martedì, marzo 08, 2011
Studi innovativi e avanzati di geoarcheologia ambientale eseguiti negli ultimi 18 anni presso l’Università di Napoli Federico II, analizzando i grandi dissesti recenti e analizzando gli archivi naturali integrati, hanno evidenziato che la superficie del suolo della fascia costiera dell’Area Mediterranea negli ultimi 2000 anni è stata interessata e modificata ciclicamente da differenti condizioni climatiche. Ciò comporta fenomeni atmosferici che mettono a rischio la sicurezza e la vita di molti cittadini. È possibile fare qualcosa?
di Franco Ortolani

Vis - I dati disponibili consentono di evidenziare le relazioni esistenti tra cambiamento del clima ed equilibri geomorfologici della superficie del suolo anche negli ultimi 150 anni durante. Oggi osserviamo che l’incremento dello spessore del suolo sui versanti ripidi incombenti su aree urbane sta sensibilmente aggravando il rischio idrogeologico connesso a frane rapide tipo colate di fango e detriti. Le modificazioni geoambientali connesse al cambiamento climatico globale stanno progressivamente evidenziandosi dal momento che l’antropizzazione sempre più aggressiva ha determinato una diffusa occupazione del suolo anche in aree esposte a vari tipi di pericoli idrogeologici. Eventi catastrofici simili a quelli che stanno avvenendo in questi mesi hanno sempre caratterizzato i periodi di transizione climatica degli ultimi 2500 anni. Gli incendi estivi contribuiscono a determinare le premesse per crisi idrogeologiche «vaganti» lungo versanti incombenti su aree urbanizzate.

In Italia si registra l’inizio della mediterraneizzazione del clima della parte settentrionale della Pianura Padana e delle Alpi. Tale modificazione idrologica sommata alla diminuzione dell’alimentazione nevosa dei ghiacciai, determina una marcata diminuzione dei deflussi superficiali estivi con conseguenti magre dei fiumi principali del bacino del fiume Po che già da alcuni anni sta provocando seri problemi alle attività agricole della Pianura Padana. La diminuzione degli afflussi idrici nelle falde delle pianure favorisce anche l’ingressione sotterranea dell’acqua salata lungo le fasce costiere.

L’evoluzione dell’attività solare e ambientale, dal 1730 circa ad oggi, sta avvenendo quasi nello stesso modo con il quale si sviluppò 1000 anni fa nel Medioevo e sta determinando un progressivo spostamento verso nord delle fasce climatiche dell’emisfero settentrionale. Infatti è da circa 280 anni che il sole è caratterizzato da attività crescente, con solo il minimo di Dalton all’inizio del XIX secolo (circa 30 anni). Tra il 2015 e 2020, secondo la ciclica attività solare millenaria, dovrebbe iniziare il primo minimo del 3° millennio che corrisponderebbe al minimo di Oort che mille anni fa determinò una serie di catastrofi idrogeologiche tra il 1020 e 1050 circa. Ciò significa che dal 2004-2005 l’attività solare è iniziata a diminuire e le precipitazioni piovose hanno avuto una improvvisa recrudescenza con differenti modalità su tutto il territorio nazionale.

Il cambiamento climatico è una realtà, come ben evidenziato dalle modificazioni idrologiche, di temperatura e dalla dinamica geomorfologica. L’attuale periodo di cambiamento climatico si sta instaurando secondo la naturale ciclicità millenaria e si sta sovrapponendo ad un crescente inquinamento antropogenico dell’atmosfera. Il cambiamento climatico, quindi si svilupperà naturalmente, in relazione all’attività solare, come accaduto 1000 anni fa. L’ambiente sarà interessato da modificazioni rapide, diversificate in relazione alle attuali condizioni climatiche connesse alla latitudine. Indipendentemente dalle attività umane, le popolazioni dovranno, comunque, adattarsi alle nuove condizioni climatico-ambientali che diventeranno sempre più significativamente differenti rispetto a quelle delle ultime decine di anni durante i quali l’urbanizzazione e antropizzazione ha determinato una diffusa occupazione del territorio, mai avuta prima. Man mano che l’urbanizzazione si diffondeva andava diminuendo la difesa istituzionale dell’ambiente per cui gli eventi idrologici degli ultimi anni stanno colpendo sempre più drammaticamente la sicurezza dei cittadini e l’assetto socio-economico di vaste aree, dal nord al sud dell’Italia.
Vanno attuate azioni tese a mitigare l’inquinamento atmosferico e ambientale in generale, essendo coscienti che il cambiamento climatico-ambientale non può essere al momento contrastato.

