lunedì, gennaio 24, 2011
Raffaela Corrias intervista per La Perfetta Letizia Manuela Dviri, scrittrice italiana che vive in Israele, dove lotta e combatte per la pace (clicca qui per il file audio dell'intervista)

Manuela Dviri è una scrittrice italiana che vive in Israele dal 1968. Perde suo figlio Jonathan il 26 febbraio 1998, vittima in uno scontro con Hezbollah in Libano. Da allora, inizia ad esprimere tutto il suo dissenso alla politica del governo e rilascia le prime dichiarazioni sulla inutilità e la stupidità di una guerra condotta fuori dai confini del paese, pubblicando tre infuocate lettere di protesta indirizzate all'allora primo ministro Benjamin Netanyahu. Dopo pochi mesi lascia il lavoro per dedicarsi completamente alla sua personale e dura campagna per la vita e contro la guerra, chiedendo il ritiro dell'esercito israeliano dal territorio libanese. La campagna, che verrà poi ricordata come quella delle “Quattro Madri”, è coronata da successo. Da allora, non ha mai smesso la sua attività politica “di base” (insieme alla sua attività di giornalista e scrittrice teatrale), con moltissime iniziative di collaborazione attiva con i palestinesi, nella convinzione che i popoli israeliano e palestinese potranno salvarsi e sopravvivere solo se lo faranno insieme.

D: Manuela, la ringraziamo per essere qui con noi per questa intervista. Alla luce della sua storia, del suo impegno e del contesto in cui vive, cosa significa per lei la parola “pace”?
R: La parola “pace” è una parola molta astratta, che significa poco in questo momento… che significa poco un po’ ovunque. Perché abbia valore, bisogna trasformarla in qualcosa di concreto. E di concreto per il momento non c’è nulla… Se io sogno la pace, sogno un Medioriente che sia aperto, in cui da Israele si possa andare a fare la spesa in Libano, andare a mangiare l'hummus a Damasco e comprare un vestito al Cairo. Ma sembra in questo momento un sogno irrealizzabile.

D: Ecco, lei crede nel valore delle singole azioni, dei singoli individui, per dare una qualche concretezza a questa parola che rischia di essere astratta?
R: Certo! Per ora credo che neanche i fatti concreti siano riusciti a portare alla pace, ma almeno è un modo più onesto di parlare di pace. Altrimenti parlare di pace non serve a nulla. Per cui si può cercare almeno di costruire un tessuto sul quale in futuro si possa “appoggiare” la pace… E comunque per poter vivere in pace con la propria coscienza! E quindi gli atti dei singoli cittadini sono importantissimi, anche perché, come ben sappiamo, come vediamo nel quotidiano, c’è una grande sconfitta della politica. E quindi la società civile deve muoversi e deve mostrare alla politica quello che desidera. E fare degli atti che la portino in una certa direzione…

Per l'audio di tutta l'intervista, clicca qui

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