Ci sono vari modi per parlare di felicità, uno di questi è quello scelto da Xavier Quinzà Lleò, gesuita spagnolo, nel suo libro “Le porte della felicità – le Beatitudini: benedizione di chi sa scegliere” edito da Edizioni Paoline
In queste pagine l’autore ci conduce attraverso le otto Beatitudini in un modo nuovo, riordinandole cioè secondo il percorso di vita di Gesù e non piuttosto seguendo la narrazione del Vangelo. Ciò perché colui che ha incarnato pienamente le Beatitudini nella loro essenza è proprio Cristo: “Egli è il cammino certo che ci apre il sentiero stretto della felicità evangelica. È lui che ci mostra il nuovo volto dell’essere umano, libero e donato, che è icona della triplice tenerezza di Dio”. Perché si tratta di cammino, del percorso della sequela. In questo procedere ci troviamo, come i discepoli, di fronte ad alcune tappe rappresentate qui come il passaggio per la ‘porta stretta’, e cioè le Beatitudini.
Attraversare le otto ‘porte strette’ che rappresentano la sequela e ci conducono al Regno di Dio altro non è che avvicinarsi passo dopo passo al raggiungimento della felicità. E non si tratta di una felicità futura: “Gesù dice: ‘Siate felici, voi poveri, voi che avete fame e sete di giustizia, voi che desiderate e lottate per la pace. E lo siete già, in questo momento, perché il regno di Dio vi appartiene.’ È l’unica ragione della pienezza di gioia che viene affermata: Dio la regala ai suoi e non bisogna adempiere ad alcuna legge per ottenerla.”
Come in ogni cammino, la difficoltà primaria consiste nel partire. Non solo, ma è necessario anche conoscere la meta, capire cosa si intende per felicità e come cercarla. Xavier Quinzà Lleò ci indica una strada: “La fragilità è la porta che ci viene aperta, la soglia che dobbiamo attraversare per essere felici, perché se non lo facciamo continuiamo a sognare, illudendoci, una vita inconsistente che si fonda su se stessa.” E una volta aperta questa porta dobbiamo avere la consapevolezza che “essere felici vuol dire non essere compulsivi, cercare di vivere nella gioia della sorpresa di ogni giorno, e prendere il piacere quotidiano che la vita ci offre. Ma per questo dovremo essere aperti e disponibili, perfino liberi dalle nostre aspettative eccessive.”
Ora, questa libertà di scelta, questa disponibilità ed apertura sottintende ad una consapevolezza di essere amati e benedetti e, perciò, “capaci di una ricchezza enorme racchiusa nel nostro cuore”. Ma a questo punto è altrettanto vero che “non esiste felicità possibile senza apertura all’altro e al suo mistero. (…) Senza rispettare il mistero dell’altro e senza comunicare con lui o con lei in profondità, non possiamo pretendere di essere felici o di rendere felici gli altri. Penetrare nel mistero dell’altro, senza però volerlo esaurire, accostarci alle acque miti della sua intimità senza intorbidirle, lasciarci sorprendere dal suo mistero… sono questi i requisiti della felicità.”
Ma se la felicità “è un transito, non un luogo in cui possiamo insediarci tranquillamente” va da sé che dobbiamo partire e metterci in cammino poiché “transitare per le vie della felicità implica, inevitabilmente, l’aver scoperto la porta o, meglio, le porte da cui entrare, perché ai viali della felicità non si accede da un solo punto, ma da diverse soglie e strade. (…) per ciascuno, e per ogni momento della vita, la chiave sta nel trovare la porta giusta per la felicità.”
Una volta mossi i primi passi e superata la difficoltà di partire, dobbiamo essere docili al cambiamento, alla conversione “Il primo movimento della conversione è una tensione d’amore, un ampliamento del cuore che alberga la fiducia di abbracciare colui che è origine e meta di tutto ciò che è buono. (…) Cambiare l’orientamento della vita è un processo nel quale entra in gioco tutta la persona, ma che ci travalica, che non si può elaborare se non dall’esperienza del dono di Dio.”
