mercoledì, febbraio 09, 2011
Prossimamente su queste reti, ma non è un bell’appuntamento. L’eutanasia per spot va in onda da oggi, anime belle astenersi please. 

di Emanuela Vinai
Piùvoce - Il video, originariamente prodotto per l’Australia dall’Associazione Exit, è stato riproposto, dopo adeguato e suadente doppiaggio, dall’Associazione Luca Coscioni e dai Radicali. Bloccato dalle autorità per le comunicazioni australiane che ne hanno vietato la messa in onda, è stato presentato dapprima su Telelombardia con la partecipazione di Mina Welby e ha successivamente goduto di una capillare diffusione via web. Da stamane anche una tv locale toscana, RTV38, inizierà a trasmetterlo più volte nel corso della programmazione ordinaria.
Fin qui la cronaca, ma alcune considerazioni si ostinano a bussare con insistenza. Siamo sicuri che uno spot sia il mezzo migliore per parlare di eutanasia? E poi, questa pacata ma costante enfasi sulla “scelta”, come se fosse la stessa cosa scegliere un’auto nuova o la propria morte. I fautori, si è letto, parlano di una scelta “che è non di una morte `buona` o `dolce`, ma di una morte `opportuna`, quando si sente che le condizioni di vita non sono più sostenibili”. In che senso non sostenibili? Chi è il pubblico cui ci si rivolge? Domanda non banale, perché, di fatto, i più grandi fruitori passivi (e massivi) di televisione sono categorie ben definite: gli anziani, spesso soli e fragili per gli anni e i disagi e i ragazzi, lasciati davanti a una baby sitter poco costosa e molto invasiva. Per quaranta secondi, più volte al giorno, si sentiranno ripetere che tutto si può scegliere, quindi perché anche non di morire? In un momento in cui la questione educativa si pone con tutta l’urgenza e la forza di una necessità sociale e antropologica, gettare nel calderone confuso dei diritti rivendicati la spettacolarizzazione dell’eutanasia dovrebbe suscitare un po’ di più di quel famoso “fremito d’indignazione” che percorre a fasi alterne ogni avvenimento gettato nell’arena pubblica. Forse sarebbe utile parlare di bullismo culturale, premeditato, e svelarne la palese strumentalità. Oppure possiamo chiedere ai radicali di fare appello al loro senso di responsabilità nei confronti dei più giovani? Un’ultima considerazione. Il dibattito è senz’altro utile in democrazia, ma il dibattito, in quanto tale, è caratterizzato da una pluralità di voci che si confrontano su valori e convinzioni. Quando la voce è una sola, trattasi di monologo. Genere bello, teatrale, dalla grande forza espressiva, destinato però a coinvolgere e a convincere senza altro contraltare. Così è la pubblicità, per sua natura e scopo principale, e in questo caso, citando Avvenire, decisamente “mortale”. Emanuela Vinai

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