mercoledì, maggio 11, 2011
Fao: «Ogni anno vanno perdute oltre un miliardo di tonnellate di cibo». I Paesi ricchi sprecano, quelli poveri "perdono".

Greenreport - Lo studio
"Global Food Losses and Food Waste", commissionato dalla Fao allo Swedish institute for food and biotechnology (Sik) presentato in occasione di "Save the food!", il congresso internazionale che si terrà a Dusseldorf il 16 e 17 maggio nell'ambito della fiera dell'industria d'imballaggio, Interpack2011, conferma un dato indecente in un mondo nel quale un miliardo di esseri umani soffrono la fame: «Circa un terzo del cibo prodotto ogni anno per il consumo umano, grosso modo 1,3 miliardi di tonnellate, va perduto o sprecato».

Lo studio sulla perdita e spreco di cibo a livello mondiale evidenzia inoltre che «I Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo dissipano all'incirca la stessa quantità di cibo: rispettivamente 670 e 630 milioni di tonnellate (ma nei Paesi sviluppati vivono molte meno persone, ndr); Ogni anno i consumatori dei paesi ricchi sprecano quasi la stessa quantità di cibo (222 milioni di tonnellate) dell'intera produzione alimentare netta dell'Africa sub-sahariana (230 milioni di tonnellate); Frutta e verdura, insieme a radici e tuberi, sono gli alimenti che vengono sprecati maggiormente; L'ammontare di cibo che va perduto o sprecato ogni anno è equivalente a più di metà dell'intera produzione annuale mondiale di cereali (2,3 miliardi di tonnellate nel 2009/2010)».

La Fao spiega che «Il rapporto distingue tra perdite alimentari e spreco di cibo. Le perdite alimentari, che avvengono in fase di produzione, di raccolto e dopo raccolto, e di lavorazione, sono più rilevanti nei Paesi in via di sviluppo a causa delle infrastrutture carenti, della scarsa tecnologia e della mancanza di investimenti nei sistemi agro-alimentari. Lo spreco di cibo è invece più un problema dei Paesi industrializzati, che assai spesso avviene a livello di venditori e consumatori che gettano nella spazzatura cibo in perfette condizioni che si potrebbe benissimo mangiare. In Europa ed in Nord America lo spreco pro capite da parte del consumatore è calcolato intorno ai 95 -115 kg all'anno, mentre in Africa sub-sahariana e nel sudest asiatico ammonta a soli 6 -11 kg l'anno».

Nei Paesi ricchi la produzione alimentare totale pro capite destinata al consumo umano è intorno ai 900 kg l'anno, quasi il doppio dei 460 kg che prodotti nei Paesi più poveri. Nei Paesi in via di sviluppo il 40% delle perdite di beni alimentari avviene nella fase del dopo raccolto e nella lavorazione, mentre nei Paesi industrializzati più del 40% delle perdite è dovuto al commercio ed ai consumatori».

Il rapporto sottolinea che «Le perdite al momento del raccolto e del magazzinaggio si traducono in perdite di reddito per i piccoli contadini ed in prezzi più alti per i consumatori poveri. La riduzione delle perdite potrebbe dunque avere un impatto "immediato e significativo" sulle loro condizioni di vita e sulla sicurezza alimentare».

Ma perdite e sprechi significano anche enorme sperpero di risorse sempre più preziose come acqua, terra, energia, manodopera e capitale, inoltre producono inutilmente gas serra, contribuendo al global warming ed al cambiamento climatico che colpiscono ulteriormente las produzione e lo stoccaggio di cibo nei Paesi poveri.

