L'esercito iracheno, nel 2009, ha ucciso undici Mujaheddin del Popolo. Madrid applica la giurisdizione universale.
PeaceReporter - Verrà un giorno, forse. La giurisdizione universale rispetto ai crimini contro l'umanità rappresenta una grande conquista della civiltà del diritto. La sua applicazione pratica, invece, lascia ancora molto a desiderare. Certi giudici testardi, però, non demordono. E' accaduto anche oggi, 5 gennaio 2011, in Spagna. Il giudice Fernando Andreu ha depositato presso la cancelleria dell'Audiencia National de Espana un mandato di comparizione - udienza fissata per l'8 marzo prossimo - per il generale Abdol Hossein al-Shemmari, comandante della polizia della provincia irachena di Diyala, a nordest di Baghdad, nel 2009. L'uomo che ha ordinato di reprimere nel sangue la protesta a Camp Ashraf, il 28 luglio 2009, uccidendo undici manifestanti.
Camp Ashraf è un luogo rimasto sospeso nel limbo della storia dell'Iraq, impigliato nella regnatela delle alleanze internazionali. Il campo è una vecchia base militare dove, durante la guerra tra Iran e Iraq negli anni Ottanta, il regime di Saddam aveva ospitato, armato e addestrato un gruppo (circa tremila persone) di Mujaheddin del Popolo, chiamato anche Esercito di Liberazione Nazionale dell'Iran. Nato come partito a metà degli anni Sessanta in Iran, venne travolto dalla Rivoluzione Islamica. I leader e i militanti lasciarono il Paese riparando in Europa. Allo scoppio della guerra in Iraq, vennero sostenuti dal regime di Saddam.
Nel 2003 tutto muta: l'Iraq viene invaso dalla coalizione internazionale guidata dagli Usa, il regime di Saddam rovesciato. Le nuove autorità statunitensi, nell'ottica della costante contrapposizione con l'Iran, non smantellano il campo, ma requisiscono tutte le armi e intimano la cessazione di ogni attività militare del gruppo. I dannati di Camp Ashraf, a questo punto, finiscono reclusi in un non-luogo. Il governo iracheno, dove la componente sciita è maggioritaria, non ne vuole sapere di loro, ma non arriva al punto di un atto di forza. Lo sgombero - e il conseguente rimpatrio in Iran dei militanti - equivale a mandare più di tremila persone al patibolo in Iran. Neanche, però, si occupano di loro.
In questo clima di crescente abbandono e di emergenza umanitaria - considerate le condizioni all'interno del campo e l'impossibilità per i residenti di rifarsi una vita fuori dalle mura della base - la tensione sale. Il 28 luglio 2009 inizia una manifestazione dei residenti, che la polizia irachena reprime con violenza. Alla fine restano uccisi undici residenti di Camp Ashraf.
Proprio su questa strage, in ottemperanza della sentenza n. 237 del 26 settembre 2005 del Tribunal Costitucional spagnolo, che sancisce la prevalenza della cosiddetta giurisdizione universale in materia di diritti umani rispetto alle legislazioni nazionali, il giudice Andreu vuole condurre un'inchiesta. Partendo dal presupposto che le autorità irachene non abbiano svolto fino in fondo un'inchiesta indipendente sull'accaduto.
I precedenti nella penisola iberica non mancano. Nel 1998 il giudice Baltazar Garzon voleva processare a Madrid l'ex dittatore cileno, generale Augusto Pinochet, dopo il suo arresto a Londra. Nel 2003, sempre Garzon, inquisì Osama bin Laden per la strage dell'11 settembre 2001, a New York e Washington. L'ultimo caso, ancora con Garzon protagonista, nel 2007. Il magistrato spagnolo annunciò che avrebbe chiamato alla sbarra le più alte autorità del Marocco in merito all'accusa di genocidio e tortura contro il popolo saharawi. Il Marocco occupa il Sahara Occidentale dalla metà degli anni Settanta, in violazione del diritto internazionale.
Visti i precedenti, pubblicità a parte, i residenti di Camp Ashraf hanno poco da sperare. Tutte le inchieste, infatti, sono finite nel dimenticatoio poco dopo la pubblicazione della notizia - con grande risalto - sulla stampa spagnola e internazionale. Potrà finire diversamente, questa volta? Presto per dirlo, ma almeno oggi per i dannati del Camp Ashraf è una bella giornata.