Siamo partiti, dunque, ci siamo messi in gioco nella tensione al cambiamento, ma dobbiamo stare attenti a che questo cambiamento sia una reale conversione, abbia cioè ad oggetto l’amore di Dio. Perché, come ricorda Quinzà Lleò: “E’ molto diverso amare con l’amore di Colui che ci ama per primo, dall’amare partendo da un’altra fonte. Quello che la tradizione cristiana della felicità ci presenta è un ‘amore diverso’, con un Dio diverso, sposo e compagno. Nei nuovi contesti quotidiani possiamo cogliere un invito ad aprirci alla tenerezza di Dio, padre e sposo per tutti, madre e amante, che ci porta impressi nel palmo della sua mano.”
Dopo queste premesse, l’autore ci conduce attraverso le ‘porte strette’ perché “si tratta di trovare la porta giusta per ciascuno, la più vicina alla nostra situazione personale o al nostro stile di vita secondo le circostanze in cui ci troviamo. Se scopriamo l’entrata giusta, il nostro cuore l’attraverserà e si lascerà rivestire della gioia della sua stessa fragilità per riconoscersi accettato incondizionatamente da Dio, e traboccherà di felicità rinnovata.”
Ecco dunque che ci imbattiamo nella porta dei poveri di spirito, coloro cioè che scelgono la povertà come stile di vita, come Cristo nato povero. Si tratta di una povertà non solo materiale ma di un distacco dalle cose terrene per fare posto alle ‘cose di Dio’.
L’ingiustizia e l’oppressione non possono lasciare indifferenti nessuno di noi, perciò la sete di giustizia come segno di fratellanza deve condurci a sentire sul nostro corpo le ferite inferte sul corpo dei fratelli: “Saper sopportare non significa essere accondiscendenti con i più intelligenti e influenti, che vogliono farci vedere le cose secondo i loro interessi, ma resistere alla pressione dei loro argomenti fallaci e difendere a ogni costo la causa dei poveri”.
Così come la compassione e la condivisione con i diseredati deve guidarci nel cammino: “Solo quelli che si commuovono otterranno, a loro volta, compassione”, oppure la ‘porta stretta’ dei miti, perché “la benedizione dei perseguitati e di coloro che vengono trattati ingiustamente è la serenità del silenzio. (…) Non il silenzio complice, che tace per evitare il colpo dell’avversario, ma il silenzio di chi, fedele alla verità della propria coscienza, non ha più parole che possano giustificare l’ingiustificabile.”
Riuscire ad oltrepassare una di queste ‘porte strette’ significa giungere alla meta: “Per questo sedersi alla mensa del regno di Dio e mangiare e bere insieme erano una promessa di riabilitazione e di vita. (…) Solo i puri di cuore saranno invitati alla visione di gloria che viene promessa loro, quelli che hanno lavato le loro vesti e si sono impregnati del desiderio ardente di donarsi fino all’ultimo alito di vita.”
Ora, se passare attraverso le porte di una delle Beatitudini - le benedizioni di Dio - è un percorso che inizia con la conversione del cuore, con un cambiamento quindi di vita, quale occasione migliore per intraprenderlo della Quaresima ormai alle porte, un cammino lungo 40 giorni? E se, come ci ricorda l’autore, “la benedizione dei poveri e degli umili è scoprire il tesoro di dignità e di stima racchiuso nei loro cuori. E nei nostri (…)” e se “sperimentare la benedizione è imparare a esplorare la nostra intimità e scoprire tra i ripiegamenti del cuore uno sguardo che ci accetta e ci fa dono”, allora possiamo far nostro l’augurio e l’incoraggiamento ad incamminarci nel percorso della nostra vita per cercare e raggiungere la felicità delle Benedizioni. “La vita regalata non è un tesoro che ereditiamo e che possiamo accumulare per servircene quando vogliamo, è uno zaino da pellegrino che ci accompagnerà e conterrà le modalità e le piste per essere felici.” (Xavier Quinzà Lleò)
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