Per la Procura di Palermo l’omicidio è da collegare al delitto Mattei e al golpe Borghese. E’ uscito dalla redazione la sera del 16 settembre del 1970. Era diretto verso casa ma non è mai arrivato a destinazione.
Liberainformazione - E’ sparito nel nulla Mauro De Mauro, giornalista de l’Ora di Palermo. Il suo corpo non è stato mai ritrovato. Al Tribunale di Palermo si stanno celebrando le ultime battute del processo su un omicidio difficile da ricostruire. Cosa nostra è sicuramente colpevole, ma non è stata l’unica ad aver progettato l’omicidio di De Mauro. Il Procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, nella requisitoria finale è stato molto diretto. L’omicidio, ha dichiarato non è stato compiuto: «Solo nell’interesse di Cosa nostra e non credo siano una coincidenza i depistaggi e le deviazioni sul caso De Mauro». Le motivazioni che stanno alla base del rapimento e dell’omicidio del giornalista vanno ricercate, secondo la Procura, nei meandri dei misteri italiani degli anni ’60 e ’70. Due in particolare si intrecciano con il caso De Mauro: l’omicidio del presidente dell’Eni Enrico Mattei e il fallito golpe Borghese del 1970.
Per quel che riguarda il caso Mattei, De Mauro, prima di essere ucciso, stava lavorando a fondo per cercare di ricostruire le ultime ore di vita del presidente del Cane a sei zampe. Mattei morì, lo ricordiamo, la sera del 26 ottobre del 1962 quando l’aereo su cui viaggiava precipitò nei pressi di Buscapè. Un sabotaggio che, dalle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia e dai risultati dell’inchiesta della Procura di Padova, sarebbe stato il frutto di un complotto ordito da uomini di Cosa nostra e potentati politico-economici. Un favore fatto alle major americane del petrolio, infastidite dal forte attivismo dell’Eni. De Mauro, quindi, sarebbe stato ucciso per evitare che, attraverso i suoi articoli, svelasse la trama del delitto Mattei.
Il movente che punta invece al golpe Borghese è stato definito dalla Procura di Palermo “convergente”. Importante, per la ricostruzione di una delle pagine più buie della storia della Repubblica, è stato il contributo di Francesco Di Carlo. Il boss di Altofonte, stretto alleato dei corleonesi, ha deciso di collaborare con la giustizia italiana, fornendo elementi particolarmente utili ed attendibili, dovuti al ruolo di primo piano che Di Carlo ha avuto in seno a Cosa nostra. Sul legame tra il golpe Borghese e l’omicidio De Mauro il racconto di Di Carlo è ricco di particolari.
Nel libro di Enrico Bellavia “Un uomo d’onore”ci sono dei passaggi molto importanti. Ricorda Di Carlo che De Mauro era venuto a conoscenza del golpe che il principe Junio Valerio Borghese, ex generale repubblichino della X Mas, stava organizzando con l’appoggio di Cosa nostra e di importanti settori del mondo politico-economico. De Mauro, in gioventù repubblichino e volontario proprio nella X Mas, sarebbe riuscito a sfruttare le vecchie conoscenze giovanili nel mondo della destra estrema e neofascista per ottenere informazioni di prima mano. Un’altra “fonte” che De Mauro avrebbe utilizzato era Emanuele D’Agostino. Boss di Cosa nostra che frequentava il Circolo della Stampa di Palermo.
De Mauro, ricorda De Carlo: «Si era rivolto proprio a D’Agostino per sondare il terreno. La notizia fu comunicata immediatamente a Bontate. Questi ne parlò con Calderone e con Di Cristina e tutti insieme partirono per Roma. Ad accompagnarli c’era l’avvocato Guarrasi». La curiosità del giornalista mette in allarme il gotha di Cosa nostra. Se De Mauro avesse divulgato le notizie che stava raccogliendo avrebbe messo a repentaglio il successo del golpe, fissato per la notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970. Nella Capitale, prosegue nel suo racconto ad Enrico Bellavia il vecchio boss di Altofonte: «Andarono a parlare con il Principe Borghese e con Vito Miceli che di li a poco sarebbe diventato il capo del Sid, e con un altro militare dei Servizi, Gianadelio Maletti». Le indicazioni ricevute da Bontate, Calderone e Di Cristina dai referenti romani furono chiare. «Da Roma – prosegue Di Carlo – era partita l’indicazione di far presto: del golpe non doveva uscire nessuna notizia e soprattutto bisognava capire in fretta che cosa davvero il giornalista avesse scoperto e tappargli la bocca per sempre».
Di ritorno a Palermo i boss chiesero che si riunisse la Commissione per decidere la strategia per sequestrare e poi uccidere Mauro De Mauro. Una riunione a cui partecipò anche Riina, che diede l’assenso per procedere. Il boss corleonese è oggi imputato nel processo De Mauro. E’ l’unico tra i boss della Cupola di Cosa nostra degli anni ’70 ancora in vita. Nella requisitoria di oggi, che il vecchio boss ha seguito in videoconferenza, il pm Antonio Ingroia ha chiesto che venisse condannato all’ergastolo. Il prossimo 6 maggio i lavori riprenderanno con gli interventi delle parti civili, la famiglia De Mauro e l’Ordine dei giornalisti della Sicilia. Dopodiché si aspetterà il verdetto del Tribunale. Dopo 41 anni di misteri e depistaggi che hanno segnato una delle pagine più buie del nostro Paese.
