La nostra Monica Cardarelli ci parla del libro edito dalle Edizioni Paoline
“Nessuno escluso mai!” è il libro di Renzo Agasso edito dalle Edizioni Paoline sulla vita di don Italo Calabrò, sacerdote di Reggio Calabria morto nel 1990 a soli 64 anni per un tumore. A prima vista potrebbe sembrare un sacerdote come tanti altri, ma leggendo le pagine che Renzo Agasso gli ha dedicato si scopre una figura non solo straordinaria quanto di grande testimonianza cristiana del suo mandato sacerdotale fra la sua gente, nella Chiesa a cui è sempre rimasto fedele e il cui vincolo di obbedienza era per lui e per i laici di fondamentale importanza. Una straordinarietà dunque che ha dell’ordinario, una testimonianza di vita vissuta nel quotidiano che dovrebbe essere la quotidianità di tutti i cristiani. Precedono il libro alcune pagine del fratello, Corrado Calabrò (presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), che riporta così alcuni degli aspetti principali della personalità di don Italo, a dieci anni dalla sua morte.
Uno degli aspetti della vita di don Italo Calabrò che forse colpisce maggiormente è come sia riuscito a conciliare il suo incarico sacerdotale vissuto nella preferenza per i poveri, per gli ultimi, i malati, gli emarginati, con vari ruoli di responsabilità. La sua obbedienza infatti lo porta ad accettare, ad esempio, l’incarico di Parroco nella piccola parrocchia di San Giovanni di Sambatello, “una piccola parrocchia nell’entroterra reggino, 600 abitanti appena, a 15 km dal Comune capoluogo, a 375 metri di altezza sul mare, su una delle ultime balze dell’Aspromonte, che qui dolcemente degrada verso il litorale”, come viene descritta dallo stesso don Italo. Qui resterà fino alla sua morte e celebrerà l’ultima messa coi suoi parrocchiani, non li abbandonerà mai.
Una volta divenuto parroco vive in mezzo alla gente, visita le famiglie, si preoccupa di loro, dei malati, i giovani e gli anziani. Infatti, come racconta Renzo Agasso in queste pagine “Non giudica, non prende posizioni preconcette. Va incontro alle persone, anche fisicamente, camminando per le viuzze del paesino, bussando alle porte, cercando il dialogo con tutti, senza distinzioni di sorta. È il suo stile. È lo stile del Vangelo. E del Concilio. (…) Ma nelle sue relazioni c’è soprattutto il tentativo di mettere a fuoco la realtà sociale e culturale dell’ambiente in cui le scuole e le diocesi sono inserite. Perché non se ne può prescindere se si vogliono comprendere gli avvenimenti. (…) Perché soltanto conoscendo a fondo la realtà si può intervenire per modificarla.”
Questo don Italo lo sapeva bene. Cresciuto a Reggio Calabria negli anni che hanno preceduto la seconda Guerra mondiale, Italo ancora quindicenne vuole seguire la sua vocazione ed entra in seminario nel 1940, una volta finito il ginnasio. Il 25 aprile 1948 Italo Calabrò diventa prete, a soli 22 anni, ricevendo così il suo incarico sacerdotale in un periodo storico delicatissimo per l’Italia e per la Chiesa.
Renzo Agasso nelle pagine di questo libro ci mostra la vita e l’opera di don Italo imperniata nel suo tempo, uomo e prete in una società che ha vissuto momenti estremamente difficili della nostra storia come ad esempio il Concilio Vaticano II e il pontificato di Paolo VI; la caduta del muro di Berlino e Giovanni Paolo II ma anche il Sessantotto, le Brigate Rosse e il rapimento di Aldo Moro e il terribile giogo della mafia.
