martedì, gennaio 25, 2011
Gli scontri di venerdì scorso hanno causato tre morti e oltre cinquanta feriti. Molte persone sono state arrestate e poi maltrattate, e dal carcere non hanno alcun contatto con il mondo esterno. Tutto questo a Tirana, sulla sponda opposta dell’Adriatico…

del nostro Stefano Buso

Tirana - In questi giorni, l’opposizione è scesa in piazza sostenuta dal popolo, e purtroppo c’è scappato il morto. Anzi, di morti ce ne sono stati tre, freddati dalla Guardia Repubblicana Albanese. A cadere sotto il fuoco della milizia, come il solito, ‘poveri cristi’, gente inerme e disoccupati, stanchi delle continue vessazioni e delle inesistenti prospettive di cambiamento. Come avviene nelle sommosse, la disperazione mescolata alla rabbia innesca azioni incredibili, per certi aspetti prodigiose. Ricordate l’immagine del ragazzo in Piazza Tienanmen mentre bloccava il carro armato? Un esempio tra i tanti per comprendere cosa è in grado di fare la folla disperata. 

In questi anni l’Albania (e il governo di Berisha) erano finiti nel dimenticatoio. Pur essendo i Balcani una polveriera pronta ad esplodere, si pensava che gli avvenimenti da queste parti non fossero preoccupanti. Del resto, con la perenne questione del Medio Oriente le difficoltà albanesi non suscitavano né interesse né curiosità. E comunque la situazione locale appariva in leggera evoluzione. Persino “la vecchia” Tirana di Enver Hoxa e delle sue aberranti visioni scientifico-materialiste ha subito una imponente trasformazione sotto l’aspetto urbanistico, lasciando spazio a palazzi moderni e al consumismo occidentale che qui ha trovato terreno fertile per investire e… lucrare. Un benessere che nell’arco di poco tempo si è rivelato però effimero ed esiziale. Nei fatti, grazie a questo boom economico molti albanesi emigrati all’estero sono rientrati in patria per investire i soldi guadagnati. Chi recentemente ha avuto modo di visitare l’Albania ne ha parlato come di una nazione ‘inclinata’ verso l’Europa. 

Tuttavia, accanto ai cambiamenti estetici, sono mancate le riforme che il popolo attendeva. Già, perché se ora l’Albania si rivela “zona calda” significa che questo governo ha posticipato ad altra data gli appuntamenti più importanti: un’equa ripartizione del reddito, un gettito fiscale proporzionato, l’assistenza medica per tutti, il salario in linea con gli standard europei, più molte altre tappe che Sali Ram Berisha ha disatteso. Edi Rama, il leader dell'opposizione socialista, si appella all'Unione Europea: la comunità internazionale prenda le distanze dalla violenza di stato e garantisca libere elezioni. Che sia il popolo a decidere chi debba governare attraverso il voto. E ancora: «L'Italia e l'Ue non devono accettare in Albania una realtà drammatica per il mondo democratico e condannare la violenza di stato che uccide gente innocente». In ogni caso la temperatura a Tirana è destinata a salire. Nessuno è più disposto a subire le restrizioni del governo, men che meno altre inutili vittime. Dopo la Tunisia, un altro Paese vicino all’Italia si ribella alle angherie governative e auspica il libero confronto democratico. Perché la gente, oltre che fame, ha sete di libertà e giustizia…

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