In Bahrein, le forze di polizia hanno soffocato nel sangue la rivolta esplosa la notte scorsa soprattutto nella città di Manama, capitale del piccolo regno che si affaccia sul Golfo Persico.
Radio Vaticana - Il bilancio degli scontri tra manifestanti e polizia è già grave: si parla di 5 morti e decine di feriti. Decine di blindati dell'esercito presidiano la piazza della Perla dove migliaia di manifestanti si sono radunati per chiedere riforme democratiche. Il blocco di opposizione sciita al-Wefaq fa sapere che si appresta ad uscire dal parlamento. Sulla realtà politica e sociale del Bahrein, Giancarlo La Vella ha intervistato Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi all’Università Cattolica di Milano: ascolta
R. – Il Bahrein è una monarchia, un emirato, quindi dovrebbe essere più stabile rispetto alle repubbliche, in quanto la dinastia regnante di solito ha una legittimazione tradizionale o religiosa più forte di quella repubblicana. È, però, anche un caso particolare, perché più di metà della popolazione è sciita e, quindi, questa delegittimazione di tipo religioso è problematica; in più è un Paese che si sta modernizzando molto rapidamente e quindi questa modernità estrema deve fare i conti anche con una maggiore democraticità del sistema.
D. – Secondo lei, l’Occidente è stato colto di sorpresa dal fatto che si pensasse ai Paesi arabi come a qualcosa di più omogeneo dal punto di vista ideologico, quando invece la protesta ha messo in evidenza alcune contraddizioni?
R. – Certamente. Noi abbiamo una visione troppo monolitica e statica di questo mondo, che invece è attraversato da forti tensioni, legate anche alle minoranze etniche - tipo i curdi e i berberi – o religiose – tipo gli sciiti – e dopo tanti decenni di governi autocratici, anche lo stesso sviluppo delle tecnologie moderne porta soprattutto le giovani generazioni a richiedere dei cambiamenti.
D. – Queste proteste possono essere viste come una sorta di richiesta di "laicizzazione" dei Paesi che sono, per lo più, a maggioranza musulmana?
R. – Implicitamente sì, perché mentre nei decenni passati l’opposizione era monopolizzata da movimenti di tipo islamico radicale, oggi abbiamo visto – soprattutto in Tunisia e in Egitto – manifestazioni invece prive di slogan islamisti. Direi che si tratta di una classe media che cerca di avere voce in capitolo in sistemi che sono ancora divisi tra ricchissimi e poverissimi.
D. – Il Bahrein è uno di quei "paradisi" economici della Penisola arabica, dove il tenore di vita è elevato per tutte le classi sociali: evidentemente, però, viste le motivazioni di queste proteste, così non è...
R. – Non sono tanto i poveri che stanno alzano la voce in questo momento... Sono piuttosto coloro che vorrebbero partecipare di più: quelli che usano Twitter, Facebook o i telefonini. Questo significa che non si trovano in una situazione di indigenza assoluta, ma che si sentono in qualche modo esclusi e non sono soprattutto più disposti ad accettare questa situazione.
Radio Vaticana - Il bilancio degli scontri tra manifestanti e polizia è già grave: si parla di 5 morti e decine di feriti. Decine di blindati dell'esercito presidiano la piazza della Perla dove migliaia di manifestanti si sono radunati per chiedere riforme democratiche. Il blocco di opposizione sciita al-Wefaq fa sapere che si appresta ad uscire dal parlamento. Sulla realtà politica e sociale del Bahrein, Giancarlo La Vella ha intervistato Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi all’Università Cattolica di Milano: ascolta
R. – Il Bahrein è una monarchia, un emirato, quindi dovrebbe essere più stabile rispetto alle repubbliche, in quanto la dinastia regnante di solito ha una legittimazione tradizionale o religiosa più forte di quella repubblicana. È, però, anche un caso particolare, perché più di metà della popolazione è sciita e, quindi, questa delegittimazione di tipo religioso è problematica; in più è un Paese che si sta modernizzando molto rapidamente e quindi questa modernità estrema deve fare i conti anche con una maggiore democraticità del sistema.
D. – Secondo lei, l’Occidente è stato colto di sorpresa dal fatto che si pensasse ai Paesi arabi come a qualcosa di più omogeneo dal punto di vista ideologico, quando invece la protesta ha messo in evidenza alcune contraddizioni?
R. – Certamente. Noi abbiamo una visione troppo monolitica e statica di questo mondo, che invece è attraversato da forti tensioni, legate anche alle minoranze etniche - tipo i curdi e i berberi – o religiose – tipo gli sciiti – e dopo tanti decenni di governi autocratici, anche lo stesso sviluppo delle tecnologie moderne porta soprattutto le giovani generazioni a richiedere dei cambiamenti.
D. – Queste proteste possono essere viste come una sorta di richiesta di "laicizzazione" dei Paesi che sono, per lo più, a maggioranza musulmana?
R. – Implicitamente sì, perché mentre nei decenni passati l’opposizione era monopolizzata da movimenti di tipo islamico radicale, oggi abbiamo visto – soprattutto in Tunisia e in Egitto – manifestazioni invece prive di slogan islamisti. Direi che si tratta di una classe media che cerca di avere voce in capitolo in sistemi che sono ancora divisi tra ricchissimi e poverissimi.
D. – Il Bahrein è uno di quei "paradisi" economici della Penisola arabica, dove il tenore di vita è elevato per tutte le classi sociali: evidentemente, però, viste le motivazioni di queste proteste, così non è...
R. – Non sono tanto i poveri che stanno alzano la voce in questo momento... Sono piuttosto coloro che vorrebbero partecipare di più: quelli che usano Twitter, Facebook o i telefonini. Questo significa che non si trovano in una situazione di indigenza assoluta, ma che si sentono in qualche modo esclusi e non sono soprattutto più disposti ad accettare questa situazione.
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