Un ‘problema’, quello della lotta alla mafia che ha visto don Italo impegnato in prima persona. Tra gli episodi riportati in questo libro da Renzo Agasso ricordiamo il rapimento di Vincenzino. Il 27 luglio 1984 a Lazzaro, un paesino frazione di Motta San Giovanni a soli 20 chilometri da Reggio Calabria, la ndrangheta rapisce un bambino di 10 anni, Vincenzo Diano. Sarà don Italo, nel pomeriggio del 2 agosto a Lazzaro, in qualità di Vicario generale della Diocesi reggina, a presiedere una messa nella piazza della città e a pronunciare una lunga omelia cui Renzo Agasso dedica ampio spazio riportandola integralmente: “Nell’omelia dice parole chiare e definitive. Senza sconti per i mafiosi. Ma anche piene di speranza nella loro conversione. Sono pur sempre uomini.” (Renzo Agasso)
Il ministero sacerdotale ricevuto porterà don Italo nel 1976 a partecipere al primo convegno nazionale della Chiesa italiana a Roma “Evangelizzazione e promozione umana” che vede tra i protagonisti il Card. Poma, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, il gesuita Padre Bartolomeo Sorge e Giuseppe Lazzati. “Giornate di intenso studio, approfondito, sincero e anche duro dibattito: i cristiani d’Italia si guardano allo specchio, senza paura, senza sconti. Come annunciare Cristo in Italia dopo il Concilio? Si contrappongono le solite tre linee di pensiero e di azione. (…) Il convegno non potrà che prendere atto della situazione e tentare una sintesi. Tuttavia resterà una esperienza ecclesiale importante, seguita negli anni a venire da altre simili. E per don Italo è la conferma della bontà delle sue scelte. Lui il Concilio lo vuole attuare fino in fondo. Partendo dall’impegno sociale e dalla cosiddetta ‘scelta dei poveri’, segno distintivo della Chiesa post-conciliare, ribadito al convegno romano. Don Italo l’ha fatta da tempo, quella scelta.” (Renzo Agasso)
Questa scelta che lo aveva portato negli anni a dar vita a piccole forme di solidarietà nell’ambito parrocchiale cui sono stati progressivamente affidati compiti sempre più gravosi e di responsabilità a cui don Italo e i suoi ragazzi non si sono mai tirati indietro come ad esempio quando Monsignor Ferro, agli inizi del 1969, affida loro la gestione di un intero istituto educativo assistenziale per minori. Poco dopo don Italo incontrerà don Giussani e i ragazzi che lo seguono e che daranno vita di lì a poco a quella che diventerà Comunione e Liberazione.
Continua e cresce così l’opera di don Italo sempre attenta alla preghiera ma anche all’aiuto concreto ai fratelli perché la sua principale preoccupazione era la promozione delle dignità della persona umana e “promozione umana è anche provvedere di una strada il suo paese. (…) Promozione umana è dare la terra ai contadini. (…) Promozione umana è procurare alla propria comunità l’acqua potabile, l’ambulatorio medico, l’autobus per il capoluogo. (…) Promozione umana è dare una nuova scuola a San Giovanni di Sambatello.” (Renzo Agasso)
Nel 1972 don Italo è nominato delegato regionale della Calabria e membro della presidenza nazionale in rappresentanza del Sud Italia della nascente Caritas italiana, sorta il 2 luglio del 1971. In questo modo don Italo si impegna a edificare un nuovo modo di ‘fare carità’, cioè ‘promozione umana’. Quando nel 1972 Mons. Ferro decide di nominarlo Vicario generale della sua Diocesi, cioè suo braccio destro, don Italo all’età di 47 anni, rifiuta perché non se la sente di assumere quell’incarico. Lui stesso lascerà scritto in proposito: “Credo che il Signore vada maturando in me, nonostante i miei limiti e le mie resistenze, una vocazione sempre più chiara a condividere le situazioni di emarginazione che mi ha fatto incontrare. In due momenti determinanti della mia vita mi sono impegnato, per quanto dipende da me, a rifiutare incarichi di autorità, a espiazione dei miei errori e per restare più fraternamente vicino a chi è emarginato. Potrei assolvere all’ufficio di vicario generale e rispondere a questa vocazione che avverto sempre più forte?”
Altre due volte don Italo rifiuterà la nomina a vescovo nelle diocesi calabresi “No, grazie. Preferisco i poveri, ha risposto don Italo.” così commenta Renzo Agassi nel suo libro le scelte di vita e di testimonianza cristiana di don Italo Calabrò.
