Nanni Moretti col suo “Habemus Papam” riscopre, nonostante tutto, la fragilità e la grandezza della Chiesa
del nostro Carlo Mafera
Don Primo Mazzolari diceva: “Basta essere un uomo per essere un pover’uomo”. E’ un’affermazione che calza a pennello per l’ultimo film di Nanni Moretti, “Habemus Papam”. Il neo eletto pontefice, dopo aver accettato l’elezione, si trova a scoprire tutta la sua fragilità e indegnità di fronte ad un compito percepito come molto più grande delle sue forze. Un tema, quello della povertà della condizione umana, che non risparmia nemmeno il successore di Pietro.
Ma a ben guardare, lo stesso Pietro fu quello che rinnegò per tre volte Gesù, a significare che la nostra umanità è legata inscindibilmente al peccato, che ci rende appunto fragili e soprattutto poveri. La tentazione tentò di nuovo Pietro anche a Roma, dove fu rincorso dal “Quo Vadis” del Signore: un po’ tutti ci riconosciamo in questi comportamenti.
Il film di Moretti richiama un po’ anche il celebre libro di Ignazio Silone del 1968 “L’avventura di un povero cristiano”. Anche in quel romanzo-saggio viene messo in evidenza il sofferto itinerario di un pontefice, questa volta Celestino V, che si sentiva inadeguato per un compito troppo grande per un umile fraticello quale egli era poco prima di essere eletto. La sua avventura è quella di un uomo di grande fede e di animo umile, saggio, schiacciato da un compito che sente troppo alto; va letta alla luce dei capitoli che precedono il dramma, in cui Silone si dimostra consapevole che le orme di fra Pietro non si trovano negli archivi o nelle biblioteche, ma tra i cafoni abruzzesi, che nella loro grandezza d'animo custodiscono il "seme" della speranza.
Allo stesso modo il cardinale Melville del film di Moretti non si ritrova nel ruolo che gli viene designato dagli altri cardinali, che pregano per non essere eletti. Ci troviamo davanti ad uno spaccato della povertà e della fragilità umana anche all’interno del maggior consesso spirituale esistente al mondo. Ma possiamo dire che Moretti riscopre l’acqua calda, infatti la Chiesa voluta da Gesù è proprio così, “peccatrice e santa”. Quindi intrisa di fragilità e di peccato ma anche portatrice del messaggio di salvezza eterna che risuona proprio il giorno della Pasqua di Resurrezione. San Paolo diceva che noi cristiani portiamo un tesoro prezioso in vasi di creta.
Il cardinal Melville guarda così il suo vaso di creta e la storia della sua vita alla luce del peso dell’elezione al soglio pontificio. Non si sente parte di quella storia e cerca in poche ore di ripercorrere le tappe della sua esistenza. Scopre, con l’aiuto della psicanalisi, di aver subito un deficit d’accudimento (concetto che viene ribadito comicamente come un tormentone) e scopre di aver sbagliato vocazione e di aver scelto quella sacerdotale solo per ripiego. La sua passione era quella del teatro ed è proprio lì che i cardinali lo ritrovano per riportarlo alla realtà presente e alle sue responsabilità.
Cinematograficamente ineccepibile , con scenografie meravigliose (si può godere di una Cappella Sistina completamente ricostruita negli studi di Cinecittà), Habemus Papam passa continuamente dalla commedia alla tragedia introspettiva, mettendo più volte in evidenza il volto inedito di una Chiesa Cattolica rappresentata da cardinali che nel bel mezzo del Conclave riempiono le pause con partite a scopone scientifico o a pallavolo! Una visione questa che viene trattata da Moretti mai irrispettosamente ma sempre con grande delicatezza e facendo riferimento al già citato concetto teologico della sublime povertà.
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