venerdì, aprile 08, 2011
Il Prof. Giovanni Puglisi, Presidente Commissione Nazionale Italiana UNESCO, ci parla dell'opera di Domenico Alessandro De’ Rossi

Il tema della pena e della correlata detenzione è un tema scottante oggi come ieri: nel nostro Paese, in particolare, questo tema è uno di quelli che si chiamano “di risulta”, ovvero un tema che viene trattato a margine delle questioni giuridico-politiche più cogenti, che sono in genere collegate con l’amministrazione della Giustizia e con tutte le questioni ormai endemicamente connesse ad essa, tanto affliggenti l’opinione pubblica onesta e rispettabile per la loro petulanza pubblicistica, quanto ossessionanti ormai buona parte della politica e della sua classe dirigente nostrana. Il tema invece è uno di quelli centrali nella discussione etica e sociale di ogni tempo: tratta infatti il rapporto tra il delitto e la giusta pena; ogni reo deve scontare la sua condanna per riequilibrare il danno sociale provocato dal suo comportamento delittuoso, ma la società – sacrosanta creditrice nei suoi confronti – non può e non deve mai invertire le parti con il colpevole di reato trasformando la detenzione in ritorsione sociale. Purtroppo ormai sempre più spesso i diritti dei detenuti, persone umane come ciascuno di noi, che hanno sbagliato, ma che debbono essere messe in condizioni di recuperare, sono prima che violati, distrattamente ignorati.

Due esempi sono emblematici di questa condizione sempre più ricorrente, anche nella nostra cultura giudiziaria: il sovraffollamento delle carceri e la subordinazione del problema carcerario a quello della amministrazione della giustizia. Il più grave, paradossalmente, è il secondo: ridurre le pene o rendere la pena tanto incerta nella sua giusta applicazione, quanto aleatoria nella discrezionalità, spesso incontrollata, dei Giudici di Sorveglianza della sua estensione, costituisce, infatti, uno dei principali motivi di sfiducia nella Giustizia dell’opinione pubblica onesta. È necessario, infatti, per una Giustizia giusta, che la certezza della pena sia garantita, tanto quanto è indispensabile che il condannato abbia la certezza di potere usare il suo periodo di detenzione come un’opportunità per restituire in servizi e impegno civile e morale alla società, quanto le ha sottratto con il suo delitto. Cesare Beccaria nel suo celeberrimo Dei delitti e delle pene, ricordava come fosse proprio la certezza delle pena, insieme alla prontezza della sua erogazione, a costituire un deterrente nella emulazione criminale. La certezza della pena deve essere però accompagnata da una seria e severa azione di cura nella politica penitenziaria, che ogni Governo degno di un Paese democratico e civile deve portare avanti. Abbiamo combattuto e, purtroppo, continuiamo a combattere battaglie politiche e morali, in tutto il mondo, per affermare il diritto elementare al giusto processo e alla giusta detenzione, ci siamo scandalizzati per le violazioni che da Oriente a Occidente, dal Nord al Sud del mondo, quotidianamente registriamo per le violazioni dei diritti umani in tema di detenzione, abbiamo chiesto e ottenuto dal Presidente Obama la chiusura dello scandaloso carcere di Guantanamo, abbiamo protestato e continuiamo a protestare per le violazioni in Cina come in Africa subsahariana, in Cecenia come nel Kurdistan turco e irakeno, in Medio Oriente come nei Paesi del Nord Africa – anche in tempi recentissimi – e ciò nonostante la condizione carceraria italiana continua ad essere al limite massimo della sua accettabilità. La condanna, come la pena collegata, non azzera la dignità dell’Uomo, anzi ne nobilita eticamente le funzioni, richiamando tutti, proprio tutti al rispetto di quella dignità violata, che vuole, senza appello, essere ripristinata, a partire dal luogo nel quale deve essere ricercata, il carcere. L’opera curata con severa attenzione storica e critica da Domenico Alessandro De’ Rossi – che ha diretto un’equipe altrettanto degna di menzione come Luciano Bologna, Fabrizio Colcerasa e Stefania Renzulli – è un eccellente strumento di studio e di proposta in questa così delicata materia. Giustamente gli Autori parlano di “universo della detenzione” per esprimere la complessità e insieme la ricchezza tematica e politica, che questa materia pone e parimenti richiede. Si tratta di un’opera davvero completa, che dalla storia alle questioni di natura strutturale e architettonica, passando per una corretta disamina dei modelli di detenzione, anche a livello internazionale, ripropone una questione che nel nostro Paese deve assolutamente uscire dall’ordinarietà e talora dalla superficialità della sua trattazione e trovare uno spessore morale e una centralità politica, senza condizionamenti di qualsivoglia natura. Una politica del genere richiede visione, strategia e risorse finanziarie e umane: ardua impresa, direbbe qualcuno, soprattutto oggi! Il libro di De’Rossi offre il progetto, ambizioso ma possibile, c’è solo da sperare che incontri chi, sfogliandolo, sappia trovare il coraggio di trasformare una “semplice” idea in realtà. Sperarlo non è reato!

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