mercoledì, aprile 20, 2011
“Ali aveva forse 3 o 4 anni, non di più. Al nostro ospedale è arrivato accompagnato dal padre, aveva un foro sulla testa, era stato colpito da un cecchino nella zona di Tripoli street, uno dei due fronti lungo il quale si confrontano lealisti e ribelli. Il padre stava trasferendo la sua famiglia altrove, in un luogo più sicuro, ma Ali non ce l’ha fatta, è stato fermato da una mano invisibile che ha premuto un grilletto”.

Agenzia Misna - Raggiunto dalla MISNA a Misurata, Antonio Molinari, logista dell’organizzazione umanitaria Emergency, racconta uno dei tanti drammi di questa città divenuta simbolo del conflitto in corso in Libia. “Negli ultimi cinque giorni – dice ancora Molinari – come Ali sono ar rivati già morti altri quattro bambini, tutti colpiti con precisione da cecchini, tutti deliberatamente uccisi. E forse, rispetto ad altri paesi in cui siamo presenti, questo è l’aspetto nuovo e preoccupante: le vittime civili non sono soltanto accidentali, sono cercate, sono anche loro obiettivo di chi sta combattendo, così come non vengono risparmiate strutture prive di importanza militare ma fondamentali come l’ospedale centrale della città colpito dalle truppe di Gheddafi ed evacuato”.

Lavorando 24 ore su 24, nell’unica struttura funzionante in città per interventi chirurgici, il personale sanitario di Emergency (sei italiani e una greca) vive in prima linea gli effetti della guerra, con una media di 60/70 feriti (molti gravi) e 10/15 morti al giorno. “Negli ultimi giorni – prosegue l’interlocutore della MISNA – è aumentato il numero dei feriti da esplosione, con ferite multiple, e purtroppo abbiamo avuto conferma diretta dell’uso di bombe cluster, presumibilmente da parte delle truppe lealiste. Ci sono anche notizie di violenze ai danni di civili, di donne in particolare, ma non abbiamo elementi per poterle confermare. I combattimenti sono concentrati nel centro della città, lungo Tripoli street, e da tre giorni anche a sud-ovest, lì dove termina l’autostrada. Sono combattimenti continui, questa notte colpi d’arma da fuoco e bombardamenti sono andati avanti ininterrottamente, così come per tutta la notte abbiamo udito gli aerei della Nato sorvolare la città”.

Conseguenza diretta dei combattimenti è il progressivo deterioramento della situazione umanitaria: “Acqua, elettricità, generi di prima necessità: qui manca tutto e la linea di aiuti umanitari possibile ora attraverso il porto è di vitale importanza oltre ad essere l’unica via di accesso dall’esterno. I 6000 lavoratori stranieri che si trovavano fino a qualche giorno fa nell’area portuale vengono progressivamente rimpatriati, il resto della popolazione sta mostrando grande solidarietà e chi vive in quartieri più sicuri cerca di fornire assistenza in tutti i modi a chi è più sfortunato”.

Nell’ospedale in cui Emergency opera, gran parte del personale sanitario era straniero, persone che hanno ormai lasciato la Libia: “Chi è rimasto – conclude Molinari – dallo scorso febbraio non si è mai fermato. Ed è stanco, preoccupato che il conflitto vada ancora avanti, impaurito”.

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