La nostra redattrice Monica Cardarelli ci parla dell'opera messa in scena da La Filarmonica Clown e Marco Finco
“E cammino cammino per le strade, e cammino cammino…” così inizia a cantare sul palcoscenico un personaggio di nome Giovanni che in seguito sarà chiamato Francesco. Quattro attori sul palco, la scena spoglia. Con costumi dei nostri giorni, giacca e pantalone scuro, a poco a poco iniziano a ricreare e a vivere la magia del teatro. Tempo e spazio si annullano e si moltiplicano contemporaneamente. In un crescendo sempre più incisivo di piccole emozioni, tensioni e scherzi, momenti intensi e risate, dubbi e incertezze, il pubblico assiste, coinvolto e mai distante, al progressivo cammino di Francesco. Lo vediamo quando gioca, quando canta con gli amici, perché a Francesco piaceva cantare. Oppure quando decide di andare in guerra perché si sentiva un cavaliere, e quando ritorna dopo un lungo periodo di prigionia riaccompagnato dal padre… ma allora neppure gli amici lo riconoscono: è successo qualcosa al Francesco di sempre, non è più lui. Non scherza più, non si diverte più con le donne, non parla ma se ne sta in disparte pensoso. Già, non è più lo stesso. Solo allora Giovanni diventa Francesco e a poco a poco prende consapevolezza della sua scelta e va, coinvolgendo anche gli amici delle scorribande.
Nello spettacolo teatrale “Un uomo di nome Francesco – una commedia religiosa” messo in scena dalla Filarmonica Clown (Valerio Bongiorno, Piero Lenardon, Carlo Rossi) e da Marco Finco - per la regia di Letizia Quintavalla - gli attori hanno cercato di conoscere l’aspetto umano e, comprendendolo, sono riusciti a tratteggiare con leggere pennellate di colori la sua santità.
Leggero e ironico ma allo stesso tempo profondo e delicato, il lavoro scorre piacevolmente mantenendo sempre il sorriso sui volti di chi assiste. In fondo non è un caso che Francesco sia stato chiamato più volte il ‘Giullare di Dio’.
“Francesco cantava il Vangelo e predicava con parole dolcissime in un volgare semplice e spontaneo, si aiutava coi gesti, la mimica, il canto e la musica: era come assistere ad uno spettacolo, ad una commedia religiosa. E’ possibile una commedia religiosa? Come conciliare comico e sacro, saggezza e follia, fede e dubbio? Forse con un teatro candido che cerca altezze metafisiche come quelle a cui è arrivato Francesco. Fare i poeti o i mercanti, i ricchi o i mendicanti? Cosa c’è da fare in questo mondo? Cercare la felicità, la verità, cercare Dio, farsi trovare da Lui? Il Vangelo capovolge le regole del gioco: ‘Perdere tutto, guadagnare tutto. Giocarsi tutto fino a restare nudi e scalzi.’ La gioia di non essere mai a casa propria, ma sempre fuori, sfinito, affamato, ovunque nell’esterno del mondo” spiegano Gianpiero Pizzol, autore del testo, e Letizia Quintavalla, che come detto ha curato la regia.
Gli episodi della vita di Francesco rappresentati sul palcoscenico sono interpretati dagli attori con grande maestria e professionalità rispettando lo stile proprio della Filarmonica Clown. Uno stile comico, ironico ma mai sopra le righe; uno stile teatrale che utilizza gli oggetti e lo spazio con disinvoltura per ricreare scene e personaggi della vita di Francesco. Mantenendo sempre un legame costante col pubblico – proprio del clown teatrale – viene progressivamente annullata la distanza tra attori e spettatori rendendoli così partecipi del cammino di Francesco a cui assistono.
“Insieme ci siamo trovati a raccontare la storia di un uomo senza misura cercando, nella misura e nei codici del fare teatro, di dire qualcosa insieme sulla vita di Francesco in modo che ci potessero ascoltare. Mi piace pensare sia possibile che anche solo un fiato parli di Francesco, della sua testimonianza e della sua follia incommensurabile” racconta Piero Lenardon.
Uno spettacolo come “Un uomo di nome Francesco” non poteva che terminare con una scena di vita. Infatti, pur essendo una biografia del Santo, lo spettacolo non termina con la sua morte ma con la scena dell’invenzione da parte di Francesco del presepe a Greccio. Il momento rievocativo per eccellenza, per i cristiani, della nascita di Gesù, fatto uomo, nato povero, che con la sua nascita conferisce dignità all’umanità e alla carnalità di ciascuno di noi. Estremamente interessante e coinvolgente il crescendo di ritmo, suoni ed energia in cui si svolge questa scena. È questo il momento, infatti, in cui il presente si mescola al passato. Improvvisamente lo spettatore si trova ad assistere ad una scena comica e delicata: i compagni di Francesco, i Fratres, per costruire il presepe ‘utilizzano’ - sempre grazie all’uso preciso dello spazio e grazie alla magia del teatro - arnesi e strumenti di oggi come il trapano o un cavo elettrico, le luci da mettere intorno al presepe e tanti altri piccoli particolari interpretati con movimenti precisi e puliti che rendono attuale, oltre che divertente, la commedia a cui si assiste e tutta la vita di Francesco. Per finire, nel presepe che si sta componendo Gesù Bambino sarà rappresentato da un bimbo che l’attore che interpreta Francesco chiama tra il pubblico.
Francesco non è un Santo d’altri tempi, è estremamente attuale. Questo il messaggio che con leggerezza ed ironia arriva a chi assiste allo spettacolo. “E allora si può ancora scherzare? E se sì, su cosa? Ci siamo imbattuti, caro Francesco, in qualcosa di incommensurabilmente grande ed è successo grazie a te. E qualcosa, anzi qualcuno, che non possiamo restringere nei nostri ragionamenti e contenere nelle nostre pretese, anche se noi ci proviamo in continuazione. È questo che è veramente comico. E allora si può scherzare” spiega Carlo Rossi.
Infatti, pur essendo Francesco il Santo delle Stimmate, delle malattie che ha patito e della sofferenza, della preghiera e della solitudine, resta pur sempre San Francesco del Cantico delle Creature, Francesco che parlava al lupo e agli uccelli, il Francesco che amava cantare e camminare per le strade, libero di andare “E cammino cammino per le strade, e cammino cammino…”
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