I tre ricercatori che hanno redatto il rapporto, Jenny Gustavsson, Christel Cederberg e Ulf Sonesson del Silk, offrono una serie di suggerimenti pratici su come ridurre sprechi e perdite: «Nei paesi in via di sviluppo il problema è principalmente dovuto a tecniche inadeguate di produzione, ad una gestione carente del dopo raccolto, alla mancanza di infrastrutture adeguate di trasformazione alimentare e d'imballaggio, ed alla mancanza di informazioni sulla commercializzazione che consentirebbe alla produzione di meglio adeguarsi alla domanda. Il consiglio in questi casi è dunque quello di rafforzare la filiera agro-alimentare assistendo i piccoli contadini a collegarsi direttamente con gli acquirenti. Il settore pubblico e privato dovrebbero inoltre investire di più nelle infrastrutture, nel trasporto, nella trasformazione e nell'imballaggio. Nei paesi a medio e alto reddito invece le perdite alimentari derivano principalmente dal comportamento del consumatore ed anche dalla mancanza di comunicazione tra i diversi settori della catena alimentare».

Ma il vero spreco è tutto interno al mondo globalizzato dell'uomo consumatore: «A livello di dettagliante grandi quantità di cibo vengono sprecate anche a causa di standard di qualità che danno eccessiva importanza all'apparenza - dice la Fao - Ricerche mostrano che il consumatore sarebbe disposto a comprare prodotti che non rispondono a questi standard di apparenza purché essi siano sicuri ed abbiano un buon sapore. Di conseguenza i consumatori hanno il potere di influenzare gli standard di qualità e dovrebbero esercitarlo, secondo il rapporto. Vendere i prodotti della terra direttamente senza dover conformarsi alle norme qualitative dei supermercati è un altro dei suggerimento proposti dal rapporto. Questo potrebbe avvenire tramite negozi e mercati gestiti dai produttori. Si dovrebbe inoltre trovare un buon utilizzo del cibo che altrimenti viene gettato via. Organizzazioni commerciali e di beneficenza potrebbero lavorare con i dettaglianti per raccogliere e dopo vendere o distribuire prodotti destinati all'eliminazione ma ancora buoni in termini di sicurezza, sapore e valore nutritivo».

La critica al nostro attuale insostenibile modello di consumi è evidente: «I consumatori dei Paesi ricchi sono in genere incoraggiati a comprare più cibo di quello di cui hanno in realtà bisogno. Ne è un esempio il classico "Compra tre e paghi due" proposto in molte promozioni, come pure le porzioni eccessive dei pasti pronti prodotti dall'industria alimentare. Ci sono poi i buffet a prezzo fisso offerti da molti ristoranti che spingono il consumatore a riempire il proprio piatto oltre misura». Il rapporto fa notare come in generale «Il consumatore non programmi l'acquisto di generi alimentari in modo corretto, che significa che spesso viene buttato cibo inutilizzato quando la data "da consumarsi entro" scade».

Le soluzioni proposte dal rapporto però sono in parte già viste ed attuate con scarso successo: «Informazioni nelle scuole ed iniziative politiche potrebbero essere un punto di partenza per cambiare questo comportamento. Si dovrebbe insegnare ai consumatori dei paesi ricchi che gettare via cibo senza motivo è inaccettabile. Dovrebbero anche essere informati che data la limitata disponibilità delle risorse naturali a disposizione è più efficace ridurre le perdite di cibo che incrementare la produzione alimentare per riuscire a nutrire la crescente popolazione mondiale».

Forse più che l'educazione e il volontarismo virtuoso servirebbe un vero e proprio cambio di paradigma dei consumi e fare del diritto al cibo un vero diritto umano, facendo dello spreco e della speculazione che lo sostiene un "delitto" da combattere a livello internazionale.
Non a caso un altro rapporto su confezionamento ed imballaggio dei prodotti nei Paesi in via di sviluppo, preparato per Save the food!, fa notare che «Un imballaggio appropriato è un elemento fondamentale che ha effetti sulle perdite che avvengono a quasi tutte le fasi della catena alimentare», ma è anche vero che l'imballaggio, o meglio il packaging, è nei Paesi sviluppati (e sempre di più anche in quelli emergenti) uno degli elementi dello spreco e dell'induzione al consumo inutile e compulsivo.

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