lunedì, febbraio 14, 2011
Del nostro collaboratore Bartolo Salone

Nel dettare la disciplina giuridica delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, la legge 40/2004 ha posto dei vincoli ben precisi a tutela e del nascituro e della funzione familiare, essendo ovviamente intollerabile che i bambini nati grazie a queste tecniche godano di minori garanzie e diritti rispetto ai bimbi nati in modo naturale. In un settore come quello della procreazione artificiale, in cui a sofferenze personali legate a problemi di infertilità e di sterilità si mischiano ingenti interessi economici (le cliniche e i medici che assicurano tali pratiche non sono certo dei benefattori dediti ad attività di volontariato), ritenere che la soluzione migliore sia rimettere tutto all’autonomia privata e all’alleanza medico-paziente significa non conoscere affatto l’animo umano, che non sempre (specialmente quando ci sono di mezzo i quattrini) si lascia guidare da alte idealità. Dunque, le regole ci vogliono, a tutela sia delle coppie che si rivolgono ai centri per la procreazione assistita sia, a maggior ragione, dei bambini per tale via concepiti, i quali si trovano costretti a subire passivamente le scelte che gli adulti assumono per loro. Scelte che, proprio per questa ragione, dovrebbero essere ispirate ad un criterio di responsabilità.

Il dato inquietante dell’intero dibattito che ai nostri giorni si va sviluppando attorno alle tematiche riproduttive è la calante attenzione prestata ai diritti dei più piccoli a fronte di una sopravvalutazione eccessiva delle esigenze degli adulti. Dietro a tutto questo sta una visione “malata” della genitorialità, sempre più intesa quale diritto assoluto (di cui i bambini costituiscono mero “soggetto passivo”) piuttosto che una missione di servizio e di amore in favore di nuove persone che si affacciano alla vita.

Da questo punto di vista, il dibattito sulla fecondazione artificiale eterologa (per intenderci, quella realizzata attraverso l’utilizzo di gameti provenienti da un donatore esterno alla coppia) non fa eccezione. Negli ultimi mesi ben tre Tribunali italiani (Catania, Firenze e pochi giorni fa anche Milano) hanno dubitato della legittimità costituzionale della norma che nel nostro Paese vieta la procreazione medicalmente assistita “eterologa” (ossia dell’art. 4, co. 3 della legge 40/2004), rimettendo gli atti alla Consulta per una pronuncia di incostituzionalità. La citata disposizione legislativa, stando ai giudici remittenti, violerebbe, infatti, il principio di eguaglianza, escludendo irragionevolmente dalle tecniche di fecondazione artificiale le coppie totalmente sterili, per le quali una fecondazione di tipo “omologo” non sarebbe sufficiente a consentire la realizzazione del fine procreativo e, con esso, il soddisfacimento del “fondamentale diritto alla piena realizzazione della vita privata familiare”. Nessun accenno, come si può vedere, agli interessi e ai diritti fondamentali dei più piccoli, considerati alla stregua di semplice mezzo funzionale alla realizzazione del preteso diritto degli adulti ad una “piena” e appagante vita familiare.

Eppure, se si riflettesse sul fatto che la famiglia e, ancor prima, la genitorialità sono funzionali al benessere dei figli, dovrebbe essere chiaro che la priorità, in sede di definizione legislativa (oltre che evidentemente di scelte personali), andrebbe data ai diritti di questi ultimi. Quest’ottica “funzionalistica” della maternità e della paternità (ottica che oggigiorno si cerca in tutti i modi di ribaltare), a ben vedere, è quella accolta dalla nostra Costituzione, allorché all’art. 30 esordisce affermando che è “dovere”, prima ancora che “diritto”, “mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. Ciò significa anche che è diritto dei figli essere educati in via prioritaria dai propri genitori naturali, salvo la possibilità per la legge di prevedere soluzioni “alternative” in caso di “incapacità” di questi ultimi ad assolvere i loro compiti (art. 30, comma 2 Cost.). L’affidamento ad istituti o a terzi e la stessa adozione sono quindi strumenti cui rivolgersi in via del tutto sussidiaria per supplire all’incapacità dei genitori ad allevare la prole. Con la fecondazione eterologa, di fatto, questo precetto costituzionale viene aggirato, poiché da un lato si permette al genitore biologico (che dona i suoi ovuli o i suoi spermatozoi, mantenendo l’anonimato) di sfuggire alle sue responsabilità di padre o di madre, pur in assenza di comprovate ragioni di incapacità ad assolvere i suoi doveri, e dall’altro si lede il fondamentale diritto del bambino ad intessere legami parentali ed affettivi con entrambi i suoi genitori. L’anonimato del genitore-donatore frustrerebbe infine il diritto del figlio a ricostituire, in età adulta, il legame con le sue origini “parentali”, diritto che, a prescindere dalle idee che ognuno possa avere al riguardo, è riconosciuto dalla nostra Costituzione, che, al terzo comma dell’art. 30, affida alla legge il compito di dettare “le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.

