martedì, dicembre 28, 2010
Il nostro Carlo Mafera ci parla della mostra aperta fino al 13 febbraio presso la Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma

Un'altra passeggiata per Roma e un'altra visita, o meglio un altro tuffo nell’arte per un profano come me che cerca di usufruire e di godere la gioia dell’assoluto ponendosi davanti all’immagine. Passare davanti alla Galleria d’arte moderna e non entrare è una vera e propria sofferenza: la tentazione di capire di cosa si tratta è tanta. Ecco alcune considerazioni lette nelle didascalie dei pannelli esplicativi: “Il movimento era nato a Parigi nel 1948 sulle ceneri del surrealismo e dell’espressionismo nordico, capeggiato da un gruppo di artisti provenienti, come decideranno di evocare nell’acronimo CoBrA, da Co-penhagen, Br-uxelles e A-msterdam.
Animato da uno spirito di moderno romanticismo, Cobra aspirava a recuperare una “primitiva” felicità creativa e fantastica, a dare nuova ed originale vitalità e linfa ad una visione interiore di forte coinvolgimento emotivo, capace di superare la crisi esistenziale in cui erano sprofondate le generazioni europee che avevano vissuto e sofferto lo psicodramma della guerra mondiale attraverso un violento cromatismo, dense stratificazioni di materia colorata, il disprezzo delle costrizioni formali, l’avversità ad ogni forma di astrazione geometrica di tipo razionalistico, un rinnovato anelito sperimentale, un’irrazionale (o pre-razionale) spontaneità, il lavoro collettivo. A dar vita al movimento c’erano gli olandesi Karel Appel, Constant e Corneille, il danese Asger Jorn, il poeta belga Christian Dotremont, cui si aggiungevano poi Serge Vandercam e Pierre Alechinsky, nato a Bruxelles nel 1927 da padre russo e madre vallone. L’avventura si esaurì ufficialmente nel 1951, il gruppo (che tra l’altro aveva avuto il grande merito di sintonizzare i paesi nordeuropei con i movimenti di avanguardia) si sciolse, ma solo apparentemente fu un fallimento. Anzi, se la sua esistenza “formale” fu di breve durata (quattro anni, dal 1948 al 1951, e tre mostre, a Bruxelles e Amsterdam nel 1949 e a Liegi nel ’51) la sua “filosofia” e il suo spirito hanno continuato a fecondare tutt’Europa e a vivere in seno a molte ramificazioni dei movimenti Cobra e post-Cobra.”
L’importanza di questo movimento per la storia dell’arte moderna in Europa è stata ampiamente riconosciuta, ma assai meno studiata, anche se non meno vitale, è la fase successiva allo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 1951. Nello sviluppo di “Cobra dopo Cobra” svolse un ruolo importante la cittadina ligure di Albisola Marina, famosa per la produzione della ceramica, dove già trascorreva l’estate Lucio Fontana e dove, nel 1954, si stabilì, dopo il ricovero coatto di due anni presso un tubercolosario svizzero, il danese Asger Jorn su consiglio di Enrico Baj, il quale, insieme con Sergio Dangelo, aveva presentato a Bruxelles nel 1952 il manifesto del “Movimento nucleare”. Un capitolo questo forse meno noto, che vede protagonista, Albisola, ameno e splendido centro della Riviera di Ponente, dove si diedero appuntamento i transfughi del gruppo originario (merito anche della salubrità del posto: oltre Jorn anche Dotremont era ammalato di tubercolosi) trasformandola dal ’54 in un centro di grande e frenetico fervore creativo in cui coniugare in maniera nuova e in una coinvolgente esperienza collettiva sperimentazione e tradizione.”
Tra le opere che più mi hanno impressionato e forse più significative per il nostro giornale cattolico sono quelle di Di Baj. “Opere collegate alla vicenda del Nuclearismo, movimento da lui fondato all’inizio degli anni cinquanta e ispirato alla necessità di ripensare l’arte alla luce dei tragici eventi bellici e in particolare della catastrofe atomica di Hiroshima e Nagasaki. Da questo clima e da questa esigenza nascono” – afferma Benedetta Marcelli curatrice del servizio comunicazione della Gnam – “ i personaggi sfibrati e sfigurati di Quamisado II (1951), Figura atomica (1951) e Non uccidete i bambini (1953).” Una memoria storica che deve, a mio avviso, essere sempre coltivata da qualsiasi movimento culturale e artistico perché eventi simili non accadano mai più.
Questo e tanto altro è raccontato da questa bellissima mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (“CoBrA e l’Italia”), a cura di Denis Laoureux, professore all’Université Libre di Bruxelles, e Matilde Amaturo, direttrice del Museo Hendrik C. Andersen (catalogo Electa); come afferma la soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli: “Cobra crea uno stile inconfondibile, spontaneo e violento, che continuò a svilupparsi mentre gli artisti tornavano a lavorare occasionalmente insieme e a radunarsi sotto altre sigle, in un processo di internazionalizzazione che coinvolse anche l’Italia”.

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