autore di Gomorra: "Quando varchi la linea del silenzio e incidi sulla coscienza di molti, è allora che fai paura al potere criminale”. Ne sono convinto; loro hanno paura di noi, e tanta paura. Ma questo, è ovvio, non basta, e allora bisogna tutti insieme rimboccarci le maniche, unire i nostri percorsi e trasformare le parole della denuncia nella carne dell’impegno; se ci riusciamo abbiamo fatto già un gran passo avanti.
Grazie per la sua disponibilità, don Marcello, e soprattutto per la sua continua testimonianza, fonte di speranza per molti e segno di una Chiesa che è vicina alla gente e lotta per la libertà e la legalità.
D - Lei parla spesso di deriva della legalità in Italia, alla quale ci stiamo tutti assuefacendo. Qual è il modo concreto di combatterla e di denunciare la mancanza di democrazia che si sperimenta in varie situazioni?
R – Non adeguandoci ad una cultura che sempre più vuol far passare come lecito tutto ciò che invece fino a poco tempo fa veniva considerato illegale. Ci sono reati in Italia che anni fa non potevano essere perseguiti perché non prescritti dal codice penale, oggi invece non possono essere perseguiti perché sistematicamente cancellati come reati da provvedimenti legislativi fatti ad hoc. Si tratta di alimentare invece la cultura della partecipazione democratica, della responsabilità e della consapevolezza. Il non esserci, il rinchiuderci rassegnati ognuno nel proprio mondo, non fa altro che aumentare la logica della delega, e oggi questo non è più possibile: dobbiamo sentirci tutti responsabili del percorso che facciamo senza fare sconti a nessuno. Quando si tratta della difesa della legalità e della promozione della giustizia non si può guardare in faccia a nessuno, neanche se sono tuoi compagni di strada.
D - Come possono i giovani essere “sentinelle di legalità” e vigilare contro le Mafie, contro i poteri forti, contro i poteri segreti? Non è un compito troppo difficile per loro?
R – E’ sufficiente essere quel che sono dentro, cioè persone libere. Hanno un potenziale da questo punto di vista che il mondo degli adulti spesso ha perso per strada; hanno una specie di purezza originaria che permette loro quella radicalità e quella passione che sono lo spauracchio di tutti i poteri criminali.
D - Ci racconta le prossime iniziative di Libera a favore della lotta antimafia e soprattutto riguardo alla formazione giovanile?
R – A Potenza e in Basilicata si svolgerà il 21 marzo del prossimo anno la XVI Edizione della giornata nazionale della memoria e dell’impegno. Un’iniziativa che porterà in Basilicata gente da tutta Italia, il meglio della lotta alle mafie e ai poteri forti, per dire che se in Basilicata c’è qualcosa che non va, c’è però anche un positivo che è molto più esteso e che bisogna far venir fuori. Ovviamente da oggi in poi ci saranno in questi mesi tanti incontri di preparazione sul territorio nei quali sarà coinvolto anche il nostro mondo giovanile.
D - Don Peppe Diana (ucciso dalla camorra) e Don Pino Puglisi (ucciso dalla mafia) con il loro sacrificio hanno strappato dalle braccia della criminalità molti giovani, e per questo hanno pagato con la vita. Cosa resta oggi del loro esempio?
R – Resta la loro normalità e il fatto che sono due esempi concreti di come la quotidianità può sconfiggere le mafie. Se la normalità la si vive come hanno fatto loro senza mai abbassare la testa e stando sempre dalla parte degli ultimi e degli sfruttati allora quella normalità diventa straordinarietà e santità. Ma è sempre normalità.
D - In Basilicata 200 condannati per mafia su una popolazione di 580mila abitanti, e casi sconcertanti come quello di Elisa Claps o dei fidanzatini di Policoro: quali sono le cause maggiori? La mancanza di una cultura di legalità? La paura verso il potere criminale? L’assenza dello Stato?
R – E’ difficile rispondere con poche parole, si potrebbe però solo accennare ad una sorta di sottovalutazione di certi fenomeni che da sempre caratterizza la nostra regione; una specie di distrazione di massa che non sempre ha aiutato e aiuta le persone a capire che cosa accade intorno. Per carità, in questa regione non c’è assolutamente quell’allarme sociale che invece si respira in Calabria o in Campania, ma mi chiedo, per quale motivo dovremmo pensare che questa terra sia immune da quei problemi che purtroppo affliggono le regioni a noi confinanti? Ripeto, fortunatamente qui non c’è quella situazione difficile che si respira in quei territori, ma perché far finta che qualche problema, e anche serio, non esiste anche nella nostra regione?
D – Quali sono i risultati più importanti che ha ottenuto nella sua lotta alla criminalità, in particolar modo in Basilicata? Ci può raccontare qualche caso “virtuoso”?
R – Anche qui non basterebbero poche parole, ma ogni persona che strappiamo all’abbraccio mortale degli strozzini, quei ragazzi che talvolta riusciamo a togliere alla seduzione delle sostanze stupefacenti, quelle donne che aiutiamo a fuggire dal mercato del sesso, ed infine i familiari di quanti hanno subito ingiustizie e a distanza di tanti anni ancora non hanno avuto giustizia, è tutta gente che strappiamo agli affari criminali ed è gente che restituiamo alla speranza. E questa è già una vittoria.
D - Quando ha ricevuto delle minacce, come per esempio nel caso dei due proiettili in Prefettura indirizzati a lei, come ha reagito? Paura, incredulità, rassegnazione?
R – Incoraggiamento ad andare avanti. Quando fanno così vuol dire che sei sulla strada giusta, che hanno paura di te, che sono deboli. Altro che rassegnazione, sono loro che devono rassegnarsi: finché portano avanti i loro affari sporchi noi saremo lì a contrastarli. Senza mai un passo indietro.
D - Lei dice sempre che quando ci sono iniziative pubbliche contro la mafia, quando si fanno nomi e cognomi, quando la gente scende in piazza per manifestare, il potere criminale ha paura. Questo può aiutare a sconfiggere le organizzazioni malavitose?
R – In mente porto sempre con me una frase di Roberto Saviano, l’autore di Gomorra: "Quando varchi la linea del silenzio e incidi sulla coscienza di molti, è allora che fai paura al potere criminale”. Ne sono convinto; loro hanno paura di noi, e tanta paura. Ma questo, è ovvio, non basta, e allora bisogna tutti insieme rimboccarci le maniche, unire i nostri percorsi e trasformare le parole della denuncia nella carne dell’impegno; se ci riusciamo abbiamo fatto già un gran passo avanti.
Grazie per la sua disponibilità, don Marcello, e soprattutto per la sua continua testimonianza, fonte di speranza per molti e segno di una Chiesa che è vicina alla gente e lotta per la libertà e la legalità.
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