PeaceReporter - Verrà un giorno, forse. La giurisdizione universale rispetto ai crimini contro l'umanità rappresenta una grande conquista della civiltà del diritto. La sua applicazione pratica, invece, lascia ancora molto a desiderare. Certi giudici testardi, però, non demordono. E' accaduto anche oggi, 5 gennaio 2011, in Spagna. Il giudice Fernando Andreu ha depositato presso la cancelleria dell'Audiencia National de Espana un mandato di comparizione - udienza fissata per l'8 marzo prossimo - per il generale Abdol Hossein al-Shemmari, comandante della polizia della provincia irachena di Diyala, a nordest di Baghdad, nel 2009. L'uomo che ha ordinato di reprimere nel sangue la protesta a Camp Ashraf, il 28 luglio 2009, uccidendo undici manifestanti.
Camp Ashraf è un luogo rimasto sospeso nel limbo della storia dell'Iraq, impigliato nella regnatela delle alleanze internazionali. Il campo è una vecchia base militare dove, durante la guerra tra Iran e Iraq negli anni Ottanta, il regime di Saddam aveva ospitato, armato e addestrato un gruppo (circa tremila persone) di Mujaheddin del Popolo, chiamato anche Esercito di Liberazione Nazionale dell'Iran. Nato come partito a metà degli anni Sessanta in Iran, venne travolto dalla Rivoluzione Islamica. I leader e i militanti lasciarono il Paese riparando in Europa. Allo scoppio della guerra in Iraq, vennero sostenuti dal regime di Saddam.
Nel 2003 tutto muta: l'Iraq viene invaso dalla coalizione internazionale guidata dagli Usa, il regime di Saddam rovesciato. Le nuove autorità statunitensi, nell'ottica della costante contrapposizione con l'Iran, non smantellano il campo, ma requisiscono tutte le armi e intimano la cessazione di ogni attività militare del gruppo. I dannati di Camp Ashraf, a questo punto, finiscono reclusi in un non-luogo. Il governo iracheno, dove la componente sciita è maggioritaria, non ne vuole sapere di loro, ma non arriva al punto di un atto di forza. Lo sgombero - e il conseguente rimpatrio in Iran dei militanti - equivale a mandare più di tremila persone al patibolo in Iran. Neanche, però, si occupano di loro.
In questo clima di crescente abbandono e di emergenza umanitaria - considerate le condizioni all'interno del campo e l'impossibilità per i residenti di rifarsi una vita fuori dalle mura della base - la tensione sale. Il 28 luglio 2009 inizia una manifestazione dei residenti, che la polizia irachena reprime con violenza. Alla fine restano uccisi undici residenti di Camp Ashraf.
Proprio su questa strage, in ottemperanza della sentenza n. 237 del 26 settembre 2005 del Tribunal Costitucional spagnolo, che sancisce la prevalenza della cosiddetta giurisdizione universale in materia di diritti umani rispetto alle legislazioni nazionali, il giudice Andreu vuole condurre un'inchiesta. Partendo dal presupposto che le autorità irachene non abbiano svolto fino in fondo un'inchiesta indipendente sull'accaduto.
I precedenti nella penisola iberica non mancano. Nel 1998 il giudice Baltazar Garzon voleva processare a Madrid l'ex dittatore cileno, generale Augusto Pinochet, dopo il suo arresto a Londra. Nel 2003, sempre Garzon, inquisì Osama bin Laden per la strage dell'11 settembre 2001, a New York e Washington. L'ultimo caso, ancora con Garzon protagonista, nel 2007. Il magistrato spagnolo annunciò che avrebbe chiamato alla sbarra le più alte autorità del Marocco in merito all'accusa di genocidio e tortura contro il popolo saharawi. Il Marocco occupa il Sahara Occidentale dalla metà degli anni Settanta, in violazione del diritto internazionale.
Visti i precedenti, pubblicità a parte, i residenti di Camp Ashraf hanno poco da sperare. Tutte le inchieste, infatti, sono finite nel dimenticatoio poco dopo la pubblicazione della notizia - con grande risalto - sulla stampa spagnola e internazionale. Potrà finire diversamente, questa volta? Presto per dirlo, ma almeno oggi per i dannati del Camp Ashraf è una bella giornata.
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