giovedì, aprile 14, 2011
Il posto dei laici cattolici negli Orientamenti pastorali

Piùvoce - “Nel cantiere dell’educazione cristiana – come si legge negli Orientamenti pastorali Cei per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del Vangelo” – i fedeli di ogni età e condizione (attivi nelle tante aggregazioni ecclesiali) sperimentano la ricchezza di autentiche relazioni fraterne; si formano all’ascolto della Parola e al discernimento comunitario; maturano la capacità di testimoniare con efficacia il Vangelo nella società” (cf n.43). Ora per provare a comprendere quale possa essere “il posto dei laici cattolici”, bisogna intanto verificare quale sia “il posto del Vangelo” nella loro vita di credenti. Papa Giovanni Paolo II, con ferma lungimiranza sentenziava: “Non c’è soluzione alla questione sociale al di fuori del Vangelo” (in “Centesimus Annus”, 3).

È il Vangelo, da duemila anni, la migliore scuola di laicità possibile per l’umanità, perché nessuno più di Gesù ha insegnato agli uomini l’arte di vivere. Che ci si voglia assimilare al “cristianesimo dell’essere lievito” o al “cristianesimo dell’essere luce”, nessuno può sfuggire alla prova del Vangelo. Urge tornare al Vangelo o sarà Cristo a non avere più posto! Senza mezze misure, senza accomodamenti di senso e di prassi, senza vergogna di dirsi cristiani, in un tempo in cui nulla può più darsi per “implicitamente detto e fatto”.

All’impostura della fine del secondo millennio, “Dio è morto”, si è aggiunta quella a noi coeva, figlia di un tempo che ha deciso di vivere al di là del bene e del male: “l’uomo è destinato ad una solitudine sconfinata”. E i discepoli di Cristo, i figli della Chiesa, come esorcizzano queste infamie, perché l’emergenza educativa non divenga la sconfitta educativa di genitori, insegnanti, politici e preti che paiono sempre meno accomunati dalla passione per il Vangelo che tutti educa e rieduca all’amore? Il vero credente sa che tutto ciò che possiede, vive, soffre è realtà “penultima” rispetto al suo destino; sa che non potrà esserci “vita eterna” – finalmente buona, piena, felice – senza la gioia terrena di un discepolato evangelico. Serve più fiducia nell’azione dello Spirito Santo, Colui che “spira la fede nel Vangelo” e “ispira la testimonianza del Vangelo”.

Il Vangelo è passione, è sacrificio, è coerenza tra la fede che si professa e la vita che si conduce, “il cui distacco, sempre più evidente – già il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes – è da considerarsi uno dei più gravi errori del nostro tempo” (n. 43). Pertanto, è il Vangelo la migliore fonte possibile d’ispirazione politica, economica, sociale, familiare: una Via da percorrere, una Verità da annunciare, una Vita da vivere. È tutto qui il contenuto pratico della nostra laicità, del nostro essere laici in questo mondo. La cifra della nostra laicità è Cristo!

Il credente è il realista per eccellenza. Non si rifugia nostalgicamente nel passato, né invoca un futuro depressivo o repressivo. Il cristiano è colui che con S. Paolo ripete: “La realtà è Cristo” (Col 2, 17). La differenza la fa Cristo. Il dilemma è tutto qui. Se Cristo c’è o non c’è. Perché se Lui non c’è, allora anche noi siamo assenti, insignificanti, impotenti. O la nostra fede genera Cristo nella storia, o il nostro essere laici nel mondo profumerà di morte e non di vita, non basterà a salvare la nostra anima, figurarsi essere “pedagoghi” per altri . “Con Lui o contro di Lui” – diceva il Manzoni (in “Osservazioni sulla morale cattolica”) – perché essere senza di Lui, come molti pensano di fare in nome di una “laicità anonima”, è già essere “contro di Lui”. Urge un rinnovamento. Una seria, profonda stagione di rinnovamento, che abbia un segno distintivo di svolta, un’espressione autentica di fede in un gesto alla portata di tutti: riprendere il Vangelo tra le mani. “Rimetterlo nel petto”, come sentenziava don Luigi Sturzo.

È crisi educativa, in primis nelle famiglie, perché è in crisi la vita spirituale. Prima che di crisi economica, politica, morale, il nostro tempo è in deficit di vita spirituale. Dobbiamo tornare a parlare della siccità di valori dello Spirito che sta attraversando il cuore dell’uomo. A noi sta a cuore l’uomo, la vita dell’uomo. La desacralizzazione delle nostre società contemporanee è sinonimo di disumanizzazione della storia, perché senza Dio l’uomo diviene insignificante a se stesso; senza Dio l’uomo diventa un problema per se stesso, comincia a generare inferno. La nostra laicità parte dal reale, lo include, lo assume, aspira a trasfigurarlo. È una laicità aperta all’uomo perché già spalancata a Cristo. La nostra laicità è lo spazio creativo dell’amore, di un amore compassionevole per questo nostro mondo. Essere laici cattolici significa vivere una vita paradossale, essere uomini di sofferenza, che seppure segnati dalla condizione umana si sforzano di non deturpare la bellezza e di non attenuare la gioia che provengono dal Vangelo di Cristo.

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