Falsificato il pizzino con il nome di De Gennaro
Liberainformazione - Dopo tanti anni non avrebbe certo pensato di trovarsi a dormire sotto lo stesso tetto con l’ingegner Lo Verde, ospiti entrambi non dei lussuosi alberghi cui erano abituati, ma delle ben più scomode patrie galere. Infatti Lo Verde, alias Bernardo Provenzano, primula rossa di Cosa Nostra per decenni, si trova anche lui nel carcere di Parma, lo stesso dove, da ieri pomeriggio, è recluso Massimo Ciancimino, arrestato in mattinata dagli uomini della Dia e della Questura di Parma, in un’area di servizio dell’Autosole, tra i caselli di Parma e di Fidenza. Il misterioso interlocutore del padre, il potente Don Vito Ciancimino, era uno dei pochi ad essere ricevuto nelle abitazioni palermitane e romane dell’ex sindaco di Palermo senza alcun preavviso. Ora, per ironia della sorte, i due si trovano nella stessa prigione, a pochi metri di distanza, senza ovviamente poter parlarsi. Eppure gli argomenti di discussione non mancherebbero: tra questi certamente la famigerata trattativa tra istituzioni e criminalità organizzata, di cui i due furono sicuri protagonisti, seppure in ruoli diversi.
Le accuse - Ieri la Procura di Palermo ha disposto il fermo per Ciancimino jr con le accuse di truffa e calunnia pluriaggravate: stando a quanto hanno accertato i pm Antonio Ingroia, Nino Di Matteo e Paolo Guido, uno dei documenti del padre prodotti ai magistrati da Ciancimino sarebbe stato ritoccato ad arte, con l’inserimento postumo del nome dell’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, attuale direttore del Dis (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza). Un’accusa pesante destinata a creare polemiche e distinguo fin da subito, cioè dal momento della consegna in procura a Palermo del documento da parte del figlio di Ciancimino; nel dicembre scorso, infatti, vi era stata l’iscrizione di quest’ultimo nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Caltanissetta, con l’ipotesi di calunnia nei riguardi di De Gennaro.
La prova portata a sostegno era finita subito sotto i riflettori con la disposizione di una serie di verifiche, atte a sancirne la veridicità e la provenienza, proprio in ragione dell’importanza degli eventuali riscontri positivi. In queste ultime ore, dopo il responso negativo da parte dei tecnici della polizia scientifica, è scattata la misura di prevenzione per Ciancimino. Nel provvedimento di fermo urgente, si legge di Ciancimino che «con dichiarazioni rese al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Palermo incolpava, sapendolo innocente, Giovanni De Gennaro, di avere, nella sua qualità di funzionario della polizia di Stato, intrattenuto costanti e numerosi rapporti illeciti con esponenti dell'associazione mafiosa Cosa nostra». Oltre all’accusa infamante per un funzionario di lungo corso come De Gennaro, protagonista della lotta alla mafia per decenni, di aver collaborato con il nemico, secondo il figlio di Don Vito, l’odierno direttore del Dis avrebbe offerte sponde istituzionali all’altro interlocutore misterioso di suo padre, quel “signor Franco”, uomo dei servizi segreti deviati, prodigo di consigli e aiuti anche nei suoi confronti. E a supporto delle sue affermazioni, consegnava anche il manoscritto contenente il nome del funzionario.
Il documento, che oggi apprendiamo essere stato falsificato, è una fotocopia dell’elenco delle personalità che sarebbero state informate e, addirittura, in qualche caso, parte attiva della trattativa tra Stato e mafia, per far cessare la stagione delle stragi. Le ultime perizie dimostrerebbero che il nome di De Gennaro sarebbe stato sì scritto dallo stesso don Vito, ma che sarebbe stato aggiunto in seguito al foglio consegnato, grazie ad un fotomontaggio. Il cognome De Gennaro sarebbe stato prelevato da un altro documento scritto da Ciancimino senior, ma in questo il De Gennaro di cui si parlava era in realtà Giuseppe Di Gennaro, magistrato, già consulente del ministero della Giustizia e per anni anche alle Nazioni Unite, con compiti di guida delle politiche di contrasto internazionale al narcotraffico. Il giallo nel giallo viene dal fatto che quest’ultimo documento, determinante nello stabilire la falsità del primo, è stato consegnato ai magistrati palermitani dallo stesso Ciancimino: un autogol di dubbia fattura o una trappola architettata da qualcuno che ha voluto strumentalizzare il figlio dell’ex sindaco di Palermo? Difficile da stabilire al momento.