Sagge azioni devono essere individuate e attuate per mitigare i danni all’ambiente antropizzato. La limitazione scientifica in cui si sviluppa il dibattito e la conseguente inadeguatezza delle azioni internazionali continua a determinare un sostanziale ritardo nell’assumere responsabili azioni tese a «preparare» l’ambiente (es. eliminazione degli sprechi idrici, depurazione e riutilizzazione delle acque di scarico, accumulo in bacini grandi e piccoli delle acque di ruscellamento, restauro geoambientale dei litorali, ecc.) in modo da attenuare i «danni ambientali» prevedibili per il prossimo futuro quando, specialmente nell’Italia centromeridionale, si accentuerà gravemente la diminuzione delle precipitazioni idriche e la conseguente disponibilità di acque dolci su cui si basano gran parte delle attività socioeconomiche nazionali. Occorre prepararsi al cambiamento climatico con efficaci programmi tesi alla mitigazione degli effetti di tale variazione. Le gravi modificazioni ambientali che si prevedono per i prossimi 100 anni provocheranno conflitti sociali regionali e interregionali in relazione agli usi delle acque per cui vanno avviate responsabili azioni, tese a prevenire e ridurre i danni.

Nei prossimi anni, comunque, avremo a che fare con le condizioni climatico-ambientali connesse al primo minimo solare del terzo millennio e con gli eventi piovosi molto intensi (da circa 100 ad oltre 300 mm) della durata di alcune ore, localizzati in aree di dimensioni variabili da circa 50 a circa 70-80 chilometri quadrati (vale a dire, tecnicamente, variabili da circa 7X7 a circa 9X9 chilometri). Considerando che l’attuale periodo è caratterizzato da un territorio molto antropizzato e urbanizzato dove le aree urbane (piccole e grandi) hanno una estensione areale mai raggiunta prima con la massima concentrazione di abitanti, di attività economiche e produttive, di beni culturali in aree ristrette, gli eventi si sono rivelati catastrofici causando centinaia di vittime e danni notevoli alle infrastrutture e alle abitazioni. Si tratta di fenomeni meteo chiamati «cumulo nembi». Come è noto nella letteratura, sono perturbazioni che si innescano ed evolvono rapidamente localmente quando si verificano particolari condizioni atmosferiche; richiedono una particolare morfologia della superficie terrestre ed è noto che non si possono prevedere. Mentre le perturbazioni meteo che interessano vaste aree sono fenomeni prevedibili e tracciabili grazie a vari modelli matematici, per i cumulo nembi non sono ancora state eseguite ricerche che abbiano consentito di individuare le caratteristiche fisiche, i periodi e le condizioni meteo locali nell’ambito di quelle di area più vasta che condizionano il loro innesco. I cumuli nembi possono provocare precipitazioni di 100 mm all’ora solo in un’area di alcune decine di chilometri quadrati; quando la perturbazione si sposta provoca sulla superficie del suolo una scia di acqua.