Il ricorso a donatori esterni finisce inoltre con l’introdurre, all’interno della coppia, un elemento di estraneità che rischia di destabilizzare il rapporto: con l’eterologa, infatti, i due partner non si trovano più impegnati nel processo riproduttivo in una posizione di parità, poiché uno è genitore in senso “pieno”, biologico, affettivo e legale, mentre l’altro, per forza di cose, si riduce ad essere un mero genitore adottivo, col rischio di venir considerato un semplice “compagno” (o, a seconda dei casi, una semplice “compagna”) della madre (o del padre). Quest’elemento di estraneità, con la conseguente disparità nelle relazioni genitoriali che ne deriva, potrebbe essere fonte di instabilità e costituire un fattore di crisi del rapporto di coppia. In fondo, è questa la ragione per cui, tra i doveri dei coniugi, il Codice civile richiama quello della reciproca fedeltà, giacché riconosce che l’inserimento di un terzo soggetto nel rapporto di coppia nuoce alla solidità della stessa e, correlativamente, alla stabilità della famiglia.

Il ricorso alla fecondazione artificiale eterologa rappresenta, quindi, un atto di grave irresponsabilità che, nell’interesse dei figli e della società, il legislatore ha fatto bene a proibire. Si spera adesso che la Corte costituzionale, cui spetta l’ultima parola al riguardo, manifesti la medesima saggezza e sensibilità.

Sono presenti 5 commenti

Anonimo ha detto...

A me pare che viviate proprio sulle nuvole e fuori dalla realtà della vita di ogni giorno!!!Vi siete mai chiesti come ci si possa sentire a 36 anni sapendo di non potere mai avere figli naturali?Probabilmente no!!!Perchè queste cose succedono sempre agli altri...Mi piacerebbe vedervi in questa situazione...Allora si che forse ragionereste diversamente!!!

Anonimo ha detto...

Io penso che chi non ha vissuto sulla sua pelle l'esperienza di non poter avere figli in modo "naturale", dovrebbe solo stare zitto e non scrivere le fesserie che ho letto sopra.
Parlo da mamma che ha dato alla luce due splendide gemelle con la fecondazione artificiale eterologa,e posso assicurare a tutti che il rapporto con mio marito non è di certo cambiato, ripeto x tutti marito, non compagno ,che tale viene definito nell'articolo sopra, in quanto non ha partecipato alla generazione della nostra prole............
Per me siete impazziti oltre che ignoranti, si ignoranti, perchè ignorate totalmente quello che è il percorso spirituale e psicologico con il quale le coppie che hanno questi problemi, si preparano a fare un'inseminazione artificiale eterologa.
Siete veramente fuori strada, non capite nulla di quello che vuol dire essere genitori.

fabietto ha detto...

Scusate ma questi commenti mi sembrano a dir poco esagerati. Capisco la vostra esperienza personale e il diritto a non essere d'accordo, ma l'autore nel suo articolo non ha offeso nessuno e ha solo espresso il suo parere, corredato fra l'altro da leggi dello Stato Italiano e da documenti della Chiesa.
Quindi va bene esprimere il vostro dissenso, ma io eviterei toni così accesi e offensivi.
Grazie

Anonimo ha detto...