Ma oltre ai poveri, nella sua vita, ha incontrato i carcerati, i ‘matti’ (affermerà a proposito della legge Basaglia: “L’emarginazione è legata solo in parte alle strutture. (…) Deve crescere nella società ecclesiale e civile il grado di comprensione, di dialogo, di solidarietà: senza di che ogni legge è inutile.”), gli handicappati, i poveri, gli emarginati. E ogni volta che si imbatteva nei fratelli più sfortunati don Italo cercava, e vi riusciva, di creare un tessuto di umanità che permettesse di essere vicino ai fratelli anche con aiuti concreti.
Numerosissime infatti le associazioni, le case di accoglienza e i centri di ascolto che sono nati dalla sua volontà e dal suo amore (dall’Agape alla Piccola Opera Papa Giovanni, alla Caritas diocesana) e tantissimi i giovani che lo hanno seguito e che sono stati formati da lui in questo senso. Tutto questo perché, come disse un giorno don Italo a due giovani che stava unendo in matrimonio “C’è un’apertura che ha riferimento ai beni, al denaro e che si attua praticando la condivisione con chi manca del sufficiente, magari vivendo in un regime di serena austerità ed eliminando le spese superflue. C’è un’apertura che coinvolge il nostro tempo, le nostre persone, le nostre capacità professionali. È il grande capitolo del volontariato di coppia che è veramente accessibile a tutti.”
Nell’aprile del 1990 don Italo si sottopone ad alcuni esami clinici e il responso è immediato e improvviso: gli restano poche settimane.
“All’improvviso, nel mese di aprile 1990, il Signore mi ha chiaramente avvertito che la mia giornata volgeva rapidamente al declino. Lo ringrazio, dal profondo del mio cuore, perché contro ogni mio merito, mi ha donato tanta pace e piena disponibilità nell’accettare la sua volontà.”
Renzo Agasso dedica l’ultimo capitolo del libro “Nessuno escluso mai!” proprio a quello che è stato chiamato ‘Testamento spirituale’ di don Italo, il suo saluto alla sua gente, ai parrocchiani e a tutti coloro che lo avevano amato e che lui aveva amato nella sua vita.
Uno degli aspetti della vita di don Italo Calabrò che forse colpisce maggiormente è come sia riuscito a conciliare il suo incarico sacerdotale vissuto nella preferenza per i poveri, per gli ultimi, i malati, gli emarginati, con vari ruoli di responsabilità. La sua obbedienza infatti lo porta ad accettare, ad esempio, l’incarico di Parroco nella piccola parrocchia di San Giovanni di Sambatello, “una piccola parrocchia nell’entroterra reggino, 600 abitanti appena, a 15 km dal Comune capoluogo, a 375 metri di altezza sul mare, su una delle ultime balze dell’Aspromonte, che qui dolcemente degrada verso il litorale”, come viene descritta dallo stesso don Italo. Qui resterà fino alla sua morte e celebrerà l’ultima messa coi suoi parrocchiani, non li abbandonerà mai.
Una volta divenuto parroco vive in mezzo alla gente, visita le famiglie, si preoccupa di loro, dei malati, i giovani e gli anziani. Infatti, come racconta Renzo Agasso in queste pagine “Non giudica, non prende posizioni preconcette. Va incontro alle persone, anche fisicamente, camminando per le viuzze del paesino, bussando alle porte, cercando il dialogo con tutti, senza distinzioni di sorta. È il suo stile. È lo stile del Vangelo. E del Concilio. (…) Ma nelle sue relazioni c’è soprattutto il tentativo di mettere a fuoco la realtà sociale e culturale dell’ambiente in cui le scuole e le diocesi sono inserite. Perché non se ne può prescindere se si vogliono comprendere gli avvenimenti. (…) Perché soltanto conoscendo a fondo la realtà si può intervenire per modificarla.”
Questo don Italo lo sapeva bene. Cresciuto a Reggio Calabria negli anni che hanno preceduto la seconda Guerra mondiale, Italo ancora quindicenne vuole seguire la sua vocazione ed entra in seminario nel 1940, una volta finito il ginnasio. Il 25 aprile 1948 Italo Calabrò diventa prete, a soli 22 anni, ricevendo così il suo incarico sacerdotale in un periodo storico delicatissimo per l’Italia e per la Chiesa.
