del nostro Bartolo Salone
Ha fatto parecchio rumore, come era prevedibile, la notizia dell’uccisione del capo di Al Qaeda, Osama Bin Laden, ad opera di un commando statunitense nel corso di un blitz notturno avvenuto l’1 maggio scorso in Pakistan. Ancora non sono note le dinamiche dell’operazione militare, che ha portato all’assassinio del terrorista insieme ad un figlio diciottenne e ad alcuni suoi uomini. Varie le congetture: c’è addirittura chi sostiene che Bin Laden sia ancora vivo, nascosto chissà dove (essendo quello fatto fuori dagli Americani solo un sosia), e chi ritiene che il capo di Al Qaeda sia prigioniero in un carcere statunitense di massima sicurezza, sottoposto ad ogni tipo di tortura.
Però la verità ufficiale cui fare riferimento, pur con i punti oscuri ancora da chiarire, è questa: nel corso dell’operazione in Pakistan, Bin Laden è rimasto ucciso a seguito di una sparatoria con i militari americani; il suo corpo, identificato come appartenente al leader di Al Qaeda grazie all’esame del DNA, è stato trasportato negli U.S.A. insieme a preziosi materiali informativi (pc e software rinvenuti nel bunker in cui era nascosto lo sceicco del terrore); il cadavere infine è stato sepolto in mare, conformemente al precetto islamico (anche se, a dire il vero, quest’ultimo punto è molto controverso fra gli islamisti).
Non è chiaro se l’assassinio sia stato un atto premeditato oppure se si sia trattato di una fatalistica necessità a fronte dell’opposizione alla cattura manifestata dallo stesso Bin Laden. Fa certo riflettere il fatto che Bin Laden, al momento del blitz, fosse disarmato (come dichiarato dal portavoce della Casa Bianca Jay Carney): in che modo un uomo disarmato avrebbe potuto opporre resistenza? O sono stati forse i suoi fedeli ad opporre resistenza armata, sì da costringere i Marines americani ad aprire il fuoco?
Le incertezze sono davvero tante e allo stato attuale non è irragionevole escludere che la morte di Bin Laden fosse stata un atto programmato da parte delle autorità militari statunitensi (benché il Governo di Washington sostenga diversamente). La traduzione di un Bin Laden vivo in territorio U.S.A., dove iniziare il processo, avrebbe presumibilmente creato agli Stati Uniti parecchi problemi; da qui la scelta di liquidare quello che da quel tragico 11 settembre 2001 è considerato il nemico numero uno del governo americano.
In ogni caso quello ottenuto l’1 maggio appena trascorso non pare essere stato né un successo contro il terrorismo né un atto di giustizia, come con stridente retorica il presidente Obama ha dichiarato nel suo discorso alla Nazione. Non è stato un successo contro Al Qaeda, perché l’organizzazione terroristica continua ad essere forte e ben strutturata. Anzi, la morte del suo leader storico potrebbe dare impulso a nuove e più aggressive azioni terroristiche, essendo stato fatto di Bin Laden in tal modo un martire. Non si è trattato di un atto di giustizia, perché in un Paese civile e democratico la giustizia si amministra nei tribunali, essendo il giusto processo un diritto fondamentale che va assicurato a tutti, financo ai peggiori criminali. Se poi dovesse avere ragione chi sostiene che ormai la vita “terroristica” di Bin Laden si era esaurita da tempo, non costituendo egli più un reale pericolo per la sicurezza internazionale, la sua eliminazione appare ancor più ingiustificata, non solo da un punto di vista tattico, ma anche da un punto di vista morale, dovendosi ritenere senz’altro contrario alla legge morale l’uccisione di un uomo al di fuori di una valida causa di giustificazione, quale la legittima difesa individuale o collettiva.
Le parole pronunciate da Barack Obama nell’imminenza della morte di Bin Laden ("Stanotte noi possiamo dire a quelle famiglie che hanno perso i propri cari per colpa del terrore di Al Qaida che giustizia è stata fatta") richiamano, a dire il vero, un concetto di giustizia ispirato alla legge del taglione e suonano a dir poco strane sulla bocca di un Nobel per la pace. Qui non si tratta di difendere un terrorista o di piangere per la morte di un pazzo criminale: si tratta più semplicemente di non rinnegare i fondamenti della nostra democrazia, perché, se anche noi ci piegassimo alla logica della vendetta e alla cultura della morte, sarebbe per il terrorismo non una sconfitta, ma la più grande vittoria.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.