martedì, dicembre 28, 2010
Bombe nell'area cristiana di Jos, chiese assaltate nel Borno: lo spettro della violenza religiosa torna a fare paura.

di Alberto Tundo

PeaceReporter - Le luci del Natale hanno lasciato il posto a quelle delle ambulanze e ai roghi delle esplosioni che hanno ricordato alla Nigeria quanto siano fragili quegli equilibri che impediscono l'implosione del Paese.

Fiamme nel Plateau. Equilibri che sono tornati a scricchiolare alla vigilia di Natale, quando quattro bombe sono esplose, seminando di nuovo il terrore della violenza interetnica: epicentro della violenza è ancora Jos, la capitale del Plateau, dove tra gennaio e marzo di quest'anno si sono registrati massacri di civili che hanno fatto un migliaio di morti. Il bilancio provvisorio è di 38 morti e 74 feriti. Torna anche lo spettro della violenza inter-religiosa, visto che le bombe sono esplose in un'area a prevalenza cristiana della capitale. La prima a Kabong, nei pressi della chiesa cattolica del Sacro Cuore, alle otto meno venti di sera. Subito dopo è seguita un'esplosione al Satellite, il vicino mercato, dove la folla stava facendo gli ultimi acquisti; un'altra nei pressi della sopraelevata di Gada-Biyu. La data e i luoghi delle esplosioni sono stati scelti perché risultasse evidente a tutti la matrice anti-cristiana degli attentati. Chiunque sia stato, sta soffiando sul fuoco delle divisioni religiose lungo le quali si vanno da tempo condensando tensioni di tipo etnico e sociale che stanno indebolendo la Nigeria, un gigante in crescita in cui diventa sempre più delicata la faglia tra il nord musulmano e il sud cristiano; lo stato del Plateau è esattamente a cavallo.

Violenza di strada. E le bombe hanno messo in moto un'escalation che ha subito prodotto i suoi effetti, innescando atti di guerriglia urbana nell'area di Jos. Gruppi di giovani hanno montato barricate nei distretti di Angwan Rukuba e Dogon Dutse. In tre ore, i disordini si erano estesi a Rikkos, Abbatoir e Dogon-Karfe. Mancano cifre su eventuali vittime ma un quotidiano di Abuja, Leadership, menzionava otto morti nel solo distretto di Angwan Rukuba. La situazione resta estremamente delicata: i reparti antisommossa stanno faticando per ripristinare l'ordine. Unità mobili, almeno quattro, sono state spostate da altri stati del Paese. Un migliaio di poliziotti in borghese sono stati immediatamente schierati nei pressi dei luoghi di culto della capitale e del territorio metropolitano ma l'incendio è contenuto a stento. Tanto che il vicepresidente nigeriano, Nomadi Sambo, ha annullato la sua visita a Jos. I servizi di sicurezza gliel'hanno sconsigliato: troppo pericoloso.

Il ritorno di Boko Haram. Ma non è solo il Plateau, lo stato a rischio. I dispositivi di sicurezza sono stati rafforzati anche nel vicino Kaduna e nei luoghi simboli della capitale federale, Abuja. Perché la violenza non è rimasta confinata nel Plateau. A Maiduguri, la capitale del Borno, una trentina di uomini armati hanno assaltato un paio di chiese. In una, sotto la minaccia di un coltellaccio, hanno portato il pastore fuori dalla chiesa e lo hanno freddato con un colpo di fucile. Hanno poi ucciso due membri del coro e tre passanti. Qui però la polizia ha una pista preferenziale da seguire, quella che porta a Boko Haram, la setta islamica radicale (il suo nome, in Hausa, vuol dire "L'educazione occidentale è un sacrilegio"). Secondo diversi analisti, sarebbe stata Boko Haram a pianificare l'intera operazione delle bombe di Jos. La setta, solo l'anno scorso, era data per spacciata. Gli investigatori credevano di averla sgominata ma fonti attendibili dicono che adesso è tornata più forte e spietata che mai: lo ha dimostrato già lo scorso settembre, quando un suo commando assaltò un carcere nello stato del Bauchi e liberando 732 detenuti, in massima parte suoi miliziani. Con le fibrillazioni che arrivano dall'area del Delta del Niger e una campagna elettorale che si annuncia infuocata ormai alle porte (le presidenziali del 2011), questo è sicuramente un momento estremamente delicato per il Paese. La leadership del presidente Goodluck Jonathan, cristiano del sud, salito al potere con la malattia e la morte di Umaru Musa Yar'Adua, musulmano del nord, stenta a consolidarsi. Non si può parlare di un vuoto di potere ma bisogna riconoscere che le istituzioni repubblicane sembrano quanto mai fragili, soprattutto gli apparati di sicurezza, sui quali Jonathan è intervenuto pesantemente rinominandone i vertici. Il gigante africano si avvicina al 2011, un anno cruciale, più fragile che mai.

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