lunedì, maggio 30, 2011
Nuovo attacco dei talebani in Afghanistan: colpiti la sede del gruppo di ricostruzione provinciale di Herat City, sotto responsabilità italiana, e ad altri obiettivi.

Radio Vaticana - Al momento, fonti ospedaliere parlano di almeno 4 morti e 30 feriti. Il ministro italiano della Difesa Ignazio La Russa esclude vittime tra gli italiani e riferisce di 5 feriti, uno in gravi condizioni. “Si è trattato di un attacco complesso: prima un’autobomba, poi uno scontro armato”. Intanto, in Italia, si riaccende il dibattito sul ritiro dall’Afghanistan, mentre il premier Berlusconi esprime cordoglio e riconoscenza ai militari impegnati nel Paese. Il servizio di Paolo Ondarza: ascolta

E’ stato un commando di talebani guidato da alcuni kamikaze a colpire, oggi, vari luoghi di Herat City, capoluogo dell'omonima provincia occidentale afghana: esplosioni nei pressi del palazzo del governatore, della Blood Bank Road, del vicino Cinema Chowk e, la più grave, contro la base del Prt, il Gruppo di ricostruzione provinciale, gestito da militari e civili italiani. Quest’ultima costituisce una struttura essenziale per il supporto alla governance e al processo di ricostruzione e sviluppo del Paese. Grazie agli uomini del Prt, infatti, molte ditte afgane hanno trovato sbocchi nel mercato del lavoro. Ancora impossibile conoscere la dinamica e il numero delle vittime: fonti ospedaliere parlano di 4 morti e 24 feriti, mentre la polizia denuncia un numero imprecisato di vittime. Da Roma il ministro della Difesa La Russa rassicura: nessun morto tra gli italiani, ma 5 feriti: uno sarebbe grave. L’esplosione, un attacco in piena regola – spiega La Russa – avrebbe tolto la vita a diversi agenti della polizia afghana. Testimoni raccontano che almeno due kamikaze con un’automobile carica di esplosivo si sono fatti saltare in aria all’ingresso del Prt italiano che si trova nel quartiere di Juda-i-Matab. Questo avrebbe permesso ad altri militanti armati di penetrare all'interno della struttura ingaggiando uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza afghane e internazionali. Ma come leggere questo attacco all’interno della strategia talebana? Lo chiediamo all’analista strategico e militare Alessandro Politi.

R. - Innanzitutto, è una risposta alle conseguenze dell’uccisione di Bin Laden. Non è una vendetta, il che significa pressione delle opinioni pubbliche in patria per ritirare le truppe, prima, perché ormai Bin Laden è morto e il problema è quasi risolto. I talebani hanno voluto colpire Herat che è un centro importante di un Paese che ha un grosso contingente e che ha le sue difficoltà politiche interne che loro sanno benissimo che esistono.

D. - Faceva riferimento alla morte di Bin Laden. Quanto questa continuerà ad incidere nelle prossime settimane?

R. - Non più di tanto perché, dal punto di vista politico, al Qaeda non guida più nessun processo in giro per il mondo. Può mettere bombe ma non è più l’interprete di una speranza di cambiamento politico che era la sua forza; può ancora reclutare gente che si lascia ingannare dalla propaganda ma le masse arabe e islamiche hanno capito molto bene che quello che è necessario è una rivoluzione democratica.

Intanto in Afghanistan è ancora polemica dopo che sabato un raid Nato nella provincia meridionale di Helmand ha ucciso per errore 14 civili, 12 bambini e due donne, secondo fonti afghane. I vertici Isaf parlano di 9 civili uccisi, assicurano che un’inchiesta è già stata avviata per far luce sull’accaduto e intanto oggi hanno presentato ufficialmente le loro scuse per l'incidente spiegando la dinamica dei fatti: una pattuglia della coalizione sarebbe stata attaccata da un commando di talebani che hanno ucciso un Marine americano e che successivamente hanno preso posizione all'interno di una zona abitata''. A questo è seguita la decisione del raid aereo. Ancora Politi:

R. - La domanda è quando viene dato il via libera a un attacco aereo. Normalmente si cercano di impiegare altri mezzi prima di arrivare al bombardamento aereo. Si decide se inviare il bombardiere o una serie di soldati che però possono venire uccisi. E’ un calcolo estremamente crudo, doloroso, spietato ma è quello che capita ogni volta che si prende questa decisione.

Di omicidio ha parlato il presidente afgano Karzai lanciando agli Usa un ultimo avvertimento affinché cessino le operazioni unilaterali. Da parte sua, fonti della Casa Bianca hanno fatto sapere che Washington condivide e di prende molto sul serio questo monito.


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