E ora la trattativa?
Si legge nel provvedimento che l’elenco incriminato e oggetto di perizie, stando a quanto dichiarato da Ciancimino e «secondo quanto riferitogli dal padre, altro non era se non il cosiddetto “quarto livello”, e cioè quei funzionari dello Stato con cui con l'associazione mafiosa intratteneva stabili rapporti di complicità e connivenza». Nella lista, i ministri Restivo e Ruffini e poi tanti uomini dei vertici della polizia e dei servizi, da Parisi a Contrada, da Malpica a De Francesco. Un “quarto livello” di cui non si doveva parlare e temuto a tal punto da far tappare la bocca ai collaboratori di giustizia, poco propensi ad addentrarsi in questi discorsi per paura di essere smentiti o di finire peggio. Lo stesso Massimo Ciancimino ebbe a dichiarare a verbale che «il coinvolgimento di soggetti come il De Gennaro di cui mio padre aveva, diciamo, chiare idee e notizie certe, comporta per me una grande paura e una grande riserva».
È chiaro che l’inserimento di De Gennaro in tale elenco, su cui la verità è però ancora tutta da accertare e raggiungere in sede processuale, avrebbe comunque inquinato pesantemente l’immagine di uno dei funzionari di polizia più noti nel Paese e nel mondo per essere uno degli acerrimi nemici della mafia, fin dai tempi della collaborazione con Giovanni Falcone. Sapere quindi che si tratta di un falso, se da un lato può consolare, dall’altro apre molti interrogativi, non meno inquietanti.
Perché accusare una delle figure più apprezzate nel contrasto alle cosche e poi consegnare nelle mani dei magistrati le prove dell’avvenuta falsificazione proprio dei documenti che dovrebbero supportare le proprie dichiarazioni? Come conciliare questo passo falso con tutti gli altri elementi portati da Ciancimino jr ai giudici per dimostrare la centralità del ruolo del padre nella prima fase della trattativa, quella che accompagna le stragi del 1992, fino all’arresto dell’ex sindaco e di Riina?
L’intero esito dell’inchiesta fin qui condotta sulle dichiarazioni rese rischia di venire vanificato da questo scivolone imprevedibile. I magistrati hanno fin qui dimostrato di non voler basare il loro eventuale impianto accusatorio sulle semplici dichiarazioni di Ciancimino, ma è pur vero che ora diventa difficile separare le millanterie dalla realtà, la verità dalle falsificazioni. Il provvedimento cautelare di ieri si è reso necessario prima che Ciancimino e la famiglia, accompagnati dalla scorta assegnata al figlio dell’ex potente ras della DC palermitana, lasciassero il paese in occasione delle feste di Pasqua per recarsi in Costa Azzurra. La notizia, com’era prevedibile in questi casi, è giunta come un fulmine a ciel sereno, dopo tanti mesi di silenzio, durante i quali la collaborazione con le procure di Palermo e Caltanissetta sembrava procedere senza intoppi.
In queste ore i giudici di Palermo sono arrivati a Parma, dove si sta tenendo il primo interrogatorio dopo il fermo. Al gip di Parma, per competenza territoriale, spetterà invece la convalida della misura richiesta, in attesa di trasferire tutto ai colleghi siciliani. Prima che si chiudessero tutti i canali di comunicazione con l’esterno, Ciancimino ha dichiarato di sentirsi sereno ma allo stesso tempo di temere per il proprio futuro, dando ragione al padre circa la reale possibilità di battersi contro quello che ha definito «un sistema troppo grande». Un sistema che forse oggi segna un punto a suo favore se si presta ascolto a quanto un magistrato esperto di affari siciliani riferisce a Libera Informazione proprio in queste ore: «Il provvedimento di fermo è assolutamente ineccepibile ma forse giunge tardi perché le pozze d’acqua sono state ormai tutte inquinate».
L’idea cioè che si apra una nuova stagione dei veleni, in concomitanza della presente crisi istituzionale, non è certo una ipotesi peregrina. Si consiglia la navigazione a vista, per non perdersi nella palude prossima ventura..
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