domenica, ottobre 31, 2010
Spatuzza e lo 007 infedele, Mori e Ciancimino indagati. Speriamo abbia davvero ragione Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato ucciso in via D’Amelio, quando dice “Forse siamo a un passo dalla verità. Da anni sostengo che mio fratello è stato ucciso perché si è messo di traverso alla trattativa tra la mafia e lo Stato”.

Liberainformazione - Quanto va emergendo ultimamente va proprio nella direzione di mettere a nudo quella che ormai a tutti, forse anche ai più scettici, sembra proprio essere l’inconfessabile verità: la strage in cui morirono Borsellino e i cinque agenti della sua scorta non fu solo un eccidio voluto dalla mafia, ma ci furono importanti apporti dall’esterno, da settori deviati dello Stato e da esponenti politici che, a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica, non esitarono a farsi complici di efferati delitti pur di arrivare al potere.

La prima notizia riguarda il parziale riconoscimento che Gaspare Spatuzza, l’ex killer di Brancaccio ora passato a collaborare con la giustizia, avrebbe fatto di quel “soggetto estraneo a Cosa Nostra” che sarebbe stato presente nel garage, dove venne confezionata l’autobomba per la strage di via D’Amelio. Nel corso di un confronto all’americana, di quelli che i film americani ci hanno reso familiari, al riparo di un vetro, tra le tante persone, Spatuzza ne avrebbe indicata una, seppure con qualche margine di incertezza, dovuto soprattutto al trascorrere del tempo dai fatti in questione. L’uomo identificato sarebbe Lorenzo Narracci, all’epoca in forza al SISDE e oggi in carico all’AISI, la nuova struttura riformata che si occupa dell’intelligence interna. Narracci è già stato iscritto nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Caltanissetta, proprio per appurarne ruolo e responsabilità in quella estate di fuoco che, nel 1992, cambiò le sorti del nostro Paese. Dopo averlo riconosciuto in fotografia, ora Spatuzza avrebbe indicato Narracci di presenza, ma occorre andare con i piedi di piombo, per non alzare polveroni inutili, soprattutto in questa fase.

Come è ovvio immaginare sul probabile riconoscimento le versioni offerte sono le più diverse e rimbalzano dalle agenzie ai quotidiani, per finire sulla rete e i social network proprio in queste ultime ore, in attesa di conferme o smentite che forse non arriveranno ancora per molto, vista la delicatezza degli accertamenti in corso e la necessità di non recare danni al segreto istruttorio. Proprio ad alcune agenzie, in tarda serata, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, ha voluto dire che le notizie circolate sul riconoscimento “non sono esatte”. Quel che è certo che le indagini proseguono nella direzione di individuare i soggetti esterni alla mafia che ebbero un ruolo determinante in quel terribile frangente.

Negli ultimi giorni poi Narracci – e questa è un’altra di quelle notizie da prendere con le dovute cautele – avrebbe sostenuto anche un confronto con Massimo Ciancimino: secondo il figlio dell’ex sindaco di Palermo, il funzionario dei servizi avrebbe fatto visita al padre, ma Narracci avrebbe negato la circostanza, che avrebbe provato le relazioni di consuetudine tra il potente democristiano e i servizi segreti.

Il fronte delle inchieste resta quindi aperto e caldo e, sempre in questi ultimi giorni, si è avuta conferma dell’avvenuta iscrizione di due nomi eccellenti nel registro degli indagati delle procure siciliane, dopo i tanti rumors estivi che ne avevano a più riprese rilanciato la notizia.
Il primo nome è proprio quello di Massimo Ciancimino, ufficialmente indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Un atto dovuto, secondo la Procura di Palermo, e a tutela dello stesso Ciancimino, la cui causa va rinvenuta nel prezioso contributo offerto nel corso degli ultimi due anni ai magistrati nisseni e palermitani. Nei fatti, Ciancimino avrebbe disvelato, oltre ai tanti segreti del padre, il proprio ruolo di intermediario attivo nella presunta trattativa tra Stato e mafia: sarebbe stato cioè un postino solerte dei pizzini paterni e un accompagnatore attento che ne seguiva da vicino le mosse e che, negli ultimi anni, aveva avuto modo di incontrare non solo mafiosi come “l’ingegner Lo Verde”, alias Bernardo Provenzano, ma anche uomini dello Stato, come “il signor Franco” o “Carlo” che dir si voglia.
E il secondo nome eccellente che compare nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Palermo è quello dell’ex prefetto, ex generale dei carabinieri, Mario Mori, all’epoca dei fatti per i quali è sotto inchiesta, vicecomandante del ROS, il reparto operativo dell’Arma specializzato per il contrasto alle cosche.

L’ipotesi di reato è anche in questo caso concorso esterno in associazione mafiosa e le contestazioni riguardano il ruolo cruciale che l’alto ufficiale avrebbe svolto nel corso della ormai nota trattativa tra Stato e mafia. Nel fascicolo dei magistrati palermitani Di Matteo e Guido, Mori compare insieme ad altri: ci sono gli ufficiali dei carabinieri Giuseppe De Donno e Antonello Angeli, indagato per il mancato sequestro del “papello” nella villa di Massimo Ciancimino; i boss Salvatore Riina e Bernardo Provenzano; il famigerato “signor Franco” longa manus dei servizi al fianco dell’ex sindaco di Palermo e, per l’appunto, il figlio di Vito Ciancimino.
Per tramite dei suoi legali, in attesa di avere comunicazione ufficiale della nuova ipotesi di reato, Mori ha espresso la propria fiducia nella giustizia e si è detto “sereno” ma anche “consapevole di avere solo e soltanto combattuto la criminalità organizzata, ottenendo sempre lusinghieri risultati e mai venendo a patti con l’organizzazione mafiosa”.

Ricordiamo che in queste settimane Mori si sta anche difendendo nel processo che lo vede sotto accusa per favoreggiamento nei riguardi di Bernardo Provenzano, la cui cattura avrebbe contribuito a vanificare.
Ancora una volta le parole di Salvatore Borsellino tradiscono la drammaticità del frangente attuale: “Ho grande paura che possa succedere qualcosa. Il pericolo può arrivare da quelle stesse persone che hanno messo le bombe in via D'Amelio, e non mi riferisco ai mafiosi”
Forse siamo allo show down finale, o forse solo all’ennesima curva del tortuoso percorso che conduce all’accertamento della verità.

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