Liberainformazione - E’ sparito nel nulla Mauro De Mauro, giornalista de l’Ora di Palermo. Il suo corpo non è stato mai ritrovato. Al Tribunale di Palermo si stanno celebrando le ultime battute del processo su un omicidio difficile da ricostruire. Cosa nostra è sicuramente colpevole, ma non è stata l’unica ad aver progettato l’omicidio di De Mauro. Il Procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, nella requisitoria finale è stato molto diretto. L’omicidio, ha dichiarato non è stato compiuto: «Solo nell’interesse di Cosa nostra e non credo siano una coincidenza i depistaggi e le deviazioni sul caso De Mauro». Le motivazioni che stanno alla base del rapimento e dell’omicidio del giornalista vanno ricercate, secondo la Procura, nei meandri dei misteri italiani degli anni ’60 e ’70. Due in particolare si intrecciano con il caso De Mauro: l’omicidio del presidente dell’Eni Enrico Mattei e il fallito golpe Borghese del 1970.
Per quel che riguarda il caso Mattei, De Mauro, prima di essere ucciso, stava lavorando a fondo per cercare di ricostruire le ultime ore di vita del presidente del Cane a sei zampe. Mattei morì, lo ricordiamo, la sera del 26 ottobre del 1962 quando l’aereo su cui viaggiava precipitò nei pressi di Buscapè. Un sabotaggio che, dalle testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia e dai risultati dell’inchiesta della Procura di Padova, sarebbe stato il frutto di un complotto ordito da uomini di Cosa nostra e potentati politico-economici. Un favore fatto alle major americane del petrolio, infastidite dal forte attivismo dell’Eni. De Mauro, quindi, sarebbe stato ucciso per evitare che, attraverso i suoi articoli, svelasse la trama del delitto Mattei.
Il movente che punta invece al golpe Borghese è stato definito dalla Procura di Palermo “convergente”. Importante, per la ricostruzione di una delle pagine più buie della storia della Repubblica, è stato il contributo di Francesco Di Carlo. Il boss di Altofonte, stretto alleato dei corleonesi, ha deciso di collaborare con la giustizia italiana, fornendo elementi particolarmente utili ed attendibili, dovuti al ruolo di primo piano che Di Carlo ha avuto in seno a Cosa nostra. Sul legame tra il golpe Borghese e l’omicidio De Mauro il racconto di Di Carlo è ricco di particolari.
Nel libro di Enrico Bellavia “Un uomo d’onore”ci sono dei passaggi molto importanti. Ricorda Di Carlo che De Mauro era venuto a conoscenza del golpe che il principe Junio Valerio Borghese, ex generale repubblichino della X Mas, stava organizzando con l’appoggio di Cosa nostra e di importanti settori del mondo politico-economico. De Mauro, in gioventù repubblichino e volontario proprio nella X Mas, sarebbe riuscito a sfruttare le vecchie conoscenze giovanili nel mondo della destra estrema e neofascista per ottenere informazioni di prima mano. Un’altra “fonte” che De Mauro avrebbe utilizzato era Emanuele D’Agostino. Boss di Cosa nostra che frequentava il Circolo della Stampa di Palermo.
De Mauro, ricorda De Carlo: «Si era rivolto proprio a D’Agostino per sondare il terreno. La notizia fu comunicata immediatamente a Bontate. Questi ne parlò con Calderone e con Di Cristina e tutti insieme partirono per Roma. Ad accompagnarli c’era l’avvocato Guarrasi». La curiosità del giornalista mette in allarme il gotha di Cosa nostra. Se De Mauro avesse divulgato le notizie che stava raccogliendo avrebbe messo a repentaglio il successo del golpe, fissato per la notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970. Nella Capitale, prosegue nel suo racconto ad Enrico Bellavia il vecchio boss di Altofonte: «Andarono a parlare con il Principe Borghese e con Vito Miceli che di li a poco sarebbe diventato il capo del Sid, e con un altro militare dei Servizi, Gianadelio Maletti». Le indicazioni ricevute da Bontate, Calderone e Di Cristina dai referenti romani furono chiare. «Da Roma – prosegue Di Carlo – era partita l’indicazione di far presto: del golpe non doveva uscire nessuna notizia e soprattutto bisognava capire in fretta che cosa davvero il giornalista avesse scoperto e tappargli la bocca per sempre».
Di ritorno a Palermo i boss chiesero che si riunisse la Commissione per decidere la strategia per sequestrare e poi uccidere Mauro De Mauro. Una riunione a cui partecipò anche Riina, che diede l’assenso per procedere. Il boss corleonese è oggi imputato nel processo De Mauro. E’ l’unico tra i boss della Cupola di Cosa nostra degli anni ’70 ancora in vita. Nella requisitoria di oggi, che il vecchio boss ha seguito in videoconferenza, il pm Antonio Ingroia ha chiesto che venisse condannato all’ergastolo. Il prossimo 6 maggio i lavori riprenderanno con gli interventi delle parti civili, la famiglia De Mauro e l’Ordine dei giornalisti della Sicilia. Dopodiché si aspetterà il verdetto del Tribunale. Dopo 41 anni di misteri e depistaggi che hanno segnato una delle pagine più buie del nostro Paese.
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