Renzo Agasso nelle pagine di questo libro ci mostra la vita e l’opera di don Italo imperniata nel suo tempo, uomo e prete in una società che ha vissuto momenti estremamente difficili della nostra storia come ad esempio il Concilio Vaticano II e il pontificato di Paolo VI; la caduta del muro di Berlino e Giovanni Paolo II ma anche il Sessantotto, le Brigate Rosse e il rapimento di Aldo Moro e il terribile giogo della mafia.
Un ‘problema’, quello della lotta alla mafia che ha visto don Italo impegnato in prima persona. Tra gli episodi riportati in questo libro da Renzo Agasso ricordiamo il rapimento di Vincenzino. Il 27 luglio 1984 a Lazzaro, un paesino frazione di Motta San Giovanni a soli 20 chilometri da Reggio Calabria, la ndrangheta rapisce un bambino di 10 anni, Vincenzo Diano. Sarà don Italo, nel pomeriggio del 2 agosto a Lazzaro, in qualità di Vicario generale della Diocesi reggina, a presiedere una messa nella piazza della città e a pronunciare una lunga omelia cui Renzo Agasso dedica ampio spazio riportandola integralmente: “Nell’omelia dice parole chiare e definitive. Senza sconti per i mafiosi. Ma anche piene di speranza nella loro conversione. Sono pur sempre uomini.” (Renzo Agasso)
Il ministero sacerdotale ricevuto porterà don Italo nel 1976 a partecipere al primo convegno nazionale della Chiesa italiana a Roma “Evangelizzazione e promozione umana” che vede tra i protagonisti il Card. Poma, arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, il gesuita Padre Bartolomeo Sorge e Giuseppe Lazzati. “Giornate di intenso studio, approfondito, sincero e anche duro dibattito: i cristiani d’Italia si guardano allo specchio, senza paura, senza sconti. Come annunciare Cristo in Italia dopo il Concilio? Si contrappongono le solite tre linee di pensiero e di azione. (…) Il convegno non potrà che prendere atto della situazione e tentare una sintesi. Tuttavia resterà una esperienza ecclesiale importante, seguita negli anni a venire da altre simili. E per don Italo è la conferma della bontà delle sue scelte. Lui il Concilio lo vuole attuare fino in fondo. Partendo dall’impegno sociale e dalla cosiddetta ‘scelta dei poveri’, segno distintivo della Chiesa post-conciliare, ribadito al convegno romano. Don Italo l’ha fatta da tempo, quella scelta.” (Renzo Agasso)
Questa scelta che lo aveva portato negli anni a dar vita a piccole forme di solidarietà nell’ambito parrocchiale cui sono stati progressivamente affidati compiti sempre più gravosi e di responsabilità a cui don Italo e i suoi ragazzi non si sono mai tirati indietro come ad esempio quando Monsignor Ferro, agli inizi del 1969, affida loro la gestione di un intero istituto educativo assistenziale per minori. Poco dopo don Italo incontrerà don Giussani e i ragazzi che lo seguono e che daranno vita di lì a poco a quella che diventerà Comunione e Liberazione.
Continua e cresce così l’opera di don Italo sempre attenta alla preghiera ma anche all’aiuto concreto ai fratelli perché la sua principale preoccupazione era la promozione delle dignità della persona umana e “promozione umana è anche provvedere di una strada il suo paese. (…) Promozione umana è dare la terra ai contadini. (…) Promozione umana è procurare alla propria comunità l’acqua potabile, l’ambulatorio medico, l’autobus per il capoluogo. (…) Promozione umana è dare una nuova scuola a San Giovanni di Sambatello.” (Renzo Agasso)
Nel 1972 don Italo è nominato delegato regionale della Calabria e membro della presidenza nazionale in rappresentanza del Sud Italia della nascente Caritas italiana, sorta il 2 luglio del 1971. In questo modo don Italo si impegna a edificare un nuovo modo di ‘fare carità’, cioè ‘promozione umana’. Quando nel 1972 Mons. Ferro decide di nominarlo Vicario generale della sua Diocesi, cioè suo braccio destro, don Italo all’età di 47 anni, rifiuta perché non se la sente di assumere quell’incarico. Lui stesso lascerà scritto in proposito: “Credo che il Signore vada maturando in me, nonostante i miei limiti e le mie resistenze, una vocazione sempre più chiara a condividere le situazioni di emarginazione che mi ha fatto incontrare. In due momenti determinanti della mia vita mi sono impegnato, per quanto dipende da me, a rifiutare incarichi di autorità, a espiazione dei miei errori e per restare più fraternamente vicino a chi è emarginato. Potrei assolvere all’ufficio di vicario generale e rispondere a questa vocazione che avverto sempre più forte?”
