sabato, novembre 13, 2010
Il ricordo dell'avvocato Serafino Famà nelle parole della figlia Flavia: "In questi anni molto è stato detto sulla figura di mio padre come professionista, come irreprensibile avvocato, adesso mi piace ricordarlo prima di tutto come padre, come uomo e poi parlare del suo rigore nello svolgere la sua professione".

Liberainformazione - Mio padre è sempre stato un punto di riferimento certo, attento e presente. Trovava il tempo per ridere con noi, per giocare ma anche per affrontare discorsi più seri. Amava il calcio e giocava ogni settimana con i suoi colleghi ed amici. La sera quando rincasava, magari dopo una gioranata pesante trascorsa tra Tribunale, carcere e studio, si dedicava a noi e ci aiutava con i nostri compiti. La domenica mi portava spesso in giro in bici per insegnarmi, o nella nostra casa in campagna dove si dilettava a coltivare la terra e a raccogliere i frutti dagli alberi. La mia era un’infanzia normale di una qualsiasi bimba di tredici anni, ingenua e convinta che la mafia fosse una cosa lontana, che stava a Palermo e che comunque non mi riguradava, perché, come molti dicono, “si ammazzano tra di loro”.

Quel 9 novembre 1995 era stato un qualsiasi giovedì e al ritorno da scuola alla fermata dell’autobus avevo trovato mio padre ad aspettarmi per portarmi a casa. Poi il pomeriggio a casa a studiare e gli allenamenti di pallavolo, come ogni giovedì. Percorrendo in macchina con mio fratello viale Vittorio Veneto vedemmo la folla e la polizia nel parcheggio adiacente lo studio di nostro padre, tirammo dritto verso casa perché erano da poco passate le 21 e pensammo che i nostri genitori si sarebbero preoccupati non vedendoci arrivare. Fu un susseguirsi di telefonate di parenti ed amici che chiedevano notizie di Serafino ad insospettire mio fratello che uscì all’improvviso per recarsi lì dove avevamo visto la folla di gente. Tutte quelle persone le ritrovai dopo poco all’Ospedale Garibaldi, sapevano cosa era accaduto, i telegiornali regionali ed il programma “Samarcanda” avevano dato la notizia. Ad alcuni potrebbe sembrare strano che la mafia abbia colpito un avvocato, penalista per di più, che tra i suoi clienti aveva anche dei mafiosi di grosso calibro. E’ giunto il momento di capire che la figura dell’avvocato è essenziale per la Giustizia. Mio padre fu colpito perché si batteva con forza per la legalità e perché non volle cedere alle pressioni pervenutegli. Ci volle del tempo per scoprire i colpevoli di quell’omicidio e ce ne volle ancor di più per me per capire che mi sbagliavo: la mafia era anche a Catania ed è un problema che coinvolge tutti noi. Ma ci vollero 10 anni perché io riuscissi a parlarne e a provare a trasformare quella rabbia, quel senso di impotenza e di vuoto in impegno, per cercare di spiegare che mio padre era un uomo normale, che credeva nel suo lavoro, nei valori costituzionali, nella necessarietà del giusto processo come simbolo di civiltà e democrazia. Se adesso sono qui a scrivere è grazie a don Luigi Ciotti, a Libera, che mi ha preso per mano e mi ha fatto vedere che non sono sola; è grazie a dei ragazzi del Liceo Volterra ai quali per la prima volta ho raccontato di mio padre e con i quali ho iniziato il mio percorso di testimonianza.

A 15 anni dal suo assassino, mio padre è stato ricordato e per lui abbiamo pregato, durante tutta la giornata a Catania in tre momenti di raccoglimento. Il primo si è svolto alle 10 davanti alla lapide posta in memoria di mio padre nell’atrio principale del Tribunale di Catania, dove si sono riuniti in toga tanti tra vecchi colleghi, giovani avvocati, magistrati ed amici. Un’emozionante ed intensa Santa Messa di commemorazione è stata celebrata da don Luigi Ciotti nella Chiesa Cuore Immacolato di Maria, dove si svolsero i funerali e alla quale ha preso parte, tra gli altri, il vice Questore di Catania, la dottoressa Maria Lorena Paparo. Nel pomeriggio si è tenuto un incontro patrocinato dall’università, facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue e Letterature Straniere, al qule hanno partecipato in tanti, colleghi avvocati, quattro Presidenti della Camera Penale “Serafino Famà”, Giuseppe Passarello, Carmelo Peluso, Carmelo Passanisi, Enzo Trantino, magistrati, tra cui il Presidente facente funzioni del tribunale di Catania, dott. Bruno Di Marco, professori e studenti. Significativa ed importante è stata anche la presenza del Questore, dott. Domenico Pinzello, accompagnato da un funzionario in divisa per dimostrare la vicinanza e l’impegno delle istituzioni.

All’incontro, moderato dal prof. Luciano Granozzi, docente di Storia Contemporanea, sono intervenuti Ignazio Fonzo procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Agrigento, Viviana Matrangola, responsabile del settore "Memoria internazionale" di Libera. e Rosanna Scopelliti, presidente della Fondazione "Antonino Scopelliti” , tutti con il desiderio di testimoniare che solo con una reciproca collaborazione tra la società civile e le istituzioni si può dare vita al cambiamento. A tutti va un sentito ringraziamento ed un abbraccio.

* Flavia Famà, figlia di Serafino Famà, avvocato ucciso dalla mafia a Catania


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