Gentile Signor Salone, trovo fuorviante l'approccio del suo articolo, oltre che offensivo nei confronti delle famiglie adottive.
Concordo con lei che oggi ci si concentri molto sui diritti dei genitori e - a volte - non nello stesso modo dei diritti dei bambini, ma questo è tema che riguarda le situzioni in cui un bambino c'è già e si trova in una situazione di difficoltà.
A questo proposito le chiedo nel futuro di fare attenzione a espressioni come "incapacità genitoriale", perché sono molte e diverse le situazioni di difficoltà che alcuni genitori possono incontrare e molto pochi gli aiuti che ricevono per superarle.
Detto questo, trovo gravissima la sua posizione relativa a presunti "genitori biologici" e "genitori adottivi" in caso di fecondazione eterologa. In primo luogo per il modo con cui si riferisce all'adozione definita "mera": davvero lei crede che i genitori adottivi siano genitori di serie B? I genitori adottivi sono a tutti gli effetti genitori del bambino che hanno accolto, se si occuperanno della sua educazione, del suo mantenimento e se soprattutto lo aiuteranno a superare il trauma dell'abbandono che il più delle volte questi bambini hanno subito.
In secondo luogo trovo completamente fuori luogo associare l'adozione alla fecondazione eterologa. C'è un'enorme differenza nell'accogliere un bambino con la sua storia, che spesso ha conosciuto uno o entrambi i propri genitori, e scegliere di utilizzare lo sperma o gli ovociti di un donatore totalmente consapevole del proprio gesto. Il donatore non è il genitore di quei bambini, e lo sa molto bene anche lei. Il genitore è colui che accudisce il proprio figlio. Altrimenti dovremmo definire genitori anche i violentatori che - grazie al proprio seme - fanno nascere bambini che non conosceranno mai. E sono certa che lei non li chiamerebbe "genitori".
La scelta di una fecondazione eterologa nasce dal desiderio della coppia di sperimentarsi come genitori all'interno della propria famiglia e della società intera. Un gesto egoistico? Certo, come egoistica è sempre la scelta di procreare per dare amore ai propri figli. E' naturale che, una volta nati i figli, i genitori si occupino di loro e si sacrifichino anche per loro. Ma questo vale sempre, sia che il bambino sia stato concepito "naturalmente", sia che ci sia stata una fecondazione eterologa, sia che venga adottato. L'importante è che non ci sia egoismo nel rapporto col bambino già nato. E' tutta qui la differenza. Al proprio figlio bisogna dare il massimo. A prescindere da dove sia arrivato.

Anonimo ha detto...

Bartolo Salore, autore dell'articolo, risponde:
"Sono perfettamente consapevole delle sofferenze e delle difficoltà che spingono una coppia con problemi di sterilità a ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, compresa quella eterologa. Proprio per questo mi sono riservato dall'esprimere giudizi moralistici sulle persone, che in questo contesto sarebbero risultati poco gradevoli. D'altro canto, però, non ho potuto fare a meno di esprimere delle critiche sulle tecniche in sé. Una cosa è infatti il rispetto dovuto alle persone (che penso di aver mantenuto) e un'altra il giudizio sulle scelte personali, che, quando sono sbagliate, possono, anzi devono essere criticate. Una distinzione, questa, che in alcuni commenti ricevuti non ho ritrovato, visto che mi si insulta tranquillamente de visu.
L'ultimo commento è il più interessante, anzitutto perché il solo in tono "urbano" e poi perché il solo che cerca di articolare un ragionamento. Il che impone a me di articolare a mia volta una risposta. Anzitutto, sarebbe equivocare il mio ragionamento desumere da quanto scritto l'intenzione di "dequalificare" la genitorialità d'adozione, come se ritenessi i genitori adottivi dei genitori di serie B. Anzi, i genitori adottivi meritano rispetto molto più di molti genitori naturali che fanno figli per abbandonarli o sapendo di non potersene poi prendere cura. Ma - mi chiedo - non è proprio questo quello che fanno i donatori di gameti? Come possono in cuor loro essere sereni sapendo di avere figli e figlie sparsi per il mondo? E' giusto creare situazioni del genere per consentire ad altre persone di avere figli?
Mi dispiace, ma non posso accettare l'idea che sia importante solo avere figli, a prescindere da dove arrivino! Questo concetto contrasta col principio di maternità e paternità responsabile (stranamente evocato solo quando si tratta di giustificare il ricorso all'aborto, ma qui si aprirebbe un altro tormentato capitolo). Nel mio articolo ho evitato di usare l'espressione "gesto egoistico" con riguardo alla scelta di chi ricorre alle tecniche di fecondazione artificiale per diventare genitore. Il desiderio di accogliere ed amare una nuova vita non è di per sé egoistico. Ma non può essere considerato lecito ogni mezzo diretto a questo scopo, a meno che non vogliamo avallare una concezione utilitaristica (altri direbbe machiavellica), per la quale "il fine giustifica i mezzi".Infatti, anche quando il fine è buono, un'azione non può dirsi moralmente lecita se anche il mezzo utilizzato non è di per sé buono. E sulla bontà dell'eterologa c'è molto da dubitare, pur consapevole del fatto che le persone che vi ricorrono saranno degli ottimi genitori, anche più di tanti altri".

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