Altre due volte don Italo rifiuterà la nomina a vescovo nelle diocesi calabresi “No, grazie. Preferisco i poveri, ha risposto don Italo.” così commenta Renzo Agassi nel suo libro le scelte di vita e di testimonianza cristiana di don Italo Calabrò.
Ma oltre ai poveri, nella sua vita, ha incontrato i carcerati, i ‘matti’ (affermerà a proposito della legge Basaglia: “L’emarginazione è legata solo in parte alle strutture. (…) Deve crescere nella società ecclesiale e civile il grado di comprensione, di dialogo, di solidarietà: senza di che ogni legge è inutile.”), gli handicappati, i poveri, gli emarginati. E ogni volta che si imbatteva nei fratelli più sfortunati don Italo cercava, e vi riusciva, di creare un tessuto di umanità che permettesse di essere vicino ai fratelli anche con aiuti concreti.
Numerosissime infatti le associazioni, le case di accoglienza e i centri di ascolto che sono nati dalla sua volontà e dal suo amore (dall’Agape alla Piccola Opera Papa Giovanni, alla Caritas diocesana) e tantissimi i giovani che lo hanno seguito e che sono stati formati da lui in questo senso. Tutto questo perché, come disse un giorno don Italo a due giovani che stava unendo in matrimonio “C’è un’apertura che ha riferimento ai beni, al denaro e che si attua praticando la condivisione con chi manca del sufficiente, magari vivendo in un regime di serena austerità ed eliminando le spese superflue. C’è un’apertura che coinvolge il nostro tempo, le nostre persone, le nostre capacità professionali. È il grande capitolo del volontariato di coppia che è veramente accessibile a tutti.”
Nell’aprile del 1990 don Italo si sottopone ad alcuni esami clinici e il responso è immediato e improvviso: gli restano poche settimane.
“All’improvviso, nel mese di aprile 1990, il Signore mi ha chiaramente avvertito che la mia giornata volgeva rapidamente al declino. Lo ringrazio, dal profondo del mio cuore, perché contro ogni mio merito, mi ha donato tanta pace e piena disponibilità nell’accettare la sua volontà.”
Renzo Agasso dedica l’ultimo capitolo del libro “Nessuno escluso mai!” proprio a quello che è stato chiamato ‘Testamento spirituale’ di don Italo, il suo saluto alla sua gente, ai parrocchiani e a tutti coloro che lo avevano amato e che lui aveva amato nella sua vita.
Il 16 giugno 1990, all’alba, muore don Italo Calabrò. “La salma sia trasferita a San Giovanni di Sambatello. Una promessa fatta l’8 dicembre 1989. I miei confratelli nel sacerdozio non vogliano dispiacersi. Ho amato tanto la mia piccola parrocchia e mi è caro essere seppellito nel piccolo cimitero di quel borgo. (…) L’ho fatto anche per questo gesto di condivisione con coloro che mi hanno voluto bene, e a cui ho voluto tanto bene…”. Il 18 giugno, ai suoi funerali, sono presenti sette vescovi, più di duecento preti e migliaia di reggini.
Numerose le testimonianze dei presenti, dal fratello Corrado ai volontari delle associazioni, dai parrocchiani ai ‘suoi ragazzi’ e tutti restano colpiti dalla presenza dei poveri, dei malati di mente, dei bambini abbandonati presenti al suo funerale.
Una vita e una vocazione spesa al servizio dei fratelli, in piena umiltà, obbedienza e condivisione mettendo in pratica ogni giorno il dettato evangelico “Amerai il prossimo tuo come te stesso.” In questo la straordinarietà della vita di don Italo Calabrò, nell’aver vissuto il Vangelo nell’ordinarietà. “Amatevi tra di voi di un amore forte, di autentica condivisione di vita: amate tutti coloro che incontrate sulla vostra strada. Nessuno escluso, mai!” (don Italo Calabrò)
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