Quando il cumulo nembo incontra un ostacolo come un rilievo montuoso può fermarsi; se la sua alimentazione persiste, può accadere che in poche ore la superficie del suolo venga inondata da alcune centinaia di millimetri di pioggia. Questo fenomeno si è verificato nei mesi scorsi nei dintorni di Genova, il 1 ottobre 2009 nel messinese, nell’aprile 2006 e il 10 novembre 2009 ad Ischia, tra il 5 e 6 maggio 1998 nel sarnese, il 19 giugno 1996 nella Garfagnana, tra il 24 e 25 ottobre 1954 nel salernitano. Le vittime sono state diverse centinaia. La domanda che ci poniamo è la seguente: come mai la ricerca è così indietro? I periodi preferiti da questi meteo-serial-killers sembrano essere i mesi primaverili e quelli autunnali; le condizioni geografiche e morfologiche sono agevolmente individuabili e i dati storici disponibili attendono solo di essere analizzati ed elaborati. È mai possibile che all’inizio del terzo millennio non si possa fare niente per la prevenzione? Dopo il disastro del messinese evidenziammo che, con l’attuale sistema di monitoraggio delle precipitazioni, non si è in grado di capire in tempo reale se un cumulo nembo stia investendo una parte della superficie del suolo. Solo dopo il disastro lo sapremo, troppo tardi. Abbiamo visto che la superficie del suolo potenzialmente interessata da alcune centinaia di mm di pioggia in alcune ore è di diverse decine di chilometri quadrati; all’esterno la pioggia ha valori nettamente inferiori.

Ad esempio l’area devastata il 1 ottobre nel messinese è di circa 7X7 chilometri. Nessun pluviometro era installato in tale area dove si verificarono centinaia di colate di fango che causarono circa 40 vittime in alcune ore (prevalentemente tra le 20 e le 23). Alcuni dati significativi evidenziano che l’intensità della pioggia del cumulo nembo è nettamente superiore a quella delle piogge «normali» e che pluviometri e moderni sensori meteo ubicati sul territorio con una maglia stretta e collegati in rete sono in grado di individuare e delimitare in tempo reale l’area investita dal meteo-serial-killer. Gli effetti al suolo dipendono dalla morfologia e geologia dei versanti, dalla morfologia dei bacini idrografici. Una cosa è certa: prima che tali effetti (frane, colate di fango e colate detritiche, piene, esondazioni ecc.) inizino a manifestarsi, occorrono alcune decine di minuti di «preparazione». La prevenzione dei danni alle persone, almeno, può contare su circa 30-60 minuti di tempo, in relazione alle caratteristiche fisiche locali. Che si può fare in questo tempo ridotto? Attivare dei piani di protezione dei cittadini accuratamente preparati e sperimentati in precedenza. Rapidi studi e rilievi multidisciplinari eseguiti da persone preparate che operano con competenza sui territori urbani e dotati di infrastrutture di importanza strategica nazionale, regionale e locale consentono di individuare le aree e i punti che possono essere interessati da eventi catastrofici come le colate di fango e detriti o da esondazione. Si può delimitare la parte di territorio «sicuro» e il tipo di difesa da attivare in relazione alle caratteristiche morfologiche e urbane locali.

Questo articolo di Volontariato Oggi ha fra i suoi obiettivi quello di avvertire i cittadini che si può attivare subito una difesa, almeno, della vita umana considerando che le persone potenzialmente esposte agli effetti devastanti delle frane rapide e catastrofiche sono milioni distribuiti sul territorio nazionale e che è impossibile mettere in sicurezza il territorio che è stato oggetto di diffusa e impropria, secondo le leggi della natura, occupazione. È ora che i cittadini si «sveglino» e pretendano una valida protezione ambientale e delle loro vite prima che si verifichino i disastri. Dopo le catastrofi essi diventerebbero «ostaggi» di una nuova «struttura speciale» prevalentemente finalizzata a spendere agevolmente il denaro pubblico; si ricordi che nel sarnese dopo circa 150 vittime e a 12 anni dal disastro e centinaia di milioni di euro spesi nessun centro abitato è stato dichiarato «messo in sicurezza».

* Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio Università Federico II di Napoli

Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa