del nostro corrispondente a Londra Renato Zilio
Al Royal Theatre di Londra c’era il pienone: in cartellone, l’Aida di Verdi. Dalla confortevole loggia dove mi trovavo, invitato da una famiglia inglese, potevo contemplare da vicino la loggia della famiglia reale, l’orchestra, i personaggi e una grandiosa visione del pubblico. Si poteva indovinare l’entusiasmo di questo pubblico inglese per la cultura italiana e per l’opera. Entusiasmo non di oggi. Già prima della nostra unità nazionale la Gran Bretagna supportava gli ideali del popolo italiano - la sua unità e la libertà dallo straniero - con una generosità lungimirante. Personaggi come Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele... lo toccavano con mano nelle loro visite o permanenze in terra inglese. Questo, infatti, è stata proprio il primo Paese che ha riconosciuto il nuovo Stato Italiano appena unificato, dopo averne seguito con entusiasmo l’epopea risorgimentale.
Oggi, nel campo italiano le iniziative di ricordo e di celebrazione sono le più varie. La sera del 17 marzo, nei saloni della Residenza dell’Ambasciatore d’Italia si svolgeva un ricevimento per tutte le case di moda italiane a Londra, “città vetrina del mondo”, dedicato ai prestigiosi marchi della moda nazionale che sanno rinnovare il fascino inimitabile dello stile italiano.
“Happy Birthday, Italia!” auguravano, invece, moltissimi ristoranti italiani qui come nel mondo per i suoi 150 anni. Iniziativa lanciata dall’associazione “Ciao, Italia” e rivelatasi occasione speciale per servire le eccellenze della nostra tradizione eno-gastronomica, insieme a un depliant informativo sui 150 anni dell’Unità. Era promuovere, così, la cucina del nostro Paese, coinvolgendo non solo i connazionali all’estero, ma tutti gli appassionati dell’Italia, e far loro conoscere la nostra storia. E la nostra avventura, pure.
Sì, un’avventura originale: quella di saper comporre l’unità di un popolo vario ed eterogeneo che abita la nostra penisola. Ma anche quell’avventura altrettanto importante che ha creato un’Italia differente e alternativa, frutto della nostra emigrazione: circa 60 milioni di persone di origine italiana sparsi nel mondo. Esistiamo, così, qui e altrove, in patria e fuori. Dimenticarlo sarebbe automutilarsi della propria storia e dei nostri pregi tanto valorizzati altrove o della coscienza delle proprie carenze rivelateci da un altro sguardo.
Sarà ricordare città come Genova, diventata la grande porta d'addio per molti dei 29 milioni di italiani che lasciavano la nostra terra tra l'Unità d'Italia e la Seconda Guerra Mondiale. A loro era rimasto un unico sogno: rifare la propria vita in America o altrove. In questo l'emigrazione fu veramente “un fenomeno di espulsione collettiva.” E l'Italia non ha mai saputo mostrare riconoscenza ai suoi cittadini emigrati, che nonostante tutto “continuarono ad amarla e promuoverne altrove il patrimonio di valori e di civiltà”. Con il passare del tempo, si sentivano sempre legatissimi alle origini italiane, custodendone la lingua, la cultura e le tradizioni. Un amore questo che, superando i regionalismi, non dimenticava le proprie radici.
Essere siciliano, calabrese, friulano... in altre società, in un contesto assolutamente nuovo per qualità e ritmo di vita, valori, cultura e lingua divenne per l’esistenza di un italiano un vero challenge. Un’apertura di mente e di cuore nuova e impensabile. Per questo – e così per ogni migrante - Giovanni Battista Scalabrini esclamava: “L’emigrante ha fatto sua patria il mondo!”
L’unità d’Italia è anche omaggio a questo popolo di uomini che hanno fatto del loro modo di vivere e di pensare una sintesi di mondi differenti. In fondo, hanno unito il mondo, lanciando nel mare aperto dell’umanità passerelle e ponti di collegamento. Hanno aperto il mondo abituale e familiare di chi hanno incontrato. Veri ambasciatori dell’italianità, i nostri emigranti sono stati grandi “tessitori” della nostra terra con altri popoli, un po’ come il Cavour dell’unità.
Il mondo inglese - che ha saputo rivestirsi della multiculturalità più di ogni altra nazione a causa del suo impero sui mari - ci ricorda che le nostre differenze possono essere un grande atout, un’occasione per esaltare le nostre potenzialità mettendole insieme. In fondo, è la cultura dell’unità, non quella della separazione o della chiusura, che prepara il futuro. Per cui i nostri 150 anni sono un piccolo, giovane anniversario per una nazione. Ma un grande segno di speranza per l’umanità.
Speciale Unità d'Italia:
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- Il 17 marzo festeggiamo tutti l’Unità d’Italia. Anche la Chiesa intende esprimere la convinta e responsabile partecipazione.
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