giovedì, marzo 17, 2011
Il nostro Gennaro Iasevoli ci descrive come interviene lo psicologo mediatore oggi in Italia nelle controversie che accompagnano separazioni e divorzi

Lo psicologo mediatore opera ancora “in fase di attesa”, secondo le presenti norme di legge, per risolvere le controversie familiari che purtroppo accompagnano le separazioni ed il divorzio. Già da tempo in vari stati del mondo (per esempio negli USA e nei Paesi anglosassoni) esistono procedure extragiudiziali che, sia pure con sistemi diversi, servono a raggiungere lo scopo di accordare le parti in causa rispetto ad un contenzioso istauratosi tra di esse. Il paragone tra la gestione delle liti in Italia con quanto avviene negli USA e nei Paesi anglosassoni è alquanto difficile, perché da noi prevale il riferimento ai contenuti normativi dei codici, mentre nei paesi esteri sopracitati prevale il riferimento alle sentenze già emesse sui conflitti analoghi.

In Italia esiste per alcuni settori contrattuali la conciliazione e l’arbitrato, che hanno tra l’altro obiettivi di raffreddamento dei conflitti anche se con varie sfumature procedurali e sostanziali. Ma il dato più rilevante è la recente accelerazione registrata in Italia, verso tali procedure extragiudiziali di mediazione, determinata da una serie di norme legislative tra cui l’articolo 16-decies della Legge 26 febbraio 2011, n. 10, che proroga di dodici mesi il termine di cui all’articolo 24, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, limitatamente alle controversie in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti. Infatti chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio o di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, e' tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione ai sensi del suddetto decreto, ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179. Per tali controversie non si può ricorrere (improcedibilità) al giudice ordinario se appunto non sia stato attuato preliminarmente il procedimento di mediazione e ove il giudice ordinario rilevi che la mediazione non si stata esperita o non ancora conclusa ove già iniziata, assegna ai contendenti il termine di quindici giorni per il tale procedimento di mediazione. 

Mediare significa intervenire nel momento in cui la lite si è sviluppata in maniera preoccupante al punto da dare inizio ad una causa davanti al giudice ordinario, pertanto serve ad istaurare una procedura articolata in vari momenti formali: a) fase introduttiva, b) discussione comune tesa al recupero e mantenimento dell’equilibrio di potere perduto tra le parti e delle relazioni sui bisogni, interessi ed affari, c) momenti di discussione separata privata, d) fase della formalizzazione dell’accordo, ove possibile, esponendo costantemente i risultati al controllo da parte dei contendenti.

La mediazione è un processo volontario che già negli USA è risultata il metodo alternativo più adatto a risolvere anche le controversie commerciali tra aziende o tra consumatori e produttori, salvaguardando i buoni rapporti tra i contendenti ed assicurando forti risparmi di tempo e denaro, evitando contemporaneamente scandali di dominio pubblico e cadute di immagine.

I soggetti che decidono di rivolgersi allo psicologo mediatore possono interrompere la proceduta unilateralmente in qualsiasi momento; essi sottoscrivono un contratto sulla riservatezza che obbliga tutti i partecipanti (compreso il mediatore ed i legali) a non divulgare il contenuto delle discussioni e i documenti utilizzati, né ad utilizzarli come prova a favore o contro, ad eccezione del contratto di mediazione che può essere reso pubblico in caso di contestazione degli adempimenti in esso previsti. Lo psicologo in qualità di “terza persona” imparziale, ricorrendo alla metodologia del problem solving, aiuta i protagonisti di una disputa a mantenere aperta la negoziazione senza stancarsi fino a concluderla con una soluzione utile per entrambi.

Il mediatore psicologo professionista evita che la lite si aggravi maggiormente fino all’esplosione di un’agitazione comportamentale incontrollata che condiziona la discussione tra le parti, e permette a ciascuno di esprimere con calma i propri interessi e le proprie preoccupazioni in modo spontaneo, reale ed informale, utilizzando anche la presenza e l’apporto dei legali delle parti, durante le sedute separate o comuni.

Di fronte ad un conflitto opera con neutralità e imparzialità, non esprime giudizi, non suggerisce soluzioni, non dà torto o ragione ad alcuno, ma rende più facile la discussione tra le parti al fine di individuare e mettere meglio a fuoco i reciproci interessi, cercando di indirizzare i contendenti verso il raggiungimento di un accordo giusto vantaggioso, che rapidamente porti miglioramenti e che duri nel tempo. Lo psicologo svolge un ruolo di equilibrio tra due litiganti controllando il procedimento di negoziazione e partecipando all’accordo invece che alla vicenda personale. Non accetta le visioni unilaterali dei problemi e cerca di mettere in chiaro le informazioni sottaciute dalle parti.

Il mediatore col suo aiuto deve consentire alle parti un effettivo protagonismo nella ricerca della migliore soluzione e permettere ai legali di parte di dare al meglio il loro contributo tecnico-professionale durante la ricerca di soddisfacenti e talvolta innovative soluzioni. Lo psicologo mediatore, diversamente dall’arbitro, dispone di molta libertà operativa, e potendo scegliere modalità e tempi flessibili può liberamente usare, in base alla sua formazione professionale, le metodologie operative di comunicazione e negoziazione più disparate che ritiene opportune per realizzare una mediazione efficace e di aiuto ai contendenti, onde pervenire anche in tempi relativamente esigui ad una soddisfacente chiusura del conflitto.

Attualmente per quanto riguarda le liti familiari conseguenti le separazioni, il divorzio e l’affido condiviso dei figli, la mediazione dello psicologo mediatore fa emergere l’interesse comune di sminuire la conflittualità, attenuando l’ansia e la tensione, e permette agevolmente la formulazione di un piano di cura dei figli (tutela della salute, istruzione e fruizione dei diritti). La mediazione però avviene molto spesso ancora in sedi di enti privati, consultori e studi professionali, quindi si fonda su indicazioni scientifiche di ordini professionali, ma non è normata in dettaglio da leggi, che si prevede, ragionevolmente, non tarderanno a venire.

La composizione mediata psicologicamente delle liti post-divorzio evita ai figli i danni derivanti dalla compromissione della fantasia e delle motivazioni, che si verificano per la “perdita” di uno dei genitori allontanato.

I figli dei divorziati percorrono un piccolo calvario che inizia dalla presa di coscienza dell’allontanamento di un genitore dalla famiglia. Essi, se sono piccoli, possono contrarre la Parental Alienation Syndrome a causa di un “vissuto negativo” di un percorso costellato di delusioni, scompigli, timori e liti, che registra la massima intensità di sofferenze durante il periodo dell’età evolutiva. Dopo il 25° anno (circa) le sofferenze dei figli si attenuano, ma hanno comunque segnato il carattere con effetti duraturi sulle motivazioni individuali riguardanti il lavoro, la famiglia e la società.

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