martedì, ottobre 05, 2010
Il nostro Stefano Buso ci parla del libro scritto da Michele d’Arcangelo sulla rivolta napoletana

Succede che un’opera letteraria trasporti il lettore a ritroso nel tempo. Ed è proprio questa la sensazione che si assapora esplorando il volume “Masaniello - storia di una rivoluzione tradita” edito dalla Tullio Pironti di Napoli. Così, quasi per sortilegio, ecco materializzarsi la Napoli d'inizio '600, un'urbe che per concentrazione demografica era una delle più imponenti dell'epoca. Napoli era baluardo significativo dell'impero spagnolo, sul quale verosimilmente “non calava mai il sole”. La città, nella prima metà del 1600, serbava contraddizioni e modi di vivere che in nessun altro luogo avrebbero avuto “successo”. In quest'agglomerato metropolitano convivevano numerose classi sociali: dalla più misera sino alla potente nobiltà. I patrizi, a loro volta, erano frazionati in due schieramenti, dove lo spartiacque era dettato da chi vantava nobili natali, e altresì da quanti si abbellivano del titolo per servizi resi alla corona.
In città brulicavano conventi, monasteri, chiese, ordini religiosi, prelati e monaci. Tuttavia, serpeggiavano fare lascivo, dubbia moralità, lussuria e peccato. Tutto ciò andava di pari passo con l'apparente pia devozione. In questo turbinio di malcostumi e ingiustizie, prese le mosse la rivoluzione del 1647. Un lampo che durò circa dieci giorni. Ogni sommossa spinta da ideologie (o dalla fame) ha sempre un capopopolo: Tommaso Anniello d'Amalfi, conosciuto ai più come Masaniello, fu un eccezionale aizzatore che diventò ben presto leggenda. Il suo “esercito” consisteva in un manipolo di minus habentes tra cui lazzari, scugnizzi, cospiratori, ambulanti, trippai, parenti, amici, cecati, nemici, gente di strada e compagni di ventura.
La sommossa del ‘47 a Napoli esplose per disperazione, poiché il popolo non riusciva a metter in tavola nemmeno una minestra maritata o un tozzo di pane. In quella sciagurata occasione la gente di strada dimostrò d'esser fiera e soprattutto coesa, di non temere alabarde e spade. Tenendo irto il capo gridò a squarciagola la parola libertà, trovando così coraggio e dignità.
Un libro eloquente, foriero di dettagli storici salienti che stuzzicano il lettore. Al tempo del Viceré, Masaniello e la gente qualunque sfidarono la tirannia. La sorte remò loro contro, ma ancor oggi celebriamo questo evento. Volume che nelle sue trame offre un volto nuovo della città vesuviana, tratteggiando una sottile smorfia di fierezza e onore, perché alla fine la sovranità è sempre del popolo.


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