Una riflessioni del nostro Stefano Buso sugli ultimi episodi di cronaca contro le comunità cristiane
I Cristiani continuano a versare un lauto tributo per la libertà in termini di sangue. Soprattutto in Medio Oriente e in alcune aree dell’Asia. Vita grama anche per i cristiani dei paesi governati da regimi totalitari. Tutto ciò, mentre la comunità internazionale e l’ONU non mostrano alcun tentativo (politico e diplomatico) che possa limitare queste assurde angherie. Sin dai tempi delle tremende persecuzioni romane, i cristiani non hanno avuto facilità nel professare il loro credo. Attualmente nel mondo il fronte della violenza si è pesantemente allargato, assumendo di volta in volta modalità più o meno cruente. In nazioni come la Cina, l’Irak, le Filippine, il Pakistan, la Nigeria (e molte altre), il totalitarismo locale cerca di reprimere il credo cristiano, nettamente in minoranza rispetto alle altre religioni. Nonostante le incessanti proteste da parte della Chiesa, intervenuta per dire basta ai massacri, proprio in Egitto, a Capodanno, abbiamo assistito ad una delle più spietate testimonianze di intolleranza rivolte alla collettività cristiana.
Come pensa di reagire l’ONU dinnanzi a questa sfrenata escalation di violenza e di fanatismo? Quali sono le strategie che ha in mente di concretizzare? A tal proposito è utile prendere in esame le parole del Cardinale Achille Silvestrini (ex ministro degli Esteri vaticano e prefetto delle Chiese Orientali) nell’intervista su La Stampa del 2 gennaio quando afferma che non è vero che le Nazioni Unite sono indifferenti al problema dei massacri contro le comunità cristiane: semplicemente, non riescono a concertare una risposta efficace e uniforme per soffocare la violenza.
Nel terzo millennio essere perseguitati in ragione della propria fede appare quasi paradossale. Fede che, naturalmente, corre di pari passo con idee e convinzioni. E quale è la differenza tra reprimere un concetto o un credo, ideologico o religioso che sia? Lo spartiacque è labile, e proprio per questo, si comprende la durezza della vita in determinate realtà dove la libertà di stampa, di idee e conseguentemente di culto è fortemente limitata e non di rado repressa con l’uso della forza.
Altro aspetto nodale è il perché proprio la comunità cristiana sia oggetto di continue vessazioni. Anche su questo punto, la tesi del Cardinale Silvestrini espressa nell’intervista appare centrata: “Spesso i cristiani finiscono nel mirino perché sono la parte più dinamica e aperta della società, come negli stati indiani dove contrastano il sistema delle caste e perciò diventano vittime di un’atroce pulizia religiosa”.
La comunità cristiana, da parte sua, da sempre risponde alla brutalità con l’amore, proprio perché pace e benevolenza sono una regola basilare del cristianesimo, una sorta di vessillo, come più volte ha affermato Benedetto XVI. Il Papa, infatti, “combatte” da sempre l’imperversare dell’intolleranza nei confronti dei cristiani, soprattutto in Medio Oriente, invitando a perseguire la via della non belligeranza.
Di martiri la Chiesa ne ha avuti tanti, troppi, nel corso dei secoli, ma quest’anno si è aperto in modo davvero funesto per i cristiani. Tuttavia la speranza per una soluzione pacifica della questione resta senza dubbio da cavalcare, usando, se necessario, anche le armi: sì, ma quelle della diplomazia e del confronto.
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